Ricordi di una vita passata

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Efri Setca aveva due anni. La mamma le stava spiegando qualcosa, ma lei non stava ascoltando: era appena riuscita a capire il significato di una nuova parola sul libro che le aveva regalato la zia e non vedeva l'ora di impararne un'altra!

Mamma. Papà. Zia. Zio. Hèic. Èmpidz. Chìdze. Magia. Si. No. Forse. Non voglio. Ancora. Grazie. Scusa. Prego. Per piacere. Dèzwa. Pìnre. Gechìdzre. Shia.

Queste erano alcune delle parole che aveva imparato a dire, le sue preferite. Sicuramente in quel momento glie n'era sfuggita qualcuna, ma non era importante perché ne aveva una nuova da aggiungere: uchìnre, girasole.

Alcune delle sue parole preferite erano nell'antico alfabeto Geriu-wai, un tempo utilizzato correntemente dalla popolazione magica di streghe e stregoni. Quasi un secolo prima però era stata istituita una nuova lingua, creata affinché le creature di ogni specie fossero in grado di comunicare tra di loro. Ad esempio: "hèic", "èmpidz" e "chìdze" erano le antiche parole per "erba", "albero" e "fiore"; "dèzwa" era un termine che usava spesso la madre di Efri, quando lei e Shia combinavano qualche guaio, e significava "monelle", mentre "pìnre" e "gechìdzre" erano due fiori che Efri aveva scoperto sul libro che la zia le aveva regalato: la "rosa" e la "margherita".

Il girasole, o uchìnre nella lingua Antica, era un fiore bellissimo, il suo preferito ora, con i petali gialli e il disco marrone, che si schiudeva solo in presenza del sole ed era sempre orientato verso di esso. O almeno questo era ciò che aveva dedotto Efri dalle belle immagini disegnate sulle pagine spesse del libricino.

«Efri? Mi stai ascoltando?» chiese d'un tratto la madre, Kwayvi Setca, lanciandole uno sguardo severo.

«Si, mamma» rispose la piccola, ma anche mentre parlava, ciò a cui in realtà stava pensando era: "Due delle mie parole preferite in una sola frase!". Beh, non in modo così complicato, visto che aveva solo due anni, ma in ogni caso il punto era che non stava prestando la benché minima attenzione alla madre.

Kwayvi - o Kway, per amici e famiglia - fece un sospiro esasperato e allungò la mano per afferrare il libro illustrato che la sua migliore amica aveva regalato alla bambina.

«Basta per oggi, e se non fai la brava non lo rivedi più!» disse con voce ferma, anche se sapeva già che non sarebbe mai stata in grado di privare sua figlia di uno degli oggetti a cui teneva di più.

«No! Libro! Mio!» esclamò la bambina, alzandosi da terra e allungandosi per riprendere il libro dal mobile sul quale la madre l'aveva appoggiato. Inutilmente, visto che quello era alto un metro e cinquanta e lei raggiungeva al pelo gli ottanta centimetri.

«Basta, Efri» ripeté Kway, sollevandola da terra e mettendola seduta sul tavolo, per essere sicura che questa volta la ascoltasse. «Smettila, adesso» aggiunse spazientita quando la bambina continuò ad agitarsi e a piagnucolare. Efri si zittì all'istante, riconoscendo il tono della madre come il limite da non superare. Aveva due anni, ma era una bambina furba e stava imparando velocemente quando era il momento per comportarsi da piccola ribelle e quando invece conveniva rispettare le regole e fare quello che le veniva detto.

«Oggi io e papà andiamo a visitare i nonni, quindi tu e Shia rimarrete qui al castello con Deery...» spiegò lentamente alla figlia, parlando in modo chiaro per essere sicura che capisse. Non perché fosse stupida o ché - anche per gli standard della comunità delle streghe era una bambina alquanto intelligente, forse fin troppo per il suo bene -, ma perché la sua capacità di rimanere concentrata su qualsiasi cosa era quasi inesistente, soprattutto quando anche il suo livello di interesse per l'argomento era basso.

Ad ogni modo, Efri Setca si raddrizzò di colpo con gli occhi sgranati ed esclamò: «Zia!».

«Non è davvero tua zia, te l'abbiamo già detto...» ribatté debolmente la madre, non particolarmente turbata. Almeno adesso aveva la sua attenzione. «Comunque», riprese prima che la figlia avesse il tempo di interromperla di nuovo, «Si, starete qui con Deery, quindi vedete di comportarvi bene, ok? Non fatela impazzire!»

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