Capitolo 38

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Il treno sferragliava veloce sulle rotaie. Klara era concentrata sul panorama verdeggiante, che si annuvolava tra le campagne viennesi. Stefan era seduto accanto a lei, appisolato per la stanchezza accumulata in quella notte rocambolesca.

Alle prime luci dell'alba avevano gettato pochi indumenti in due borse e si erano precipitati alla stazione, salendo sul treno che li avrebbe condotti a Hallstat.

Il viaggio richiedeva almeno nove ore di pazienza, ma lei non era stanca. Trepidava di eccitazione e timore. Erano anni che non vedeva il borgo; il lago; la sua casa.

Sentì il dolce peso del capo di Stefan scivolare ad adagiarsi sulla sua spalla. Il suo respiro si scontrò con il suo collo, facendola rabbrividire. In una sola notte lo aveva reso facoltoso in un giudizio ben valutato in base alle esigenze susseguitesi con svolgimenti inaspettati. Aveva ben compreso il motivo che aveva spinto la sua mamma a insistere su quel genere di formazione.

Aggrottò le sopracciglia. Ripensò alla sera prima. Quei tre uomini avevano saputo ben maneggiare le loro sciabole. Se, invece, della spada medievale avesse impugnato la sciabola di nonno Otto, avrebbe trovato delle serie difficoltà a divincolarsi dai suoi assalitori. Il loro metodo di piegare le gambe negli assalti, padroneggiando nei diagonali, risaltarono nella mente di Klara. Si era scontrata con un eccezionale modo di duellare che anche lei aveva appreso, impartito da un singolare mentore.

Il respiro le si bloccò in un sussulto. L'immagine di quel maestro le apparve nitida col suo sguardo arcigno e severo. Inghiottì lentamente. Non era possibile!

Il volto che apparve nella sua memoria la riportò indietro nella pressione; nei rimproveri; nella tensione impetuosa che aveva inghiottito la sua fragilità da bambina fino a mutarle la mente e renderle tenace la ragione.

E poi ... quelle parole: attenzione, concentrazione, catturare. Il suo volto tremò; le sue mascelle vibrarono. Un nome le sfiorò il ricordo, sebbene pronunciarlo richiedesse cautela nella probabilità in cui le circostanze potessero aderire nel sospetto che la sua mente stava elaborando con accurata attenzione.

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Erano bastati due giorni a Markus per ambientarsi nei locali dell'Ufficio di Sicurezza dello Stato.

Il terzo giorno qualcuno si era premurato di fargli trovare sulla scrivania del piccolo ufficio che gli era stato assegnato un fascicolo di incartamenti da archiviare. Non sapeva ancora su quale piano gli archivi si trovassero, ma decise di sfruttare quell'occasione per impegnarsi sin da subito nel suo ruolo. Riordinò, dunque, quelle carte, selezionandole per date e luoghi; afferrò poi la cartella e si avviò fuori l'ufficio.

Il rumore delle telescriventi e le macchine da scrivere lo sommersero, mentre percorreva la sala centrale dov'erano allineate.

Bussò alla porta di un hauptscharführer (maresciallo maggiore). Come ricevette il permesso di entrare, il soldato aprì la porta. Piantato sull'uscio si pose sull'attenti, producendo un forte schiocco sbattendo i talloni.

Il maresciallo sollevò gli occhi dalle sue scartoffie. Era impettito nella divisa, magro e dai lineamenti algidi.

«Sono il caporale Markus Eder, signore!»

«Riposo, caporale!» fu il rilascio dell'ordine che l'ufficiale rivolse, tornando a occuparsi delle sue carte.

Markus si schiarì la voce e avanzò verso il suo superiore osservandolo dall'alto. «Sono qui da tre giorni, signore. Sono stato assegnato agli archivi e ho bisogno della sua firma per ...»

La sua voce fu spezzata da un'alzata di mano a palmo aperto. Il maresciallo sollevò lo sguardo su di lui e gli fece cenno con due dita di passargli ciò che teneva in mano. Markus eseguì. Era lecito il controllo di un ufficiale superiore su ciò che circolava all'interno di quelle mura prima di essere archiviato.

LE CORDE DI KLARA Where stories live. Discover now