Capitolo 3

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Anno 878 p.f.

Alioth si passava da una mano all'altra la trottola di legno, quel giocattolo che Alkaid gli aveva regalato durante una delle sue tante crisi. Aveva iniziato a guardarsi intorno freneticamente, a tapparsi le orecchie e a farfugliare frasi rivolte al vento, Alkaid aveva provato a calmarlo prendendolo per le spalle e scuotendolo, ma non aveva attenuto la sua attenzione, era stato a quel punto che gli aveva messo in mano una vecchia trottola recuperata dalla cassapanca di legno e gli aveva detto «Concentrati su questa. Percorri i bordi con le dita, senti la punta e stringila», e lui lo aveva fatto, l'aveva stretta talmente tanto da ferirsi con il piccolo puntale di ferro su cui la trottola avrebbe dovuto girare.

Alzò lo sguardo quando si rese conto di aver raggiunto l'aula. Era la sua prima lezione all'accademia, era in anticipo di venti minuti e respirava con piccoli scatti, allargando al minimo il torace, come se in quel modo potesse esser ignorato e non notato.

Entrò nella stanza piena di banchi e sedie di legno, ne puntò uno sul fondo, nessun altro era ancora arrivato, quindi si sedette e posò la trottola sul ripiano davanti a lui. La fece girare un paio di volte, la osservò perdere l'equilibrio e la prese al volo prima che potesse emettere un qualsiasi rumore cadendo sul banco priva del moto rotatorio.

A volte odiava i rumori, altre volte cercava di circondarsene così da poter attutire le voci nella sua mente.

Sapeva di essere una "rarità", non capitava spesso che bambini con la capacità di manipolare l'immateriale, gergalmente chiamati Manipolatori dell'anima, nascessero con la mente "impicciata". Glielo aveva detto sua madre quando a sei anni aveva chiesto come mai lui fosse diverso. «Sei una rarità, piccolo mio», ma a lui non era bastata come spiegazione e nemmeno gli era piaciuta. Lui avrebbe desiderato tanto essere uguale ai suoi coetanei per mimetizzarsi e nascondersi, invece, ovunque mettesse piede, era quello più in vista, più additato e giudicato.

Fece dondolare la trottola davanti al proprio sguardo, legno chiaro con leggere scanalature, puntale di ferro e macchia di sangue sbiadita sul fondo. Succedeva che si ferisse con quel giocattolo, ma quando capitava la sua unica preoccupazione era ripulire il danno sul legno, perché "il legno si impregna, Alioth, devi stare attento alle tue manacce sporche di grasso". Gli insegnamenti del patrigno erano i più duri da dimenticare.

Fece toccare il puntale con il banco sottostante e, mentre con pollice e indice si preparava a dare una nuova spinta alla trottola, venne distratto da una voce bassa.

«Spostati».

Alzò lo sguardo e lo scambiò con un ragazzo della sua stessa età, capelli biondo platino, lisci e con la riga laterale, occhi carbone, naso affilato. Sembrava stanco, forse spazientito, ma Alioth aveva ancora difficoltà a riconoscere gli stati d'animo. Capitava che dovesse chiedere a suo fratello se fosse triste o felice, stanco o perplesso, rammaricato o euforico. Non capiva nulla quando si trattava di dover interpretare i comportamenti altrui.

Non si oppose, non voleva dover discutere con uno sconosciuto, per di più alto almeno dieci centimetri più di lui. Preferì alzarsi e spostarsi al banco avanti, mostrando le spalle a quel ragazzo che si accasciò lì dove poco prima sedeva lui.

«A sedici anni ancora gioca con le trottole, assurdo», sentì borbottare alle sue spalle, ma anche in quel caso preferì starsene in silenzio e far ruotare la sua trottola, anche se stavolta cercava di nasconderla al biondo con il proprio corpo curvo sul tavolo.

Sarebbe durata un'ora, dopo di che avrebbe cambiato aula e magari anche compagni di classe.

***

Il professore di Insegnamenti base, tal Perach, era un uomo sui quarant'anni, occhi guardinghi che tenevano sotto controllo l'intera aula e mani frenetiche che si lanciavano un gessetto bianco, prima di scrivere sulla lavagna.

Chiocasrie & il corruttore di animeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora