Capitolo 27

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Il pomeriggio seguente, Stefan si recò al Dipartimento della Difesa, dov'era di stanza l'ufficio del colonnello Mark Huber. Quest'ultimo era seduto alla sua scrivania con le maniche rimboccate sugli avambracci, mentre consultava degli incartamenti con il rumore di motori accesi e ferraglia in movimento che giungeva dall'ampio cortile.

Stefan osservò il suo superiore avvolto dal fumo acre del sigaro, che si consumava adagiato sul posacenere accanto alla sua mano. Si accostò alla finestra e gettò un'occhiata fuori. Dinanzi al cancello del Palazzo erano allineati i tozzi autocarri delle guardie d'assalto, che scalpitavano con le armi in mano e il ciondolio delle gamelle nella frettolosa partenza per il fronte. Degli ordini perentori, emessi da ufficiali dalle posture erette, echeggiarono per l'intera area, mentre i soldati si chinavano sugli zaini, affrettandosi poi a stiparsi sui camion. I teloni laterali furono abbassati e le manate dei sergenti incisero sui tetti delle cabine guida nell'ordine di partenza.

"Dove sono diretti?" chiese Stefan. Huber afferrò il sigaro, torcendolo nel posacenere.

"Smolensk!"

"In Russia?"

Il colonnello annuì, assumendo un'espressione accigliata; gli occhi gonfi per il troppo lavoro e le rughe accentuate da un leggero pallore. Stefan lo vide stanco, morigerato nel lavoro che non gli consentiva un momento di riposo. Riportò lo sguardo fuori, nel cortile. Le fiumane di soldati si diramavano su altri automezzi e i clamori andavano attutendosi, fino a quando anche l'ultimo fu partito e nel cortile si propagò il silenzio.

"Sai Stefan, mi ricordi un tenente che ho conosciuto giorni fa quando ho sostituito un amico nelle prigioni del Reich. Si era presentato per tirare fuori di prigione un suo sottoposto, adescato da un poliziotto che faceva prostituire la sorella in un bordello e di cui Smith ne era complice e corrotto!"

Stefan si corrucciò. "Mi ricordo di Smith. È stato con te al Dipartimento e poi lo hai fatto trasferire nelle prigioni di Stato. Che fine ha fatto?"

Huber allineò le scartoffie che aveva in mano. "Per le sue scorribande l'ho spedito a fare il furiere sulla linea francese!"

"E il tenente?" gli rammentò, assottigliandosi sul paragone iniziale.

Il colonnello si fermò. "Era in partenza per la Russia. Aveva uno sguardo fiero e un portamento umile." Fece una pausa. "E si preoccupava per il suo soldato." Respirò profondamente. "Spero che sopravviva per fartelo, un giorno, conoscere!"

"Sempre che sopravviva anch'io!"

L'amico assentì con garbo per poi proseguire. "Tu e questo tenente avete gli stessi occhi; lo stesso sguardo fiero. In voi si legge quello struggimento per un percorso bellico che il vostro ideale non consegue con la stessa intensità della Nazione, rendendovi paladini di gesti nobili con il solo scopo di riportare sane le chiappe a casa!"

"Io volevo fare il sommergibilista non la guerra. Abbiamo invaso il mondo e il mondo ci odia, senza che io abbia provato odio per qualcuno o abbia mai ucciso nessuno!" si inasprì nel tono. "Il paese si è ritrovato a combattere per la vanagloria di qualcuno istericamente esaltato a giocare a fare il conquistatore!" ribatté con un sorriso stentoreo.

Mark lo scrutò grave. "Non farti sentire, figliolo. Qui le mura hanno orecchie assassine!" lo riprese con voce garbata, pur sostenendo gli stessi pensieri.

Stefan si allontanò dalla finestra per prendere posto su una poltroncina di fronte al suo superiore. "Se dovessimo perdere la guerra saremo tutti nella merda, colonnello!"

Huber lo osservò con occhio convincente. "Se ti dicessi che ho un piano di riserva?"

Stefan scrollò le spalle. Sembrava che quell'uomo potesse tutto, forse anche prendere il posto del fuhrer.

LE CORDE DI KLARA Where stories live. Discover now