CAPITOLO XXXVIII

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Il corpo immobile, disabituato all'assenza del rollio, l'aveva fatta sprofondare in un sonno ottenebrante, ma fu proprio in quel momento, in cui stava realizzando di essere precipitata in una beatitudine sconfinata, che il suo inconscio le mandò una scossa, un boato rosso nel buio della sua mente che si sovrappose alla realtà.

Si svegliò di soprassalto, appena in tempo per percepire delle ombre nella notte che la sovrastavano. Si trascinò gattoni lontano da lì e si tirò su, sguainando il pugnale, senza sapere in che direzione puntarlo. Le grida strozzate e i mugugni riempirono l'aria umida e un urlo di dolore squarciò la notte. Calò il silenzio, sentì un rantolo e un tonfo, quello di un corpo che cadeva al suolo. Per un istante, il profondo e viscerale terrore, che quel corpo fosse di Alec, la attanagliò impedendole qualsiasi movimento.

«Sari», la sua voce le sciolse le gambe. Si diresse verso di lui, stringendo il pugnale tra le dita tremanti.

«Sono qua», sussurrò. I passi incerti facevano scricchiolare le foglie secche. Quando intercettò le sue mani con la sua si girò indietro, scrutando l'oscurità senza riuscire a vedere niente. C'era solo silenzio oltre i loro respiri affannati.

«Marlon!» chiamò il ragazzo, sperando di ottenere una risposta, ma tornò indietro solo l'eco. Rinfoderò l'arma e si avviò tentoni nella direzione da cui erano provenuti i rumori della lotta.

«Marlon!» Alec la seguì, rimanendole vicino.

«Qui...» sentì la voce sofferente provenire da poco lontano. Si gettò a terra e cercò il ragazzo tastando il terreno. Pestò rami e urtò una pietra, ma non le importò delle escoriazioni. Lo trovò accovacciato per terra. Gli passò le mani sulle braccia e sul petto incontrando la stoffa intrisa di sangue.

«Marlon, cosa è successo? Dove sei ferito?» cercò la lesione, imbrattandosi con il liquido caldo e vischioso. Stava perdendo sangue e calore. La pelle era fredda, troppo fredda.

«Edward... Stava... Voleva ucciderti e io—» il ragazzo urlò quando trovò la ferita. Un colpo di pistola lo aveva preso tra la spalla e la clavicola. Era così disperata che neanche si era accorta che Alec si fosse inginocchiato al suo fianco, rovistando alla cieca tra i medicamenti che si erano portati dietro.

«Ce la farai... vedrai», avrebbe voluto credere alle sue stesse parole. Avrebbe voluto crederci con tutta se stessa.

Si voltò verso Alec e afferrò gli impacchi annusandoli alla ricerca di quello giusto. Marlon respirava a fatica, stringendo i denti per il dolore. C'era il rischio che il proiettile avesse perforato una delle vene principali. Avrebbe rischiato di morire e lei non aveva le competente per curarlo. Serviva un medico. Lasciò cadere i sacchetti pieni di erbe triturate che non le servivano e sul fondo della sacca trovò l'impacco corretto. L'odore pungente le artigliò le narici ancor prima di avvicinarlo al naso.

«Aiutami a sollevarlo», Marlon gemette disperato. Tastò dietro la scapola con le mani scosse dai tremiti. Le dita si macchiarono con altro sangue e incontrarono un'altra ferita, facendo urlare il ragazzo. Il proiettile lo aveva trapassato e il sangue usciva copioso. Doveva fare in fretta. Era tutta colpa sua. Non avevano fuoco per cauterizzare il foro, ma era indispensabile. Gli tolse la camicia.

La ladra e il pirataDove le storie prendono vita. Scoprilo ora