Due

351 158 192
                                    

La situazione iniziò a farsi difficile nell'autunno del 1937.

Era appena iniziato il mese di ottobre, mi trovavo al centro del paese con due mie amiche, Clara e Mathilde, eravamo sedute in una panchina chiacchierando e avevamo appena fatto delle compere.

Avevo acquistato un splendido cappotto bianco che già immaginavo di indossare con l'arrivo della neve e ricordo che Clara stava dicendo che secondo lei si abbinavano perfettamente delle scarpe rosse.

Subito dopo aver espresso il suo disappunto nei confronti della scelta di mio fratello per quanto riguardava la fidanzata. «Dai, Lidi. Non ti credo quando dici che non ti infastidisce che Angelika sia la tua futura cognata.»
«Non mi importa! Se Hans è contento, va bene così. E poi non si stanno mica per sposare!» ribattei cercando di sembrare il più sincera possibile.
«Bisogna ammettere che quella ragazza ha buon gusto e anche fortuna. Prima Max e poi Hans. La invidio.» espresse Mathilde.

Clara rise «Non ti credo!» poi con un eccessivo cenno della testa mi fece notare che Hans, Fred e Max stavano arrivando. Erano visibilmente brilli, nonostante fossero in divisa a fare i giri per tutto il paese per controllare che fosse tutto in ordine, avevano decisamente alzato il gomito.

Ma mentre i miei fratelli sembravano più di animo allegro, Max sembrava scosso. Per quanto cercasse di mantenere il suo aspetto fiero e duro io gli lèggevo negli occhi che qualcosa non andava, ma gli avrei chiesto solo in seguito cosa lo turbasse.

Arrivata l'ora di tornare a casa i miei fratelli mi dissero che sarebbero tornati più tardi e di conseguenza hanno chiesto a Max di accompagnarmi a casa "da bravo gentiluomo".

Durante il tragitto di rientro, provai a chiedergli se fosse triste o arrabbiato ma mi congedò più volte quasi infastidito dicendo «Niente che ti riguardi.».

Sentendo questa risposta con il tono sgarbato rimasi di sasso. Ci siamo sempre detti tutto e se non mi riguardava perché essere così infastidito dalla mia domanda? Stizzita rimasi in silenzio accompagnata dai vari pensieri che mi scorrevano per la mente. Quando a un certo punto forse accortosi di aver usato dei toni poco gentili si voltò verso di me e mi chiese scusa, con un tono dolce, al che non potei fare a meno che rivolgergli un sorriso comprensivo, anche se mi sentivo ancora parecchio offesa.

«È successa una cosa oggi, non è bella da raccontare. Ho reagito male, so che ti stavi solo preoccupando per me ma io ero ancora preso dalla scena alla quale ho assistito. Ti chiedo scusa.»

Ero curiosa di ciò che avesse vissuto, più che altro per sapere come dargli conforto, ma con i tempi che correvano potevo immaginare tanti possibili scenari, per niente piacevoli. «È tutto ok, però lo sai che con me puoi parlare di tutto.»
«Lo so. Ti amo.»
Era inevitabile che io mi sciogliessi. Mi spuntò un sorriso sul viso e nonostante la mia risposta cercai di non fargli notare quanto le sue parole avessero sciolto il mio cuore. «Ti amo.»

Dopo quel giorno, tra noi era tutto filato liscio. Almeno per un po'.

Poi un mese dopo, mentre eravamo nelle vicinanze del nostro laghetto, dopo qualche minuto in cui rimase in profondo silenzio, quasi sottovoce mi disse «Sai mantenere un segreto?»

Mi allarmò il fatto che invece del solito tono scherzoso, era serio. Cercai di ignorare questo dettaglio e per un attimo, spaventata, pensai volesse farmi la proposta, forse vagai troppo con la mente ma non avrei mai immaginato quello che sarebbe accaduto dopo.

Gli risposi di sì, un po' titubante.

Sperai che la serietà che gli leggevo sul volto fosse dovuta a un'emozione mascherata «Sei la persona di cui mi fido più al mondo, adesso ti porto in un posto ma non dovrai dire niente a nessuno. Sarà un segreto.» se non fosse stato che il suo tono era ancora più severo di qualche attimo prima, avrei riso pensando fosse uno scherzo.

Mi portò nella casa che aveva ereditato dal nonno materno, situata poco fuori dal centro del paese, in piena campagna. Durante il tragitto era silenzioso e io iniziai ad essere tesa e non feci nessuna domanda.

Prima di aprire la porta mi lanciò uno sguardo, come se volesse essere sicuro di ciò che stava facendo e di potersi davvero fidare di me. Lo scrutai confusa.

Sospirò e facendosi coraggio aprì la porta. Una volta entrati in casa non c'era niente di sospetto e non capivo cosa ci facessimo lì. Subito dopo mi condusse in una stanza vicino alla cucina.

La particolarità di quelle stanze era che fuori dalla cucina si trova un piccolo cortile interno e la camera in questione ha una finestra che affaccia solo su quel cortile e nessuna che va verso l'esterno della casa.

Come ci inoltrammo dentro quella stanza vidi due persone. Il suo adorato mentore il dottor Raphael Rosenthal e la figlia Elisabeth.

Io e lei non siamo mai state in buoni rapporti. È un anno più grande di me e facevamo balletto insieme da bambine. Il punto è che l'ho sempre vista come una che vuole primeggiare ma la verità è che ci davano fastidio a vicenda perché caratterialmente siamo identiche. A me davano fastidio i suoi difetti perché erano anche i miei e viceversa.

Ma oltre a quest'antipatia reciproca nata per nessuna ragione precisa fin dall'infanzia in quel momento lei era considerata il "nemico". Nonostante fossi contraria a molte ideologie e fatti che accadevano, temevo comunque per la mia incolumità. Non avrei mai voluto essere considerata una traditrice e finire in prigione se non peggio.

Rimasi senza parole. Ero lì in piedi, guardavo quei volti famigliari ma non mi usciva nemmeno una sillaba. Dopo un momento di assestamento riuscii a voltarmi verso Max e chiedergli «Cosa significa tutto questo? Cosa stai facendo?» cercai di tenere un tono basso ma risultai comunque sull'orlo dell'isteria.

Lui, al contrario mio, ha sempre avuto un buon rapporto con Elisabeth, sarà che le madri erano amiche, sarà che erano nella stessa classe, sarà che il padre di lei è stato un buon maestro per lui ma comunque la loro amicizia mi destava un sentimento di invidia e in quel momento vedere che fosse pronto a rischiare tutto per loro, faceva sorgere in me ancora di più un senso di gelosia ed avversione.

La sua unica risposta fu «Io ne sono responsabile, non mi perdonerei mai che accadesse di nuovo. Lei è incinta.»

L'ultima frase mi rimbombava in testa come un eco.

"Allora ama lei?" pensai fra me e me.

Mi girava la testa e non mi veniva niente da dire.

Il nostro più grande segretoWhere stories live. Discover now