CAPITOLO 3 (Parte 2)

511 20 1
                                    

Mia 

"Se voi dovete recuperare qualcosa in mensa io resterei qui ad occupare questo posticino, dato che ho portato il pranzo da casa. Mi sembra comodo anche per fermarci a studiare un po', più tardi." Si offre Angela, una nostra compagna di corso dal viso gentile e dal sorriso sempre pronto –nonché mia fedele compagna nella rappresentanza del partito degli occhi marroni, che su di lei hanno però una tonalità più tendente al cioccolato e meno incline alla cacca, ovviamente.

"Se non ti scoccia direi che è perfetto."

"Assolutamente, andate pure. Vi aspetto qui." E mentre lei si sistema ad uno dei tavolini nel corridoio gremito di studenti alle prese con un pranzo più o meno tranquillo, io e Gaia ci mettiamo in coda nella speranza di riuscire ad ottenere qualcosa da mettere sotto i denti prima di sera.

Fortunatamente, oltre a preparare cibo decente che permette ai ragazzi di non dover ricorrere costantemente al fast-food, il personale della mensa è veloce ed efficiente, e ci ritroviamo ad attendere in cassa con i vassoi già pieni prima di quanto ci aspettassimo. Il mio stomaco brontola sonoramente, pregustando il sapore del farro alla zucca dal profumo alquanto invitante che aspetta nel mio piatto, e avverto un pizzicore di imbarazzo pungermi le guance.

"Il tuo povero stomaco ha ragione." Commenta qualcuno davanti a me, infrangendo le mie speranze che nessuno abbia sentito il rumore marcato del mio organo digestivo.

E, purtroppo per me, non solo. Perché la voce del commento, prima ancora che i miei occhi trovino conferma dei miei timori, infrange anche la speranza che questo benedetto ragazzo faccia finalmente pace con il mio "no" e se ne torni da dove è venuto.

"Ancora tu?" Sbuffo, alzando lo sguardo verso quel paio di occhi particolarmente caldi, che in tutta risposta si socchiudono in un sorriso.

"Mi hanno detto che il cibo della mensa di quest'ateneo è piuttosto buono, così ho deciso di provare." Mi risponde lui come se stesse dicendo qualcosa di perfettamente sensato, invece che una cazzata anche piuttosto lampante. E non perché io strabordi di autostima al punto da credere che debba necessariamente essere qui per me, né perché il cibo della mensa non sia davvero così buono, ma perché di certo una persona che non è della zona- e se lo fosse lo avrei visto prima da queste parti- non ha bisogno di provare la mensa dell'università per avere accesso a del cibo decente.

"Però, curioso che a qualcuno venga in mente una mensa universitaria quando si parla di dove mangiar bene in tutta Milano. Per carità, non che la cosa non ci faccia onore..."

"Assolutamente. Mi hanno raccomandato soprattutto il risotto." Si ostina lui, indicando il contenuto del suo piatto. "E anche di fare attenzione agli incontri, pare che si possano conoscere persone interessanti." Aggiunge poi, sempre con la stessa leggerezza.

Ancora una volta, mi viene da ridere. Non è quello che dice a divertirmi, ma il modo in cui lo butta lì, senza l'aria di chi si sforza di sembrare simpatico per cercare disperatamente di piacere, ma con una nota di intelligente ironia nello sguardo.

"Beh, immagino che con i professori si possano avere conversazioni piuttosto erudite, questo sì..."

Lui sorride di fronte alla mia battuta, facendo affiorare la fossetta sulla guancia ruvida di barba. A guardarle un po' più da vicino, le sue labbra non sono poi così banali. Certo, niente di memorabile, ma sono delle belle labbra. Piene, ben disegnate, dall'aspetto morbido e caldo.

Scuoto la testa. Stai lontana da questo tipo, Mia. Mi avverte senza molta gentilezza la vocina nella mia testa.

Il ragazzo –chiamarlo per nome anche se solo nella mia mente favorirebbe l'idea di un'intimità che non esiste- sta per dire qualcosa, ma viene interrotto dalla signora alla cassa che batte sullo schermo il suo pasto e gli comunica il costo.

Nella pausa silenziosa tra le nostre brevi battute, mi concentro sull'evitare lo sguardo di Gaia che sento puntato addosso. Cosa stupidissima, tra l'altro, dato che non ho nessun motivo per sentirmi colpevole. Posto che per quanto sia perspicace non abbia il potere di leggere i miei pensieri, il mio commento mentale su quelle labbra non è mica passibile di denuncia. Sono fatta di carne e in possesso di occhi, fine della storia.

"Pranzi con me?" Mi sento chiedere dopo aver ritirato anch'io il mio scontrino, proprio mentre sto per dirigere me e il mio vassoio lontani da qui. Da domani potrei persino cominciare a portarmi il pranzo, a pensarci bene.

"Cosa? Perché dovrei?"

Si limita a fare spallucce. "Perché siamo qui entrambi per pranzare?"

"Sono già in compagnia." Dichiaro subito, soffocando con forza la nota di titubanza che ho avvertito da qualche parte della mia testa.

"Non c'è problema, Mia, io sono comunque con Angela. Puoi raggiungerci dopo pranzo per studiare." Si inserisce Gaia.

Avete presente quei momenti in cui vorreste che i vostri occhi fossero capaci di lanciare fulmini e saette se non letali molto dolorosi? Ecco, questo è esattamente uno di quei momenti, ma nessuno lassù sembra essere così clemente da accontentare le mie richieste.

Il ragazzo mi guarda con un'espressione a metà tra la sfida e un barlume di speranza. E se ho sempre la risposta pronta ad una sfida, quella speranza mi spiazza un po'. E dalla mia bocca esce qualcosa che io non avevo alcuna intenzione di dire: "Se ti accontento, smetterai di vedermi come una sorta di unicorno solo perché continuo a rifiutare i tuoi inviti?"

Lui pare persino rifletterci seriamente. "Avrei usato una metafora diversa, ma sì, direi di sì."

"Vi raggiungo subito dopo pranzo." Borbotto verso la mia amica, che in risposta alla mia occhiata minacciosa si diletta in un sorriso da una guancia all'altra.

"Ma certo, fai con calma, ti aspettiamo. Buon appetito." E mi fa anche un occhiolino di nascosto al mio improvvisato compagno di tavolo.

Urge pazienza per non strozzarla una volta rimaste sole, per favore.

"E così il tuo nome è Mia." Rompe il silenzio Alessandro quando ci sistemiamo uno di fronte all'altra ad un tavolino libero nella saletta interna della mensa. Mi costringo a pensare al suo nome nonostante le mie reticenze al riguardo solo perché chiamare coso una persona con cui stai condividendo il pranzo mi pare ancora meno appropriato. Sotto il giubbotto, indossa un paio di jeans e un maglioncino verde scuro, che mi ritrovo a notare particolarmente intonato al colore degli occhi.

"Però, riesci sempre a dare brillante prova di perspicacia, tu." Ribatto, sarcastica, punzecchiando con la forchetta un malcapitato chicco di farro. Della genuina fame di poco fa sembra non esserci più traccia. Il mio stomaco è stranamente annodato su sé stesso, e si oppone con tutte le sue forze alla mia intenzione di mandar giù il contenuto del mio piatto.

Stupida, inutile e invalidante timidezza. Ho l'impressione che questo pranzo sarà leggermente diverso da come me lo ero immaginato. 

Quando si inciampa in una storia d'amoreWhere stories live. Discover now