Il trascinatore (parte 2)

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[Prima di cominciare la lettura si prega di visionare attentamente le avvertenze poste all'inizio del racconto]

Una volta che si fece un certo orario, i due innamorati decisero di incamminarsi verso il pub, ma, un secondo prima che svoltassero l'angusta stradina dove fino ad allora avevano condiviso una serie di momenti intimi, lo smartphone di qualcuno cominciò a emanare una dolce musichetta. Era quello della ragazza.

Ella lo estrasse cautamente dalla tasca e lesse tra sé e sé lesse il nome di chi la stava telefonando. Il suo sguardo, quando lo fece, diventò sbigottito.

Quell'arcano atteggiamento fece insospettire Oliver, il quale socchiuse le palpebre e tentò di osservare il display. Questo gli venne sottratto alla vista, poiché Sara voltò bruscamente il cellulare nella sua direzione.

«Che succede?» chiese selvaggiamente Miller.

«Nulla» rispose l'altra, mortificata.

«Nulla? Davvero?» controbatté Oliver, che adesso aveva alzato notevolmente il suo tono.

«Cos'è questa confidenza? Ci conosciamo a malapena da una settimana. Non starmi addosso.»

L'uomo, udite quelle parole, a suo parere pronunciate con arroganza, fece riflettere sul suo volto uno strano sentimento di disgusto e, soppresso dalla ragione, commise un gesto ruvido e ripugnante: le scagliò contro un potente manrovescio, facendo risuonare per la via innevata un rumore lugubre.

Sara indietreggiò spaventata e si coprì la guancia in modo sofferente.

«Cosa fai?» sussurrò dopo essersi ripresa, vistosamente terrorizzata a causa di colui che aveva dinanzi. A causa di colui con cui sognava un futuro insieme. A causa di un uomo che non poteva essere definito tale.

«Tu sei di mia proprietà, ora!» tuonò Oliver.

«Io non credo» si intromise una voce ignota, la quale sembrava appartenere a un maschio.

E infatti, le luci soffuse di un logoro lampione misero in mostra il nuovo arrivato. Era un anziano basso e abbastanza robusto, provvisto di ingenti rughe che si insinuavano sul suo viso come serpenti affamati. Indossava un cappottino londinese che gli arrivava fino alle ginocchia e, alle mani, portava un paio di guanti.

Oliver, dopo aver interiorizzato ciò che aveva detto quell'entità estranea, si girò lentamente verso il vecchio e lo squadrò.

«E tu chi saresti?» domandò, irritato.

«Chi sono non importa. Il fatto che mi ha indotto a fermarmi e a rivolgerti la parola è quello schiaffo che le hai dato. Perché lo hai fatto? Perché le hai detto che lei è di tua proprietà?»

«Questa donna è una traditrice» disse Oliver di rimando.

«Anche se lo fosse, sarebbe questa la maniera di comportarsi nei suoi confronti?» sbraitò il vecchio. Nei suoi occhi ardeva la voglia incontrollata di risolvere la questione con la violenza, ma l'altro, quasi accorgendosi di quell'intenzione, lo precedette.

Con una brutale calma, fece scivolare le sue dita nella tasca del giubbotto e, quando trovò quello che stava cercando, si udì un tentennio sommesso.

Tirò fuori un coltellino affilato e, fulminando il suo rivale con lo sguardo, lo puntò verso di lui.

Quest'ultimo rimase immobile, anche se un barlume di timore sfavillò nelle sue iridi.

Oliver avanzò minaccioso nella sua direzione e, siccome l'anziano non si mosse poiché era troppo impaurito, gli fu facile infilzargli la lama dell'arma su per la gola, ferendogli mortalmente la giugulare.

Litri di sangue schizzarono nell'aria e Sara, scrutando con angoscia quel liquido rossastro che atterrava al suolo e serpeggiava sui marciapiedi bianchi di neve, emise un grido acuto per reprimere la brutta emozione che la stava assalendo in quel lasso di tempo.

Il signore, privo di vita, piombò a terra.

Sara subito distolse lo sguardo da quegli occhi morti e sbarrati che la fissavano con ambiguità; Oliver aveva la bocca socchiusa e dal suo labbro inferiore colava un po' di sangue.

«Sei pronta?» domandò repentinamente, rivolgendosi alla donna.

«C-cosa?» balbettò Sara, con le gambe tremanti e impossibilitate a correre.

«A morire, traditrice del cazzo.»

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