Il trascinatore (parte 3)

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[Prima di cominciare la lettura si prega di visionare attentamente le avvertenze poste all'inizio del racconto]

Sara tremava dalla testa ai piedi e non sembrava in grado di reagire all'attacco, per ora soltanto verbale, del suo aggressore. Anzi, più i secondi scorrevano, più il silenzio continuava a ergersi nell'atmosfera, maggiormente il suo terrore cresceva a dismisura.

«Sei una puttana! Una lurida stronza! Come cazzo fai a vivere con la consapevolezza di essere così troia, eh?»

L'uomo che fino a quel momento aveva considerato come un essere gentile e premuroso, adesso era diventato la peggior versione di sé stesso e la giovane quasi non riusciva a capacitarsene.

Oliver fece un passo in avanti, poi due, poi tre... fino a colmare la distanza che li separava. Sara, alla vista del coltellino che l'omicida faceva oscillare dolcemente nei pressi del proprio bacino, non poté far altro che pregare il Dio di cui, fino ad allora, aveva negato l'esistenza. Spesso gli esseri umani rimangono ancorati a un determinato pensiero, a una determinata idea, ma quando un evento inaspettato incombe su di loro e la disperazione li invade, sono ben pronti a mutare la propria tesi per ottenere un briciolo di speranza.

Il killer si arrestò di colpo, a pochi centimetri dalla ragazza. Con un movimento circospetto, ma allo stesso tempo che incuteva timore, lasciò cadere l'arma da taglio nella tasca del suo cappotto e, successivamente, fissò gli occhi impauriti dell'innocente creatura che poco prima aveva minacciato.

«Togliti i vestiti» ordinò categoricamente. Sara lo osservò stupefatta e un brivido transitò nella sua colonna vertebrale.

«Avanti, togliti i vestiti!» ripeté Oliver, toccandole il seno con entrambe le mani e brancicandoglielo perversamente con aria eccitata e maligna. Sapeva, in cuor suo, che il gesto disumano che stava commettendo era un errore abissale - così come lo era stato l'uccisione di quel povero anziano - e quasi se ne vergognava; però, malgrado l'opportuno presentimento che aveva avuto, si distaccò completamente dal suo senso di moralità, concentrando l'attenzione su ciò che voleva il corpo.

«C-cosa f-fai?» piagnucolò la vittima.

Cosa ho fatto per meritarmi questo? Forse me lo merito per davvero? Ma no, Sara, non dire sciocchezze: quest'individuo è solo un pervertito senza palle.

Le sue riflessioni furono rudemente interrotte da un altro schiaffo che Oliver le arrecò con eccessiva violenza, tanto da farla indietreggiare di qualche metro.

Dopodiché, l'aggressore la ghermì per i capelli e, dopo che le ebbe tirato un paio di ciocche, senza un minimo di preavviso, le strappò in modo brusco il tessuto ruvido dei suoi jeans. La mise a nudo, togliendole le mutandine, ma, soprattutto, portandole via la dignità.

Sara tentò di urlare, ci riuscì per una frazione di secondo, ma Miller ebbe i riflessi pronti per fiondare la propria mano, grande e venosa, sulla sottile bocca delle preda, impedendo così alle parole che essa implorava di raggiungere l'orecchio di qualcuno che, se fosse intervenuto, Oliver avrebbe definito "eroe fuori luogo".

Mentre la donna veniva violentata sessualmente, una serie di immagini le scorreva davanti agli occhi, come in un rullino cinematografico: erano visioni vaghe e insensate che duravano ben poco, ma sufficientemente intense da far sì che rimpiangesse i suoi momenti felici.

Per esempio, in una di queste, era indietreggiata sulla linea temporale ed era tornata al giorno del suo undicesimo compleanno, quando sua madre Katia le regalò un set di trucchi che lei tanto desiderava; in un'altra ancora c'erano lei e la sua migliore amica Jeanette che si confidavano le loro cotte segrete... poi, con rammarico, rammentava dell'orribile fatto che uno schifoso verme stava abusando della sua persona, della sua intimità, probabilmente anche credendo di star avendo il controllo. È vero, pensò Sara, stai avendo il tuo controllo fisico, ma umanamente non vali nulla.

Oliver emanò un verso di godimento, poi allacciò la cintura con un clic metallico e tornò a guardare Sara con disgusto, così come un cacciatore guarderebbe l'animale che lui stesso ha appena ucciso.

Negli occhi della bionda risplendeva uno sfavillio che, se letto con adeguatezza, era una richiesta di pietà, una supplica di smetterla; ma l'uomo, la cui mentalità stava assumendo sempre più perversità, se ne infischiò e continuò a maltrattarla, schiaffeggiandola e sputandole addosso insulti e frasi che la screditavano.

«Perché mi fai questo?» si lamentò Sara, rassegnata del proprio destino.

«Sta' zitta, ingrata!» la rimproverò l'altro, risoluto.

Ci furono altre implorazioni, ma Oliver le ignorò con beffarda indifferenza.

«Sta zitta!» replicava, perdendo sempre di più la pazienza. Questa, per lui, era come un mare in stato di quiete, ma che aveva le potenzialità affinché diventasse istantaneamente agitato. Così fu, poiché una rabbiosa tempesta si scatenò al suo interno, rendendolo maggiormente incline a commettere il gesto che avrebbe desiderato fare fin dall'inizio.

Non ci fu un minimo di esitazione nei suoi movimenti. Nessun essere umano avrebbe potuto farlo con l'imparzialità che aveva mostrato: era come se il suo cuore fosse avvolto da una corazza ghiacciata che gli impedisse di far fluire qualsivoglia emozione o senso di colpa.

La uccise a sangue freddo.

Il coltello, ora, era infilzato nel petto della donna, i cui occhi erano divenuti vitrei e privi di iride. Solo la sclera ondeggiava in quelle piccole e affascinati mandorle che un tempo avevano persuaso parecchi contendenti.

L'assassino, guardando il vuoto, ripose la lama al suo posto e, non appena ebbe realizzato quel che aveva compiuto, con un po' di fatica, nascose il cadavere a ridosso di un cestino dell'immondizia. Dopodiché si allontanò dalla scena del crimine, ma non per molto: aveva in mente qualcos'altro.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 23 ⏰

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