Capitolo 5

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Non sapevo se percepii prima la mano di Giulia che strinse in modo convulso la mia o il rombo della motocicletta che si avvicinava fino a diventare un basso brontolio quando il suo conducente accostò al marciapiede per fermarsi vicino a noi.

«Non fermarti, ti prego. Sara, corri. Ti prego, ti prego.» Il tono della voce di Giulia prese ancora una volta la sfumatura della paura.

Invece io mi fermai, perché avevo riconosciuto il rumore della moto. Non era quella di Jacopo, il biondo centauro che si arrestava vicino a noi era mio fratello Dante.

«Ciao, come mai non siete a scuola?» ci chiese lui togliendosi il casco, i suoi occhi dorati così diversi dai miei che erano azzurro cielo, guardarono prima me e poi si soffermarono su Giulia in modo interrogativo.

Per un momento mi chiesi se fosse il caso di raccontargli della cattiveria di Jacopo. Facendo questo avrei alimentato ancora di più la rivalità tra le due bande. Già erano ai ferri corti per il territorio e avevo paura anche per qualche affare non proprio del tutto legale. Figuriamoci, se ci mettevo in mezzo una cosa così, non avevo proprio voglia di dare un motivo in più alla polizia per arrestarlo, anche perché questa volta, non essendo più minorenne, lo avrebbe aspettato solo il carcere.

«Niente, io non ho sentito la sveglia.» mentii.

Dante mi scrutò, ma poi fece un cenno d'assenso e si rivolse a Giulia.

«E tu l'hai aspettata, giusto?» le chiese.

Giulia annuì, percepii il suo disagio da come mi stringeva la mano. Il colore della sua pelle si era fatto più intenso, aveva abbassato lo sguardo e si fissava la punta dei piedi, che muoveva in su e giù, stretti in un paio di sneakers con i lacci rosa, unico riferimento alla sua femminilità quest'oggi. E io sapevo anche il motivo di quell'atteggiamento. Se qualche istante prima, davanti a Jacopo era la paura e la vergogna e tutta una corona di sentimenti negativi, ora, davanti a mio fratello, era l'attrazione che la faceva arrossire. Giulia era cotta persa di Dante e, anche se non lo aveva mai ammesso, si vedeva lontano un miglio fin dalla prima volta che lo aveva visto.

«Bene, vi lascio andare sennò farete ancora più tardi.» disse e fece per rimettersi il casco.

«Dante» lo bloccai, «non ti ho sentito rientrare stanotte.»

«Perché non sono rientrato. Stavo rincasando adesso, ma vi ho visto da lontano. Ero curioso di sapere come mai non eravate a scuola.» Fece una pausa. Poi Dante fissò i suoi occhi, ora non più dorati ma della sfumatura dell'ambra più scura, anche le pagliuzze verde smeraldo che si notavano quando era sereno erano sparite, nei miei. «Ho visto Jacopo. Tutto bene?» I suoi occhi erano ora ridotti a una fessura, minacciosa. Molto minacciosa.

Ancora una volta per qualche istante accarezzai l'idea di metterlo al corrente delle cattiverie che Jacopo e la sua gang perpetravano nei confronti della mia amica, ma una stretta di mano e un impercettibile segno di diniego con la testa di quest'ultima mi fecero desistere. Dovevo trovare io il modo di fargliela pagare senza mettere in mezzo mio fratello e la sua banda. Non avevo idea di come avrei potuto fare, ma ero sicura che qualcosa mi sarebbe venuto in mente. Dopotutto chiunque ha un punto debole, no? E io ero decisa di scoprire quello dei Kobra e di Jacopo in particolare.

«Sì, tutto bene. Comunque, non sei rientrato perché ti sei... visto con una ragazza?» gli feci l'occhiolino con fare malizioso e nel mio cuore pregai che il motivo fosse sul serio quello.

La sua risata forte e sincera fece alzare lo sguardo a Giulia e le fece spuntare l'ombra di un sorriso.

Dante allungò un braccio fino ad arrivare ai miei capelli che scompigliò continuando a ridere.

«Questi non sono affari tuoi, piccola. Ora su, andate a scuola.» ci esortò sempre ridendo. Lui si rimise il casco. Voltò la motocicletta e si diresse verso casa.

«È uno tosto tuo fratello.» sentenziò Giulia. Mi sorrise, il buonumore ritornò a far visita al suo bellissimo viso. «Me lo presti il tuo lucidalabbra? E non è che facciamo scambio di maglietta fino alla scuola?» Mi chiese indicando con l'indice il mio petto.

Risi, mi tolsi la maglietta che era tutta rosa con un grande fiore di paillettes viola giusto sul seno. «Questa è la mia ragazza!» esclamai.

Non sarebbe stato un buon scambio per nessuna delle due. La mia maglietta sarebbe risultata enorme su di lei che era completamente piatta e la sua su di me avrebbe tirato da morire sul seno regalandomi una piena, quanto falsa, quarta di reggiseno. Ma non era questo quello che importava. Era importante che il sorriso fosse ricomparso sulle labbra della mia amica, anche se io sapevo che sarebbe stato per poco. Quegli undici minuti, o poco più, che ci dividevano dall'entrata dell'edificio scolastico e poi le magliette sarebbero ritornate alle proprietarie originali. E Giulia esteriormente sarebbe tornata a essere Giulio.


Don't kiss the VillainDove le storie prendono vita. Scoprilo ora