1. Vez

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Incredibilmente vuoto, è il rumore del mio cuore.
Suona producendo delle vibrazioni concentriche, facendomi irradiare. Ho sempre odiato la sensazione. Non voglio provare sentimenti perché non li so gestire. Mi fanno stare male. Vomitare. Piangere. Ho voglia di cavarmi gli occhi, gettarmi a mare, nuotare fino alla fine del mondo.
Rannicchiarmi sotto un mare di coperte, non uscire più.

«La colazione è pronta, Vez.»

Devo affrontare anche questa giornata. Appoggio i piedi sulla moquette marroncina e deglutisco. Mi sono sempre chiesto se questo è il suo colore originale o se mia madre, un giorno, ha semplicemente smesso di pulirla. Chissà da quanto tempo non entra nella mia stanza?

Scendo in salone e osservo la tavola imbandita: salsicce bruciate, porridge sciapo e succo d'arancia economico. Mia madre si sta infilando la tracolla e sembra sorpresa di vedermi.

«Sei ancora in pigiama? Devi sbrigarti, non puoi prendere un'altra nota. Ho già parlato con la professoressa Talbott due volte in questa prima settimana.»

Il solo pensiero di mia madre e della professoressa Talbott che discutono del mio rendimento mi chiude lo stomaco. Mi siedo accanto a mia sorella e mi verso una tazza di caffè. Senza zucchero.

Alzo il pollice in direzione di mia madre, lei sbuffa e saluta mia sorella con un bacio sulla fronte.

«Fate i bravi, per favore.»

Una volta che lei esce di casa - sbattendosi dietro la porta malconcia e pericolante -, mi accendo una sigaretta. Ginny mi guarda disgustata e si allontana di qualche metro, trascinandosi dietro tutta la sedia. Il rumore strisciante sul pavimento mi disturba talmente tanto che la osservo in cagnesco, prima di sputarle il fumo addosso.

«Se non sei pronta entro sette minuti ti lascio a piedi» comunico, con fare dispettoso. Lei si strozza con una cucchiaiata di porridge e sbuffa. Sbuffare quando faccio o dico qualsiasi cosa deve essere una abitudine delle donne di questa casa.
«Vaffanculo Velasquez.»

Il diavolo di sedici anni seduto accanto a me sa benissimo che odio il mio nome per intero, e non ha paura delle mie reazioni inconsulte dopo che viene utilizzato a sproposito. Non faccio in tempo a minacciarla con una forchetta che lei già è sparita in cima alle scale.

Velasquez Armand Emmond. Tutti mi chiamano Vez da quando ho memoria. Credo che mia madre si sia resa conto del dispetto che mi ha fatto non appena gli antidolorifici con cui l'avevano imbottita le ostetriche dopo il parto hanno smesso di fare effetto. Armand lo ha scelto mio padre. Il suo ultimo regalo prima di dileguarsi.
Un graditissimo pensiero.

Spengo la cicca nella tazza in cui galleggia ancora il caffè e mi vado a vestire. Il mio fantastico ultimo anno di scuola superiore mi attende. La meravigliosa Downtown Highschool, con il suo vertiginoso 45% di Graduation Rate sta per spalancare le porte dell'inferno su questo nuovo giorno. Il solo pensiero mi nausea.

Ginny entra in macchina con tre minuti di ritardo, non dice niente e si limita a fissarmi con un sopracciglio alzato. Le sue treccine sottili arrivano fin sotto al collo e trovo che le stiano benissimo. Una delle tante cose che non le ho mai detto.
«Sei in ritardo» le dico, invece, accendendomi l'ennesima sigaretta.
«Almeno apri quel cazzo di finestrino. Non si respira.»
Ridacchio e metto in moto.

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Il tuo cuore è una stanza vuotaWhere stories live. Discover now