ᴄᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ ɪᴠ - ʟᴀ ꜰᴇꜱᴛᴀ ᴄᴏɴᴛɪɴᴜᴀ

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Mi avvento sulla bocca di Karol senza un briciolo di controllo o preavviso. Ne sento il bisogno, la necessità e il desiderio.
Intrappolo il suo labbro inferiore tra i denti, mordicchiandolo senza imprimere troppa pressione, succhiandolo dolcemente e accarezzandolo con la lingua umida.
Riconosco il sapore aspro e dolce del mojito che stava sorseggiando fino a cinque minuti fa. Mi ricorda l'estate, le partite a beach volley sulla spiaggia e le lunghe chiacchierate sul molo.
Karol prova a leccare le mie labbra, ma io non le lascio il tempo di perlustrarle perché la mia lingua si scontra con la sua intrecciandosi in una vorticosa danza impacciata e sensuale. 
La musica scompare, le persone attorno a noi cedono il posto a dei lupi famelici che puntano i loro piccoli e brillanti occhi su di noi come dei raggi laser.
La mia amica mi accarezza i capelli, poi sposta i palmi sul mio viso spingendosi con prepotenza fino in fondo alla mia gola. Le mie mani vagano sul suo corpo alla ricerca di un contatto fisico più marcato, e lei mi lascia fare tutto ciò come se l'avesse desiderato per tutta la vita. 
Da quanto tempo lo volevi?
Mi lascio profanare dalla sua lingua liscia e bagnata mentre con lo sguardo cerco lui
Non c'è più. 
Darren non è più seduto al bancone, c'è soltanto quella ragazza dai capelli ricci e voluminosi che si gode lo spettacolo mordicchiando la cannuccia del suo drink.

All'improvviso vengo colta da una strana sensazione di vuoto. 
La musica irrompe in questo momento, si insinua nelle mie orecchie come un tuono a ciel sereno, più potente di prima. 
Rimango imbambolata mentre Karol prova ad avvinghiarsi al mio collo. 
La testa comincia a vorticarmi quando realizzo di essere al centro di un teatrino che ho messo in atto soltanto per una persona. L'unica persona che non ci sta guardando.
Una mano si avventa sulla mia spalla, creando un varco tra me e la mia amica che si accorge soltanto in quel momento di quanto io sia scossa.
Perdonami Karol, non volevo illuderti.

«Che cazzo state facendo?», la voce di William mi riporta alla realtà. «E voi che cazzo avete da guardare?», lo sento rivolgersi alla gente attorno a noi riuscendo a captare soltanto alcune parole. "Allupati", "sfigati", "ubriache".
Mentre il locale sembra girare attorno alle nostre figure, Karol mi afferra una mano tremolante. 
«Baby, è tutto ok. Era un gioco». 
Non rispondo.
«Non piangere, Zoe», continua la mia amica.
Non sto piangendo.
«Will, dov'è Darren?», la sento chiedere al nostro amico, occupato a far mettere giù i cellulari di alcuni ragazzi.
Ci hanno fatto dei video?
«Dar-Dar... Darren...»
Non riesco a distinguere i miei pensieri dalla realtà. Provo a parlare ma non sento la mia voce. 
«Venite, usciamo da questo tugurio.»

William ci conduce verso l'uscita, attraverso una moltitudine di ragazzi ammassati che prima non c'era. Non ricordavo fossero così tanti. O forse ci vedo doppio, colpa di tutti i cocktail che mi sono scolata.
«Zoe, perché cazzo stai ridendo?»
Non sto ridendo, Will.
Anche se trovo buffo che Darren non sia con noi. Ho fatto tutto questo solo per lui, dovrebbe ringraziarmi invece di fuggire lontano da me, come fa spesso ultimamente.

Fuori il locale la temperatura è più bassa di almeno quindici gradi rispetto all'interno. Il respiro si condensa in nuvolette bianche, che osservo come una bambina di due anni guarderebbe le bolle di sapone. Non sento particolarmente freddo, ma ho la pelle d'oca e il mio corpo sta tremando. 
William prende il cellulare e digita un numero di telefono imprecando per l'assenza di segnale. Si scombina i capelli ricci che gli cadono sugli occhi mentre alza il telefono in aria direzionandolo verso destra e verso sinistra. 
«Devo vomitare», Karol si porta una mano all'altezza dello stomaco. Mi chiedo quanto abbia davvero bevuto, dato che l'ho vista consumare a malapena due cocktail. 
«Aspetta, non qui!». William le afferra il polso e impartisce ordini che non recepisco ad un ragazzo alto dai capelli neri che fuma una sigaretta a poca distanza da noi. 
Vedo i miei amici scomparire verso i parcheggi e d'istinto mi stringo le braccia al petto. Adesso ho freddo.

Il ragazzo alto si avvicina a me con la sigaretta ancora tra le labbra. Si toglie la giacca e me la posa sulle spalle. 
«Ciao Zoe, sono Josuè. Andavamo alle medie insieme», mi sorride debolmente e si pianta davanti ai miei occhi come un bodyguard.
«Josuè... sei cambiato molto, non ti avrei mai riconosciuto»
«La pubertà fa miracoli!», ride di gusto allungandosi le maniche della felpa fino alle estremità delle dita della mano. 
Mi ricordo di lui. Era molto più basso cinque anni fa, forse persino più basso di me. Non parlava mai con nessuno di sua iniziativa, ma amava disegnare, come me.
«Ho ancora il ritratto che mi facesti durante la lezione di chimica, ti ricordi?»
«Davvero? L'hai anche incorniciato al muro?», spalanca gli occhi fingendo stupore, e io comincio a ridere come se non esistesse cosa più divertente. Sono tremendamente ubriaca.

MANORATH - Perché scegliere?Where stories live. Discover now