Capitolo 47

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Le inferriate cadevano, tutto tremava, come gli concedesse gli ultimi istanti prima dell'inevitabile. Agatha e Gogol parevano abbandonarsi nell'attesa, la ragazza guardò fisso quel punto dove aveva visto quei due ragazzi per l'ultima volta. Quegli occhi color ambra, che potranno vedere le stelle un altro giorno, quel viso affabile e beffardo che l'aveva pervasa in un attimo solo. Non era giusto, volava urlare, corse avanti ed indietro, cercando una fessura, un qualcosa, per uscire via da lì, ma le macerie avevano bloccato ogni uscita. Corse a nascondersi in un angolino che trovava più sicuro, come volesse avere qualche secondo in più, vedere quella falce con le sue stesse pupille. Si strinse le caviglie chinata e pianse, pianse e urlò da perdere il fiato, non perché stesse per morire, ma perché non aveva mai conosciuto la vita. Perché non poteva stringere lei come aveva stretto lui? Perché solo lei aveva sognato, visto la luce solamente negli occhi suoi e lui no? Perché vedere le stelle per essere illusa e perché lui che diceva non le avrebbe mai viste le ha scoperte al posto suo?
Che vita infame che aveva avuto.
Si premette le mani contro il viso come potesse fermare in qualche modo le lacrime ma un rumore glielo strappò bruscamente. Sentì una risata nervosa, rumorosa, come fossero urla. Si sporse dal suo piccolo riparo, era nikolaj che scavava per terra consumandosi inutilmente le unghia fino a sanguinare. Si alzò avvicinandosi pian piano a lui con un po' di paura.
<<MALEDETTO BASTARDO PERCHÉ! >> Ripeteva e poi man mano il perché veniva smorzato e si buttava nel fango con le lacrime e la sua risata difensiva.
<<Perché doveva essere questa la libertà...>> Ripeteva.
Agatha gli poggiò una mano sulla spalla ma lui la cacciò via con un urlo, come avesse visto qualcun altro. Poi le saltò addosso stringendola forte e rincontrando i suoi occhi si staccò consapevole di aver preso un abbaglio.
<< Chi stai maledicendo?>> Chiese lei, Gogol le sorrise ancora, le toccò il viso e disse:
<<Non potrei mai farlo, non lui, non provo alcun rancore...>>  In un secondo la ragazza vide in lui un espressione serena, come l'altra forse scomparsa, e l'occhio più chiaro la guardava come dentro contenesse un cielo limpido, ma bastò poco che già stava tornando nuvoloso e gli accenni del forzato sorriso tornarono sul suo volto.
Un pezzo gli crollò affianco e la terra tremò sempre di più. Gogol strinse a sé Agatha lasciando che poggiasse il volto sul suo petto ed insieme si chianarono al suolo, ricoperti da tutti i detriti che gli caddero addosso.
Chiusero gli occhi.

Nikolaj si sentiva più leggero, si vedeva come al solito, ma come svuotato da qualunque peso. Girò e rigirò con una giravolta sentendosi come una rondine d'aprile, poi sentì qualcosa tra le tasce, la afferrò, era la carta che gli copriva l'occhio, il sei di quadri, intrinso di sangue, con un sorriso nero inciso sopra. La gettò via, volendosi dimenticare di lui,  ci riusciva facilmente.
Tutto intorno era confuso, pareva di trovarsi sulla neve, ogni cosa era ricoperta da un candido manto bianco, che i suoi segni incidevano ad ogni passo. Qualche impronta però era già presente, le seguì come sentisse di doverlo fare, senza ricevere comandi.
Più avanzava e più le impronte si facevano piccoline da fare tenerezza, avvicinandosi ad un casolare. L'aveva riconosciuta la sua Vasilyevka, corse seguendo le tracce, vide i bambini pattinare sul laghetto ghiacciato nascondendosi sotto al ponte, madri che  tenevano altri piccoli per mano scaldati da lunghe sciarpe. Percorse quelle strade scivolose, case su case, tronchi d'alberi tinti di bianco, per ritornare alla via  che conosceva meglio. Però in quel momento la gioia parve scomparire. Gli bastò vedere una casa con la coda dell'occhio per rimanere pietrificato, ma le impronte portavano lí. Le seguì e si affacciò alla finestra passandoci la mano per vedere nonostante i vetri appannati.
C'era un piccolo bambino con i capelli d'argento,  legati in una piccola codina dietro la testa, indossava abiti pesanti e guardava fisso la fiamma scoppiettare nel camino.
<<Nikolaj senti qua!>> Si udí una voce con il classico accento freddo di quei paesi,
Era un uomo con i capelli scuri, a caschetto, che scriveva chino sul suo scrittoio.
<<Un uomo guida l’auto con la moglie e il figlio piccolo. Un ispettore li ferma “Vede, lei è ubriaco”, dice il poliziotto. L’uomo insiste che ci sia stato un errore chiede al poliziotto di fare lo stesso controllo anche alla moglie. Anche lei risulta ubriaca. Esasperato, l’uomo invita adesso a fare lo stesso controllo anche al bambino e quando anche il figlio risulta ubriaco il poliziotto li lascia liberi dicendo: “probabilmente la macchinetta è rotta”. Superato il controllo l’uomo si rivolge alla moglie: “vedi, ti avevo detto che non sarebbe stato male dare al bambino cinque grammi di vodka”.>> Gli lesse l'uomo ed inziò a ridere di gusto, il piccolo si unì a lui e anche Gogol fuori alla finestra sorrise.
<<Mi piace Papá!>>
<<Sisi è bellissima!>> Disse l'uomo come parlando con sé stesso, prese il foglio e si alzò andando in un altra stanza come il bambino non esistesse. In quel momento Gogol fu affiancato da una donna che portava il viso chino sui piedi, stringendo tra le mani un rosario.>> Entrò senza bussare ne nulla ed il bambino si zittì repentinamente.
<<Nikolaj porta vodka. VELOCE>> il bambino corse a prendere la prima bottiglia tra le tante che trovò e la pose alla madre che subito inziò a scolarla. Poi trascinò il bambino con sé portandola in una saletta con un altarino dove rimasero ore e ore a pregare sebbene quest'ultimo si scocciasse e stare tanto tempo piegato, era per lui più una tortura, con l'aggiunta d'altronde di pugni, schiaffi e altre sbarle ad ogni minimo errore e distrazione.
Nikolaj si voltò non volendo rivedere quelle scene, perché sapeva cosa succedeva la sera quando la madre era ubriacata, si voltò verso l'orologio sulla strada, era passato un sacco di tempo. Si rivoltò verso la casa ma non c'era più nessuno, non c'era la casa non c'era il bambino, ma si trovò davanti una strada nera color carbone, gli alberi erano rimasti dello stesso colorito bianco ed in lontananza si vedeva la cattedrale di san Pietro e San Paolo. Questa era la sua San Pietroburgo.
Come a Vasilyevka anche lì c'erano delle impronte, stavolta più grandi,.che seguì. Non camminò tanto, poiché bastarono pochi passi, e si trovò davanti quello stesso bambino, ormai cresciuto, che camminava stringendosi in una sciarpa bucata, dal colore bluastro. L'aveva molto probabilmente trovata per strada, però non pareva dispiacergli. Camminava come fosse una vecchietta portando la sciarpa sopra la testa, chinandosi come nascondesse qualcosa. Gogol lo seguí fino a che non svoltò in un luogo che ai suoi occhi era troppo familiare. Si trovarono davanti ad un capanno, con un campo innevato cinto da una staccionata, tutto ormai usurato ed abbandonato.
<<Hey...esci fuori.>>>
Disse il bambino bisbigliando, poi sbuffando ripeté di nuovo
<<Mi hai sentito? Pss...esci!>>
Un cagnolino dal manto bianco privo di una zampa uscì fuori sbuffando dalla porta  del capanno, nikolaj gli andò incontro infilandoci il viso dentro e dandogli quel tozzo di pane che aveva rubato, ma vide un taglio sulla coscia, profondo ed ancora sanguinante, non ebbe il tempo di muoversi che alzando gli occhi si trovò contro la figura di un bambino, aveva i capelli scuri, ed occhi violacei cosi tenebri da far paura, stringeva un coltello ancora sporco in mano.
<<Hey tu! Chi sei.>>
<<Tu invece? Perché dai il tuo pane a quello.>>
<<Perché no? I cani sono belli da tempo ho il sospetto che i cani siano più intelligenti degli uomini. Sono dei grandi politiconi: osservano ogni cosa, non perdono una sola mossa di una persona.>>
Rispose il bambino iniziando a ridere, ma non era una classica risata, era dovuta al coltello nelle mani dell'altro bambino.
<<Hai fame. Uccidilo, che senso ha non farlo? È la vita, devi pensare a te.>> Gli rispose l'altro di ghiaccio, e gli mise in coltello tra le mani, le strinse alle sue come stessero facendo un sacrificio. Nikolaj non disse nulla, guardava inerme, una parte di lui voleva staccarsi, voleva bene a quel cane, ma l'altra...
Inziò a sorridere e con il bambino sprofondò la lama nel petto nel cane, lasciandolo in una pozza di sangue.
Nikolaj rimase a guardarlo contorcersi negli stenti, mentre Dostoevskij, come se l'altro non esistesse, ci infilò la testa a pieno lasciando che la bocca sgrondasse di sangue.
Il sorriso sulle labbra di Gogol si fece ancora più grande guardando quel viso, una parte si sentiva quasi ammaliata.
Il sole inziò a sorgere all'orizzonte e come fosse un rumore stordente mise sull'attenti Dostoevskij che ritornò nella capanna portando con sé la carcassa.
<<Dove vai?>> Chiese il bambino,
L'altro non rispose.
Gogol provò ad insistere ma l'altro non si mosse dal capanno, eppure lanciò verso di lui un pezzo sfilacciato di carne sanguinante.
<<Hai fame.>> Disse prima di chiudersi nel silenzio. Gogol lo mise nelle tasche, che si macchiarono di rosso e andò via.
Camminando senza meta continuava a vedere la macchia rossa sulle sue vesti e dentro si sentiva come strizzato. Un qualcosa lo pressava, gli fischiavano le orecchie quasi a stordirlo. Si buttò sulla neve, in un vicolo nascosto, tappandosi le orecchie ed urlando senza voce. Cosa aveva fatto? Voleva mangiarlo. Era una assassino, un mostro? Era compiaciuto dalla visione. Si passò le unghia in faccia segnandosi il viso dalla fronte alle labbra e si chiuse a riccio. Rise, rise tantissimo, non riusciva a smettere e le lacrime scorrevano più forti.
Divorò quel pezzo di carne poco dopo.
Il giorno seguente, durante la notte tornò da quel bambino, rinfilandosi nella capanna. Questo lo vide entrare ma non disse assolutamente nulla, guardandolo dalla parte opposta alla porta.
<<Come ti chiami? Anzi facciamo un gioco indovina il mio nome!>>
<<Fëdor... Dostoevskij.>> Disse il ragazzo come fosse disgustato dall'ultima parola.
<< Ed io?>>
Fëdor non rispose.
<<IO? Dai la risposta è semplice!>>
<<Vuoi fare un quiz?>> Rispose il bambino con un aria quasi derisoria, dovevano avere entrambi sui dodici anni, ma Dostoevskij aveva uno sguardo molto più vissuto.
<<Quiz...? MI PIACE! ok la risposta al "quiz" è nikolaj Gogol...  PERFETTO! QUINDI LA RISPOSTA È?>> Disse un confuso Gogol parlando un po' con fëdor un po' con sé stesso.
<<Nikolaj Gogol.>> Ripeté il ragazzo e l'altro urlò dalla gioia:
<<RISPOSTA ESATTA...ma aspetta->>
<<cosa mi dai.>>
<<Dai...?>>
Dostoevskij si avvicinò a lui accerchiandolo come uno schiavo.
<<Sei da me...cosa cerchi, cosa vuoi darmi.>>
<<Oh giusto dimenticavo!>> Disse Gogol, ed estrasse dalla tasca una mela rubata al mercato.>>
Gogol si rigirò ritornando nell'angolo buio.
<<Mangiala tu. Non la voglio.>>
<<COME SEI MISERICORDIOSO! GRAZIE.>>
<<Non urlare...dio abbi pietà di me tuo umile servo.>> Disse poi Dostoevskij a mani ingiunte parlando tra sé e sé.
Gogol spazzolò via la mela, ormai era un sacco di ossa, aveva fame e per lui quello era oro.
<<Ah ho trovato anche questo!>> Disse Gogol, si allontanò pochi secondi iniziando a scavare tra la neve, poi disse:
<<Eccola!>> la porse a Dostoevskij.
Era vodka.
<<Non bevo, odio queste cose materiali.>>
Nikolaj rimase a guardarlo perplesso, stappò la bottiglia e si bevve un sorso, poi disse:
<<Perché?>>
Dostoevskij ricambiò lo sguardo impassibile poi disse:
<<"Tenetevi lontani dalla cupidigia perché, anche se uno è nell'abbondanza, la vita non dipende da ciò che egli possiede">> recitò Dostoevskij e gogol completò in maniera quasi meccanica:
<<Luca 12:13-21>>
Dostoevskij rimase in silenzio, poi nikolaj disse:
<<Ma anche tu sei di carne e sei materiale, e lo sono tutti gli uomini sulla terra e poi non sai nemmeno se Dio esiste quindi cosa ti costa? Tanto crede nel perdoni bevi e chiedi perdono no? Poi è misericordioso sono sicuro che non vorrebbe che dei bambini morissero dal freddo.>>
Dostoevskij non disse nulla per qualche secondo poi con una voce irritata disse:
<<Queste sono le parole di uno stolto, sventato>>
<<Hanno un bell'essere stupide le parole dello sventato: esse, a volte, sono sufficienti per confondere l'intelligente.>> Rispose nikolaj tranquillo come nulla fosse e Dostoevskij sorrise.
Nel mentre il vero Gogol che li guardava ebbe un brivido e nelle orecchie risentí come un brusio le parole che una volta gli aveva detto Dostoevskij "Vi sono, per ciascun uomo, dati discorsi, che gli riescono in qualche modo più vicini e più connaturati degli altri discorsi. E spesso, quando meno ce l'aspettiamo, in chissà che cieco, sperduto angolo di mondo, in chissà che solitudine selvaggia, incontri un uomo, la calda conversazione del quale ti fa scordare le impraticabili strade e la falsità degl'inganni che ingannano l'umanità. E al vivo ti s'incide dentro, una volta per sempre e in eterno"
Ogni notte inziarono a vedersi, legandosi con quella loro strana "amicizia" Gogol era come intrigato da fëdor, ne era profondamente attratto. Col passare del tempo non fu per lui difficile scoprire la vera natura del compagno perché volle egli stesso diventare come lui, ma fu difficile scappare da quell'incredibile eccitazione, l'estasi che aveva provato nel sentire il sangue di Dostoevskij scorrere in lui, come un nuovi battesimo.  Entrò quasi in trance quando quelle bianche zanne si infilarono nella sua carne, sentì un brivido e un calore allo stesso tempo. E quando la mano ferita di Dostoevskij entrò un contatto con il suo collo dovette nascondere le gambe con le mani per non rivelargli la sua erezione.
D'altra parte in cuor suo sentiva nel compagno un minimo di sentimento, ma non poteva che affidarsi alla speranza e all'immaginazione, perché fëdor era incomprensibile.
Quando divennero simili fëdor lo portò con sé in lungo e in largo per cibarsi, ogni notte, dal tramonto all'alba, agivano.
<<Cosa ti ha portato qui?>> Chiese Gogol mentre staccava un braccio dalla carcassa di una signorina.
<<Perché lo chiedi?>>  Rispose lui alzando la bocca dal collo candido della fanciulla
<<Perché non dovrei? Vuoi indovinare perché io sono qui?>>
<< Mio padre è era uno stronzo, ciò che possedeva lo rendeva ai suoi occhi onnipotente, schiacciando tutti coloro che lo circondavano. Mia madre era una donna di fede, che curava 8 figli con le sue sole forse fino a morire dalla malattia. Io ero l'unico superiore, a mio padre, ai miei fratelli,  e per volere di Dio ho ucciso tutti loro prima che lo facessero con me, lasciando i suoi sottoposti gioire sulla sua carcassa.>> Raccontò Dostoevskij, poi guardò Gogol incitando a fare altrettanto.
<<I miei non erano male, mio padre era uno scrittore di commedie, mia madre era molto religiosa ma lei beveva, non come te. Sono scappato di casa quando mi ha fatto questo.>> Disse indicando le cicatrici sul viso.
<<Capisco>> rispose Dostoevskij.
<<Domani parto.>> Aggiunse freddo come il ghiaccio.
<<FANTASTICO DOVE ANDIAMO? VIENNA? BERLINO? ANZI NO NON DIRMELO FACCIAMO UN QUIZ!>>
<<tu non vieni.>> Lo fermò fëdor con il medesimo tono.
<<Rimango...qui?>>
<<Esatto.>>
Gogol rimase bloccato, gli occhi inziarono a diventare lucidi.
<<VOGLIO VENIRE ANCHE IO!>> disse saltandogli addosso, Dostoevskij provò a scansarlo ma mai come prima Gogol si impose tenendogli in polsi ancorati al suolo, fëdor lo lasciò fare.
Rimasero pochi secondi cosí in silenzio  poi il corvino disse:
<<Quello che vuoi è contro Dio ed il mondo intero.>>
<<CHE SAI SEMPRE TUTTO TU! E TU E TU E TU!?>> Gli gridò in faccia, con il solito sorriso forzato che gli faceva male alle guance e le lacrime pronte a cadere.
<<Dio è pietoso.>> Aggiunse Gogol, e si sporse su fëdor premendosi sulle sue labbra.
Nikolaj sentiva paura, dentro di sé tremava, perché non poteva sapere cosa avrebbe fatto Dostoevskij, ma quel demone era più che sereno. si insinuò tra le sue labbra con la lingua e si girò sopra di lui, iniziando a strappare i bottoncini di quella logora Camicia. Lo fece suo e lo abbandonò.
Proprio come il cane, l'aveva adescato e sacrificato per il bene proprio.
Allora lo illuse con la passione, con i baci scendere sul corpo, con le spinte intense dentro di lui, che gli regalavano grida goduriose e affanni, la considetta lussoria di cui lui parlava, era il calore che sentiva nella parte inferiore del corpo mentre il corvino si muoveva dentro di lui fino a che non fu soddisfatto.
Era forse amore questo? No, lui era solamente una pedina, l'aveva abbandonato a 16 anni e qualche anno dopo tornò perché gli tornò utile, quell'anno gioí ma in realtà forse sarebbe stato meglio non incontrarlo affatto.
Gogol si sentì sprofondare al suolo, la terra si aprì sotto di lui lasciandolo cadere, ed ecco che sentiva di nuovo quel corpo dolorante che aveva dimenticato, e quello piccolo e fragile di Agatha stretta a lui. Il sole ormai era sorto, e tra le fessure si infilavano i raggi di luce ustionandogli la pelle. Non era mai stato tanto simile a quella regazza, o meglio se ne era accorto solo ora. Sentiva il cinguettio degli uccelli al di là di quelle macerie, sentiva lo sbattere delle loro ali e per una volta non sentiva l'altro lui. Si fece spazio fino a salire in superficie,vAgatha gli tenne la mano aiutandolo con uno sguardo sereno, erano entrambi finalmente beati, pronti a raggiungere quel canto. Un raggio di sole li baciò, e divennero polvere al vento. Divennero la pace che avevano sempre chiesto, e il nulla che erano sempre stati.

𝓑𝓵𝓸𝓸𝓭𝔂 𝓵𝓸𝓿𝓮 // 𝓼𝓸𝓾𝓴𝓸𝓴𝓾Where stories live. Discover now