CAPITOLO L

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Sari si svegliò con i polmoni pieni dell'umidità che permeava la cella. La stola che le avevano dato per coprirsi non riusciva a riscaldarla e quel posto era gelido. Si era avvolta in quel bozzolo e si era costretta a posare la schiena contro il muro, da quel momento era rimasta immobile, evitando di procurarsi altra sofferenza.

Le frustate pulsavano e frizzavano quando faceva un respiro un po' più profondo; il taglio che le attraversava il volto le aveva offuscato i sensi e aveva risvegliato un mal di testa costante. Le guardie le avevano pulito e disinfettato la ferita in maniera grossolana, solo per evitare che infettasse e che lei potesse morire prima di venire impiccata, ma non avevano usato né impacchi né antidolorifici.

Il verso gutturale di un uomo che si stava dando piacere le fece rimpiangere il silenzio della stiva. Nelle celle adiacenti criminali e straccioni gridavano e imploravano. Si chiese quanto tempo sarebbe dovuto passare prima che anche lei facesse la loro stessa fine, appesa alle grate a sbracciarsi e a urlare.

Fissò la parete grondante di muschio e muffa. A volte si dimenticava che tutto quello fosse vero, attimi confusi in cui la sua mente si rifiutava di credere che fosse possibile che la impiccassero, ma poi la cruda consapevolezza che non c'era niente di più vero e impellente le faceva venire il batticuore e la costringeva a rifugiarsi nei ricordi, passandoli e ripassandoli cercando in vano quell'evento che l'aveva condotta lì, quell'istante, quell'errore, che in un battito i ciglia, l'aveva trascinata in catene davanti alla morte.

Sarebbe bastato che qualcuno degli uomini della regina fosse stato un po' più negligente e lei e suo padre sarebbero stati vivi e liberi. Invece si ritrovava in una cella, torturata e in attesa del patibolo. Le venne da ridere, ma solo l'incresparsi delle labbra le procurò una stilettata di dolore per tutto il viso. Non avrebbe mai pensato che la sua vita sarebbe finita così in fretta. Aveva passato l'intera vita a derubare le persone, ma non si era mai immaginata chiusa in cella nell'attesa della pena di morte.

Avrebbe voluto poter vedere un'ultima volta suo padre, le sembrava di non avere un ricordo nitido di lui, come se, in quegli ultimi giorni che avevano passato insieme, lo avesse dato per scontato, senza vederlo per davvero. Avrebbe voluto abbracciarlo come non faceva da quando era bambina, avrebbe voluto che almeno fosse morto orgoglioso di lei, invece si era barricata dietro alle proprie paure fino alla fine. Non riusciva a credere come la sua vita fosse stata distrutta, Milo sulla cui presenza aveva sempre contato non era più con lei e persino Rod ormai, non poteva più fare niente.

Quegli ultimi mesi erano stati un bel viaggio, nonostante la gabbia dorata nella quale li aveva passati, ma avrebbe preferito non viverli. Erano stati quei luoghi e quelle persone a farla sperare nella libertà. Aveva conosciuto la vera indipendenza solo per finire in una gabbia più stretta.

Delle voci allegre attirarono la sua attenzione. Anche se erano troppo lontane per poter capire di cosa stessero parlando, era chiaro da tono che non fossero prigionieri e neanche le guardie. Distinse due voci femminili presto affiancate anche dal rumore di tacchi sul pavimento.

Pregò che quei visitatori non fossero lì per lei. Rimase a occhi chiusi e il respiro sospeso, per sentire meglio cosa stessero dicendo. Percepì il fruscio della stoffa degli abiti e le scarpe che rumoreggiavano per il corridoio, pregò a ogni passo che si fermassero, ma alla fine percepì la loro presenza davanti alla sua porta.

La ladra e il pirataDove le storie prendono vita. Scoprilo ora