Parte Quarta: Addio

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Barbados, dicembre 2681

Nel corso della sua lunga e travagliata vita, Shakoma era stato tante cose e svolto diversi ruoli.

All'inizio era stato soltanto un figlio e in seguito un fidanzato, per un breve periodo era stato anche un fabbro e, se le cose fossero andate come avrebbe voluto, avrebbe poi assunto il ruolo della guardia del corpo ma purtroppo la vita, con una "leggera" spintarella da parte di altri, aveva deciso diversamente per lui e la sua famiglia. In seguito a quell'evento era stato una sorta di feroce vendicatore e quando la sua vendetta era stata compiuta solo per metà aveva quindi scelto di lavorare per diversi anni come spietato assassino su commissione per poi diventare più avanti una spia al servizio dei Liberatori fingendosi amico e istruttore, più o meno, di arti marziali di un gruppetto di Eroi adolescenti a cui però si era poi visto costretto a rinunciarvi quando era stato a rischio di essere scoperto fuggendo quindi, con la complicità di un ignaro Mille Volti, in Italia trovando come impiego, per assurdo, quello dell'Educatore per bambini e rimase tale per quasi tutto il resto della sua vita fin quando si trovò nuovamente davanti l'occasione di tornare alla villa degli Eroi, che non ebbe alcuna esitazione ad accettare seppur stavolta per motivi un po' più differenti e assumendo il ruolo di una sorte d'insegnante di storia e letteratura per un altro gruppetto di Ultra appartenenti a una nuova generazione di adolescenti.

Aveva assunto altri nomi e altre identità.

Nato col nome di Takao Hiroto era in seguito diventato famoso nel periodo più buio della sua esistenza come Shinokage, il temibile sicario di Ueno che si muoveva con la stessa silenziosità di un'ombra, e infine aveva preso l'identità di un suo conoscente che gli era stato molto caro ai vecchi tempi, Takeshi Shakoma, e vi restò tale fino alla fine.

Aveva vissuto esperienze e commessi errori, molti, a cui ce ne era voluto del tempo prima di riuscire a perdonarsi.

A somme tratte, alla fine la sua era stata comunque un'esistenza degna di essere vissuta. Con i suoi alti e i suoi bassi e le sue avventure.

E ora, alla bellezza dei suoi ottantaquattro anni, non aveva alcuna paura a morire.

C'era tuttavia una cosa che non riusciva a lasciar andare. Che gli rendeva difficile il suo addio al mondo.

E in quel momento lo stava guardando con i suoi occhi, dal taglio a mandorla, della stessa sfumatura di un miele denso e dorato pieni di dolore in cui vi si poteva leggere la silenziosa supplica che gli stava rivolgendo.

Ti prego, non farlo. Non lasciarmi ti prego, non mi abbandonare.

Si rese allora conto che davanti a sé non aveva più il Gabriele attuale di tredici anni, ma il bambino di quattro che aveva appena perso la madre e che ora non voleva perdere anche l'altra persona che riteneva estremamente importante per sé stesso. Che per lui aveva assunto la stessa importanza e valore di un genitore.

Perché erano quelli i sentimenti che Shakoma riconobbe negli occhi del ragazzino.

Nei suoi anni da Educatore negli orfanotrofi l'aveva imparato bene. Tutti i bambini necessitavano e cercavano una figura adulta a cui affidarsi, che li amassi e li proteggesse quando le cose andavano storte o si sentivano soli e negli orfani, cresciuti senza un'effettiva figura genitoriale, la cosa risultava ancor più marcata ed evidente.

Sapere di aver assunto quel ruolo e quel valore per il suo piccolo Gabri-chan riempiva Shakoma di enorme felicità ma anche di tristezza.

Poiché ora avrebbe dovuto lasciarlo solo e adesso sapeva quanto avrebbe sofferto. Quanto avrebbe sentito la sua mancanza. Questa consapevolezza lo colpì come un pugnale nel cuore, mandando in profondità la lama dentro di esso.

Non si era reso mai effettivamente conto dei veri sentimenti che provava per quel bambino se non adesso, quando doveva dirgli addio per sempre.

In quei frangenti provò il forte desiderio e impulso di andare da lui e stringerlo forte tra le braccia per trasmettergli tutto l'amore che Gabri stesso stava facendo fiorire in lui.

Avrebbe tanto voluto dirgli quanto l'amava. Quanto avrebbe desiderato restargli vicino per essere il suo punto di sostegno per quando si sarebbe sentito debole e sperduto.

Aiutarlo ad affrontare quella vita difficile piena di dolore che gli si prospettava davanti.

Essergli genitore in tutto e per tutto.

Dei, quanto soffrirà ancora quel piccolo bambino...

Ma ora non poteva più restare.

Doveva andare.

Perciò, col dolore a che gli perforava il petto, gli sorrise colmo d'affetto.

«Sei sempre stato il mio preferito.» gli confidò sperando che da quella semplice e insulsa frase potesse capire quanto fosse forte il sentimento che provava per lui.

Grazie Gabri-chan. Per tutto.

Poiché era grazie a quel piccolo e strano bambino che l'amore era tornato a scorrere in lui, sotto una nuova forma ma altrettanto grande.

Come a un vecchio albero di ciliegio dai rami bruciati che, dopo tanti anni in cui nulla vi era più cresciuto, tornavano a riempirsi di tanti piccoli boccioli rosa, ancor più belli e luminosi di quelli di prima poiché la cenere dei precedenti si era poi trasformata in nutrimento per questi rendendoli più forti.

E perché gli aveva insegnato che l'amore, quello vero, non aveva solo un aspetto ma mille e tutte erano in grado di far fluire la stessa forza negli esseri umani. Peccato che l'avesse capito ormai troppo tardi.

Non è mai troppo tardi.

Poggiò due dita sull'avambraccio sinistro evocando sulla sua pelle esposte il Tatuaggio da spia e pronunciò la parola in codice che le spie usavano quando venivano scoperte per evitare il rischio che il nemico potesse estrarre da loro le informazioni più importanti e salvaguardarle dalla tortura che sarebbe stata certamente a loro riservata nel raggiungimento di quell'obiettivo.

«Tod

Ci fu solo una rapida scossa, uno spasmo, e poi più niente.

Il mondo intero svanì davanti a lui mentre l'oscurità lo avvolse dolcemente in un abbraccio eterno.

Abbi cura di te, Gabriele.

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Cadono Delicati i Petali di Cenere e AmoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora