Parte I ▪︎ Una giornata qualunque

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Mia Black era annoiata. A morte. Era sdraiata nella stessa posizione da quasi un'ora e non riusciva a trovare la forza di volontà per alzarsi.

"E se anche mi alzo, poi cosa faccio? Mi butto sul divano?" pensò sardonicamente.

Odiava l'estate proprio per quel motivo: era a casa da sola quasi tutto il giorno senza niente in programma da fare o i genitori che la spronavano, fastidiosamente, a fare qualcosa - qualsiasi cosa - e quindi si ritrovava a passare le giornate alla ricerca disperata del punto più fresco all'interno dell'appartamento, aspettando con ansia il primo pomeriggio, quando avrebbe potuto attivare il condizionatore. Allora bastava buttarsi sul letto in camera sua con la porta spalancata, a leggere o a utilizzare il telefono.

Di giorno, comunque, era impossibile uscire: faceva troppo caldo. Già alle 9:00 di mattina, quando apriva le imposte delle finestre nelle varie camere da letto, le bastava affacciarsi un momento per sentire il terribile calore sulla pelle e l'aria pesante e afosa strisciarle in gola e bloccarle il respiro. Durante il pomeriggio solo un pazzo sarebbe uscito di sua spontanea volontà, sotto il sole cocente di luglio, che anche nascosto dietro le nuvole o scosso da un temporale faceva sudare, raggrinzire e seccare la pelle nell'istante stesso in cui si metteva piede fuori casa.

Era di sera che la temperatura si abbassava un pochino e allora forse, se era dell'umore giusto, riusciva a raccogliere le energie per prendere la bici e pedalare fino in paese, dove le sue amiche la aspettavano davanti alla scuola per le 21.00. Solo che lei arrivava quasi sempre in ritardo e quindi alla fine doveva raggiungerle in centro, dove passavano un paio di ore a chiacchierare sedute su una panchina troppo corta per accoglierle tutte e quattro o a girare senza una meta, battendo e ribattendo le stesse tre viette fino alle 23:00, quando arrivava l'ora di tornare a casa. Allora risaliva in sella alla bici, salutava le ragazze alla prossima volta e si rifaceva da sola la strada fino a casa, dimenticandosi quasi sempre di accendere le luci sulla bici perché le macchine potessero vederla.

Mia si mosse irrequieta sul letto. Si girò su un fianco, sbuffò, e si rimise a pancia in su, osservando il soffitto bianco della sua cameretta.

"Non sono sempre stata così" pensò. Ed era vero.

Quando sei anni prima era arrivata in quel paese dimenticato da Dio, con la sua nuova famiglia adottiva, aveva solo dieci anni ed era piena di vita. I ricordi prima dell'adozione erano un ammasso confuso di immagini, colori e suoni senza senso che le risultava quasi impossibile da districare, ma era sicura di essere sempre stata più vivace. Non sapeva esattamente cosa fosse successo - se era successo qualcosa - o come avesse fatto a cambiare così tanto in così poco tempo.

Se doveva tirare a indovinare, probabilmente avrebbe puntato sull'azione combinata dei suoi nuovi genitori - che la consideravano un'enorme delusione e non l'avevano ancora riportata all'orfanotrofio solo perché, a detta loro, non potevano affrontare pubblicamente la vergogna di una figlia così insoddisfacente -, il triste paesino, l'assurdo tempo che sembrava faticare a seguire le stagioni e la mancanza di amicizie, di qualcuno per cui valesse la pena alzarsi alla mattina con un sorriso e uscire di casa sfidando il caldo, il gelo, il vento e la pioggia pur di stare insieme.

Quando era arrivata a Getòn aveva faticato a integrarsi con i bambini del posto, che l'additavano da lontano con un sogghigno perfido, le tiravano i capelli e la prendevano in giro per via della sua pelle pallida - "Guardate, il fantasma!" - del sorriso che si dipingeva sempre spontaneo sul suo volto magro - "Che cosa ti sorridi, stecchino? Che scema..." - e della sua salute cagionevole, a causa della quale era sempre la prima a prendere l'influenza e l'ultima a guarirne, e lo stesso con qualsiasi malattia che la sfiorasse.

Non che col tempo avessero smesso di infastidirla - anzi, crescendo molti si erano fatti in qualche modo ancora più crudeli, ampliando il loro fantastico dizionario di volgarità, sarcasmo, battute e scherzi malvagi -, ma almeno infine non era più sola. Quasi tre anni prima, infatti, aveva stretto amicizia con una sua compagna di classe delle medie: Jules Crevaux.

Mezz'anima || IN PAUSA ||Where stories live. Discover now