12. How I Met Your Parents

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STELLA

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STELLA

Christian quella mattina del ventitré dicembre era un intero fascio di nervi. Camminava avanti e indietro fra il soggiorno e la cucina, sistemando nei minimi dettagli gli angoli della casa per l'arrivo della sua famiglia dagli Stati Uniti. Avevamo passato interi giorni chiusi nei centri commerciali al fine di trovare tutti gli addobbi natalizi necessari, e addobbare casa sua era stato decisamente più complicato rispetto a quando avevamo messo su quel misero alberello in casa mia. Servivano doppioni di tutto, considerate le dimensioni di quella reggia.

Il nostro rapporto era diventato più solido, seppur non avessimo ancora preso una posizione. Esserci dichiarati l'uno all'altra non aveva cambiato la nostra idea di relazione, e sicuramente gran parte della colpa era la mia. Non che non fossi sicura di ciò che provavo per Christian, ma avevo ancora paura di compromettere il mio lavoro. Oltretutto, dopo la sua confessione di una notte brava, lo guardavo in modo diverso.

Cominciavo a credere che il suo dichiararsi innamorato di me fosse solo il risultato del suo senso di colpa per essere andato con un'altra. Non dubitavo che il suo sentimento fosse reale, ma un po' di paura volevo concedermela.

«È meglio a destra o a sinistra? A me piace più centrale, ma mamma sicuramente mi dirà che non va messo lì» farfugliò Christian, continuando a spostare qualsiasi cosa gli passasse sotto le mani. Ora era il turno di un quadro.

«Chris, smettila» lo ammonii, mentre l'americano mi rivolse uno sguardo spaventato. «Ai tuoi genitori importa solo di rivedere te, la tua casa è un plus» gli dissi, lasciandogli una carezza sul viso.

Christian sospirò, poi annuì sconsolato e si lanciò sul divano con le braccia a penzoloni. Tutto in lui urlava stress: il buon periodo di forma personale era stato interrotto bruscamente dal momento no che stava vivendo la squadra, evitare che anche lui ne risentisse fu impossibile.

Voleva che almeno per Natale, per la sua famiglia, fosse tutto perfetto, perché il suo mondo non lo era ancora. Sembrava ancora faticasse a trovare la propria dimensione e spesso risultava difficile anche a me aiutarlo.

«Non voglio deluderli ancora» ammise dopo qualche minuto di silenzio, sbuffando poi sonoramente. Mi avvicinai, spostandomi dall'angolo del salotto dove mi ero posizionata, e mi sedetti al suo fianco.

Ci fissammo per un po', in silenzio perché non servivano parole, poi gli schioccai un bacio sulla bocca. «Sono abbastanza sicura che mamma e papà sono fieri di te. Smettila di pensare di non essere abbastanza, tu sei abbastanza» dissi infine, guardando nascere un sorriso delicato sulle sue labbra.

A distanza di quattro mesi da quando i nostri occhi si erano prepotentemente scontrati in quella sala stampa, con la forza di una collisione cosmica, non riuscivo ancora a capire cos'è che realmente accomunasse me e Christian. A conti fatti, io e lui eravamo rispettivamente il giorno e la notte. Christian era silenzioso ed introverso, anche troppo a volte. Aveva un mondo dentro che stentava a mostrare alla gente, e a dirla tutta non sapevo dire con precisione se io ero una dei pochi prediletti.

STELLA | CHRISTIAN M. PULISICDove le storie prendono vita. Scoprilo ora