24. 断片

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24. Frammenti

Solitamente quando si pensa all'infanzia si pensano ai momenti felici e genuini di un bambino. Si pensa alla propria e dolce famigiola che ti cresce con cura e con amore insegnandoti con diligenza e bontà le lezioni di vita.

Ma a quanto pare per Izuku non era così. Famigliola felice? amore? bontà? genuità? Assolutamente no. Nella sua vita non c'era mai stato niente di tutto questo e si odiava. Li odiava.

Vedeva fuori dalla finestra della sua cameretta che affacciava proprio su uno dei tanti parchi di Tokyo. Guardava con gli occhioni tristi e allo stesso tempo illuminati di ammirazione le persone felici che si amavano e giocavano con i loro bambini mentre portavano a spasso qualche bel cagnolone.

E lui? Perché non poteva fare la stessa cosa? Inizialmente non lo sapeva e forse pensava che lui aveva qulcosa di speciale e quindi ne era felice ma poi, era cresciuto e con lui la consapevolezza che in lui e nella sua famiglia non ci fosse nulla di speciale ne di entusiasmante. Delusione.

Lentamente le sue giornate avevano preso a fondersi col tempo diventando un soffocante e nausante loop.

Pensa un bambino o un ragazzo che non appena si sveglia pensa solo al fatto di non farcela più quando invece dovrebbe svegliarsi sorridente ed entusiasta di vivere un'altra giornata, divertirsi o spassarsela con gli amici. Non è deprimente? crudele? o penoso? Già... è esattamente così.

Probabilmente perfino la sua nascita era stata penosa ed inutile ma questo non poteva saperlo perchè non ne aveva ricordo, come tutti, d'altronde.

La scuola per tutti era il posto più bello dove imparare cose nuove o dove fare nuove amicizie. Per Izuku, ovviamente, non era così. Le persone lì dento lo giudicavano, lo guardavano male, lo tartassavano... lo torturavano, lo stancavano e lo spingevano verso il baratro... Era così tutto dannatamente orrendo come se la sua esistenza sin dal principio fosse una cosa inconcepibile e sbagliata, un errore.

A scuola lo prendevano in giro e fino alle elementari era tutto molto sopportabile almeno fin quando alle medie non era iniziato il vero e proprio incubo.

C'erano un paio di bulletti, quelli di turno, e tu pensi: Che sarà mai? se non mi faccio notare loro mi staranno lontani no? E invece era il contrario. Se non eri come gli altri eri strano e chi era strano era un disadattato e chi era un disadattato era un perdente e chi era un perdente... merita di essere torturato.

Quando questo giochino malsano le cose erano gestibili. Ti facevano soltanto brutti scherzi e potevi anche riderci sopra, più o meno. Poi dagli scherzetti erano passati alle brutte parole e dalle brutte parole erano arrivati alle mani e... dalle mani erano passati a cose ben peggiori.

Usavano il suo corpo immacolato e delicato come una tela. Gli piaceva cospargerla di pittura nera (per così dire) rovinando quella purezza che lo contraddistingueva.

Si divertivano con una piastra per capelli, la accendevano, la riscaldavano e quando era bella bollenta gliela poggiavano su ogni parte del corpo macchiandolo violentemente di cicatrici che non sarebbero mai più sparite.

Un'altra cosa che amavano da impazzire era il "gioco della morte" che consisteva nell'autosoffocarti fin quando loro non ti dicevano di fermarti e se disubbidivi ti picchiavano o tagliavano con coltellini e taglierini.

Risk For You - A BakuDeku storyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora