Capitolo 16

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Rientro in casa più delusa di prima nel sapere che dietro tutto c'è Damian, un ragazzo a cui voglio un gran bene e Michele, il ragazzo che ho amato e che infondo amo tutt'ora.
Sapere che lui mi cercava mi ha un po' scossa, in questo momento il mio cuore mi dice di correre da lui ovunque si trovi ma la mia testa mi dice che è un idea stupida e che non posso passare sopra tutto quello che mi ha fatto tanto facilmente.
L'ultima volta che l'ho visto, apparte l'altro giorno, è stata quando mi ha vista in condizioni pessime, picchiata a sangue, disperata e non ha fatto niente.
Ha cambiato stato, non tornerà più
Ricordo ancora le parole di Damian come se me le avesse detto un secondo fa.
Questa frase ha rimbombato nella mia testa per giorni prima che finalmente riuscissi ad autoconvincermi che andare avanti era la miglior cosa per me e per la salute del mio bambino.
Damian non si è accorto di lui, e forse è meglio così.
Se Michele lo sapesse tornerebbe indietro, cosa che devo assolutamente evitare per il bene del piccolo.
Che vita sarebbe con Michele al suo fianco?
Che poi, al suo fianco è un modo di dire.
Conoscendolo continuerebbe a fare con lui come ha fatto con me nell'ultimo anno: viene, fa il dolce, poi sparisce settimane senza lasciare traccia e senza dare un minimo di spiegazione.
Ora so cosa faceva in quelle settimane e la domanda che mi sorge più spontanea è: ma io, al posto suo, cosa avrei fatto?
Ora che sono nel suo stesso ambiente e ne conosco i pericoli so che forse avrei fatto esattamente la stessa cosa.
Pensare che sono più simile a lui di quanto pensassi fa scaturire in me una serie di brividi sparsi in tutto il corpo.
Per quanto la giornata sia uggiosa mi trovo costretta a rimettermi sul mio amato mezzo per dirigermi nei garage, che sono ormai diventati il mio rifugio quando il mio cervello inizia a pensare cose che non mi stanno a genio.
Una volta arrivata trovo posteggiato il motorino rosso di Alessio, segno che è qui da qualche parte.
«Alessio, sono io» urlo per farmi sentire, prima che possa fare come me ieri mattina con mio zio.
«Va bene! Sono in sala computer!» mi urla dall'altra stanza.
Prima di andare da lui entro in cucina e mi prendo qualcosa da bere.
Mi dirigo poi verso la sala, notando che tutte le luci sono spente.
Alessio è illuminato da una piccola lampada posta sulla sua scrivania e dalla luce dei monitor.
Mi siedo accanto a lui e continuo a sorseggiare la mia bibita mentre lo guardo lavorare.
«Vuoi parlarne?» mi guarda negli occhi e io evito il suo sguardo.
«Di cosa?» chiedo facendo finta di niente.
«Casa del tuo amico non è insonorizzata come questo posto, un paio di urla si sono sentite, soprattutto le tue finali» mi dice ridendo sotto i baffi, riferendosi alla mia scenata con tanto di Lo uccido.
«Beh, significa che manderemo qualcuno ad insonorizzarla» dico cercando di apparire più ironica possibile e con un mezzo sorriso.
«Dai davvero, se vuoi puoi sfogarti, tanto non ti sente nessuno. L'importante è che non mi uccidi, ci tengo alla mia vita» dice ridacchiando alla sua ultima affermazione. In risposta riceve un pugnetto sul braccio e subito si porta la mano sul punto colpito fingendosi dolorante.
«Apprezzo il tuo sacrificio, ma non mi va» dico continuando a fare piccoli sorsi dalla mia bottiglietta.
Mi guarda un attimo prima di alzarsi.
«Vieni» mi dice con un gesto della mano che mi propone di seguirlo.
Mi fa entrare in sala armi e indossa un paio di cuffie imbottite e me ne passa un paio anche a me.
Successivamente mi passa una pistola.
«Ale non voglio ucciderti, davvero, non mi servi morto» dico ridendo.
«Metti bene le cuffie sulle orecchie e spara al bersaglio sul muro» mi dice sistemandosi le sue.
Inizio a sparare, ed effettivamente un po' mi aiuta a sfogare il nervosismo che i pensieri di stamattina mi hanno causato.
Finito il caricatore Alessio si sposta le cuffie e mi fa segno di togliere le mie.
«Meglio?» mi guarda con affetto.
«Decisamente» rispondo posando la pistola sul tavolino al centro della stanza.
«Io lo faccio sempre quando sono nervoso, aiuta a sfogare» dice triste e abbassando lo sguardo.
«Ale, non te l'ho ancora chiesto, come mai sei in questo giro?» chiedo curiosa.
«Lavoravo in un autolavaggio, Luca stava impazzendo con il computer e l'ho aiutato. Ha visto che ero (parole sue) "sprecato" là e mi ha portato da tuo zio» dice con un misto di tristezza e felicità. Mi guarda negli occhi prima di continuare.
«Mi servivano soldi, i miei non riuscivano ad arrivare a fine mese. Tuo zio me ne ha offerti di più rispetto alla paga dell'autolavaggio. Ed ecco come sono finito qua, adesso questo lavoro è tutta la mia vita» dice orgoglioso guardandosi intorno.
Il telefono squilla e vi leggo sopra il nome di mio zio.
«Ciao zio, dimmi» rispondo tranquillamente.
«Leila! Dove sei?» dal tono di voce riesco a percepire la sua agitazione.
Sento passi veloci, cosa che mi fa presupporre si stia muovendo in fretta.
«Ai garage con Ale, perché?» dico più calma possibile.
«Ok, non uscite da lì non vi muovete» dice agitato.
«Che succede? » chiedo
«Un gruppo di ragazzi, non nostri, sono qua sotto stanno cercando qualcosa, si sono già divisi, un paio stanno venendo verso di voi » mi dice agitato.
«Ale attacca le telecamere qui fuori» dico mentre continuo a stare al telefono con mio zio. Alessio segue i miei ordini e velocemente mette sul monitor la ripresa in tempo reale delle videocamere di sicurezza nascoste all'esterno dei garage.
Effettivamente, quattro ragazzi si aggirano qua davanti, altri stanno osservando come entrare dalle altre entrate.
«Non è un gruppetto zio, saranno una decina qua fuori» dico mentre l'ansia inizia a impossessarsi del mio corpo.
«Non uscire Leila! Fai chiamare qualcuno e falli venire più silenziosi possibile!» dice in preda a un attacco di panico.
«Tranquillo zio, fammi fare una chiamata, ti richiamo io» dico chiudendogli il telefono in faccia prima che possa rispondermi.

Il Segreto Di FamigliaOnde histórias criam vida. Descubra agora