Il trascinatore (parte 1)

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La dimora di Oliver Miller, il ragazzo che molte donne definivano come il più affascinante del Maine, era minuta, sporca e incredibilmente disordinata.

Una marea di indumenti giacevano sul letto disfatto, la polvere si innalzava dagli scaffali e dalle scrivanie ogniqualvolta qualcuno ci mettesse mano.

A lui però non importava. La sua vita era felice; aveva la rara opportunità di lavorare in una delle aziende più prestigiose della città e, in più, molte ragazze gli stavano ai piedi.

Sotto quest'ultimo aspetto, non poteva di certo lamentarsi, malgrado le sue esperienze passate che erano un mare di sofferenza.

Quella gelida sera la neve cadeva a dirotto su Portland, colorando l'ambiente d'un grigio malinconico.

Oliver, imbottito da un bel pigiamino natalizio, cercava di osservare al di fuori della finestra della sua abitazione, ma i vetri si erano appannati a causa dell'immane freddo; si voltò dunque dall'altra parte e i suoi occhi si persero nel vuoto, pensierosi.

A un tratto, un suono acuto lo fece trasalire. Abbassò lo sguardo sulle coperte di lana e notò il cellulare che faceva echeggiare il suo squillo.

Si ammirò nelle schermo per un breve attimo, si accertò che i suoi occhi color ghiaccio fossero ancora tali e, dopo che l'umiltà ebbe la meglio, vide chi lo stava chiamando.

Sul display appariva il nome di Sara, accompagnato dall'emoji di un bel cuore rosso fuoco. Premette il pulsante verde e si portò il dispositivo elettronico all'orecchio.

«Pronto?» disse, con una voce roca e penetrante.

«Oliver?» esordì Sara, la sua ragazza dell'epoca.

Percepiva, negli abissi della sua anima, che quella giovinetta potesse essere la donna della sua vita.

«Sara, mi senti?»

«Sì. Come va? Tutto bene?»

«Alla grande» ribatté lui, abbozzando involontariamente un sorriso.

«Ci vediamo questa sera?» chiese Sara e, dal tono di voce con cui aveva pronunciato tali parole, si capiva che anche lei era parecchio divertita. Era consapevole della perfetta intesa che li legava e non poté fare a meno di sorridere al solo pensiero, soddisfatta di come stessero andando le cose.

«Certo. Ci vediamo allo Snug pub? Ore 19:00 in punto, mi raccomando sii precisa.»

«Promesso. A presto, allora.»

Si udì un crepitio dall'altro capo della linea.

«Ciao, amore» proferì la ragazza, dopo un istante di pausa; il suo accento era dolce, quasi mieloso. Oliver, al quale non stava tanto a cuore l'eccessiva sdolcinatezza, non ci fece caso e subito ricambiò il saluto.

«Ciao, tesoro» esclamò secco, per poi premere il tasto rosso sul cellulare. Bip fece questo di rimando e Oliver, assicurandosi che la telefonata fosse terminata, mandò un sussulto di gioia sconfinata. Finalmente aveva trovato la ragazza giusta per lui e tutt'a un tratto comprese di essersi innamorato follemente.

Questa volta non andrà tutto a puttane, ho trovato la mia anima gemella e nessuno me la toglierà! Percepisco che non sarà una delusione come le altre, lei ha qualcosa di diverso.

Le ore passarono in fretta e in un battito di ciglia arrivò il momento del fatidico appuntamento.

Oliver aveva deciso di indossare un'elegante camicia bianco aureola, la quale era intatta e particolarmente risaltante all'occhio sotto quel cielo cinereo; dei classici mocassini e un pantalone di lana nero costituivano la parte inferiore del suo abbigliamento raffinato, curato in ogni minimo dettaglio; a completare il tutto, un luccicante orecchino d'oro massiccio e un giubbotto per ripararsi dal freddo.

Si esaminò attentamente allo specchio e alla fine annuì, compiaciuto del suo aspetto estetico.

«Beggin' on, beggin' you, put your lovin' hand out baby now» cominciò a canticchiare, accorgendosi poco dopo di essere un po' ridicolo in quell'atteggiamento troppo spensierato.

Si ricompose immediatamente e si spruzzò qualche litro di profumo su collo, spalle e polsi. Afferrò le chiavi dell'auto con maestria, proprio come un acrobata acchiapperebbe un proprio compagno in volo, e uscì di casa.

La temperatura esterna lo avvolse in una nuvola di gelo e rabbrividì per qualche secondo. Camminò per il vialetto, guardandosi attorno e ammirando il paesaggio mozzafiato che aveva dinanzi. L'intera città era ricoperta da cima a fondo da un'esagerata quantità di neve e, di tanto in tanto, una cospicua raffica di vento glaciale lo faceva sobbalzare.

Arrivò intirizzito al suo splendido pick-up nero pece e vi ci si fiondò dentro rapidamente.

Dopo aver allacciato la cintura, partì a tutto gas, sentendosi emozionato e immensamente sicuro di se stesso.

Alle 19:00, come da programma, raggiunse lo Snug Pub, una struttura di medie dimensioni che era abbellita in quasi ogni suo punto da decorazioni natalizie: delle ghirlande verdi ricoprivano da destra a sinistra, dall'alto al basso, l'intera costruzione in legno rustico; la grande insegna che recitava il nome del locale era ornata tutt'attorno da lucette, le quali luccicavano a intermittenza, offrendo a tutti i passanti un meraviglioso spettacolo visivo.

Nel bel mezzo di un giardinetto innevato davanti al pub, inoltre, era adagiato un gigantesco abete artificiale, abbellito da palline argentate e da un alto puntale rossiccio che sembrava voler toccare il cielo.

Tutto ciò, però, non era nemmeno paragonabile alla donna che stava aspettando ansiosamente Oliver fuori dall'edificio.

Ella possedeva degli splendidi capelli biondi che fluttuavano nel gelido vento e i suoi occhi erano come una distesa di preziosi smeraldi.

«Ehi, tesoro» si fece notare Miller, la cui voce si unificò al suono del finestrino che si abbassava.

«Ehi» disse lei di rimando, mentre i suoi jeans a zampa di elefante svolazzavano come una bandiera.

«Vieni qua» la incalzò Oliver, cingendola verso di lui.

Lei si accovacciò alla sua altezza e lo baciò sulle labbra, facendo risuonare nell'abitacolo un rapido schiocco.

L'uomo, arrossito, mosse il mezzo per parcheggiarlo e, una volta messo in perfetta posizione sulle strisce, tornò da Sara.

Si baciarono di nuovo, ma questa volta in modo ancor più passionale.

«Sei felice di essere qui con me?» domandò la ragazza, guardandolo suadentemente.

«Certo. Che ne dici di farci una passeggiata e poi andare a mangiare?» propose Oliver.

«Per me va bene» approvò lei, con un sensuale ghigno stampato sul volto puro.

Oliver si sentiva al settimo cielo e una manciata di farfalle penetrò all'interno del suo stomaco. Le sua mano era legata solidamente a quelle di Sara e le loro dita intrecciate come i lunghi capelli di Raperonzolo; entrambi potevano percepire il gelo sulla pelle dell'altro, ma allo stesso tempo riscaldarsi vicendevolmente.

Erano saldi, uniti. Vivi.

Ad un certo punto, intorno alle 19:50, erano giunti in Washington street, una via che normalmente era molto trafficata, ma che in quel momento era completamente isolata.

«Giriamo qui» suggerì Oliver, svoltando in uno stretto viottolo. Sara lo seguì senza indugi.

Si guardarono dritti negli occhi e tutti e due ebbero l'opportunità di osservare l'infinità di luccichii che rifulgevano nello specchio dell'anima di ciascuno.

Parlavano, si baciavano, si abbracciavano come se si conoscessero da una vita. Erano contenti di stare insieme, infinitamente entusiasti dell'eventuale futuro che li attendeva.

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