4. Freddy

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Oggi mi presenterò a Vez. Ho deciso che devo prendere il coraggio a due mani e fare quello che devo. Sarà una cosa ridicola, lui probabilmente mi riterrà indegno di qualsiasi attenzione, ma... devo farlo. Stamattina non mi ha svegliato Stinky, bensì un lieve raggio di sole che mi si è piantato negli occhi. Mi è sembrata una spada dorata, come una benedizione per questa giornata.

Oggi c'è il sole, e per San Francisco è un evento più unico che raro, quindi l'ho interpretato con un segno da parte di Dio in persona. Anche se mi è parso di capire che Dio non sia molto favorevole alle storie fra due uomini, ma me ne frego. Magari mi prende in simpatia, e questa me la fa passare... ho sofferto abbastanza, no? Posso avere un po' di gioia? Solo una.

Oggi non voglio drogarmi, oggi voglio sentire tutto. Lui, di solito, viene nel pomeriggio. Ho tutto il tempo per prepararmi. Devo solo riuscire a non perdermi... posso farcela.

«Ehi Freddy, ti vedo in forma questa mattina...» sussurra Connie, mentre versa del caffè in alcuni bicchieri di plastica. Io prendo la mia tazza personale e gliela porgo con un sorriso.

La tazza è l'unica cosa che mi sono portato via da casa, quando sono scappato. C'è scritto "Dal Montana con amore", con la bandiera sullo sfondo. Che cazzo c'è in Montana non lo so, però è l'unica cosa che ho deciso di portarmi via da quella casa di merda. Mio padre l'aveva riportata come souvenir, di ritorno da uno dei suoi innumerevoli viaggi d'affari. Ricordo ancora il modo in cui me l'aveva adagiata tra le mani.

Oh, lo so benissimo che l'aveva comprata due secondi prima di imbarcarsi in aeroporto, in uno di quei negozietti tristissimi. Però, per me, aveva assunto un enorme significato.

Quindi, sti cazzi se poi mi hai picchiato papà. Non mi frega niente se poi alle tre di notte sei venuto in camera mia e mi hai preso il cazzo in mano. Non importa se hai quasi aperto il cranio di mamma sbattendola contro la credenza... non fa niente... tu mi hai regalato una tazza del Montana.

Come potrei mai ripagarti, per questo?

La stringo forte, mentre il caffè che ci sta versando dentro Connie mi scalda le mani lievemente.

«Oggi è una gran bella giornata... magari potresti fare un giro. Ti va di venire in chiesa con me, Fred?» chiede Connie.

Per un secondo ci penso seriamente. Non me l'ha mai chiesto, ma questa mattina devo avere davvero un bellissimo aspetto. L'amore e la speranza devono donare particolarmente al mio viso.

«L'importante è che io sia di nuovo qui per questo pomeriggio... ho un impegno.»

La giornata insieme a Connie mi è piaciuta tanto

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La giornata insieme a Connie mi è piaciuta tanto. Lei è una donna corpulenta, protettiva, mi ha accudito per tutto il tempo, come se davvero fossi suo figlio.

Mi ha raccontato che ha avuto due figlie e che ora è una nonna felicissima di tre nipotini. Si chiamano Josie, Marie Kate e Gabriel.

Io mi ripeto questi tre nomi nella testa per tutto il resto del tempo che passo insieme a lei. Non voglio scordarmeli, dopo... quando so che andrà di nuovo tutto male. Finché rimarrò ancorato a quei tre nomi, avrò una piccolissima speranza di stare bene.

Magari un giorno avrò dei nipoti anche io... magari li chiamerò proprio così.

Connie mi riporta a Tenderloin alle quattro del pomeriggio, mi abbraccia e mi sembra si commuova giusto un po'. Questa volta non mi disturba, perché mi sembra che siano lacrime di gioia e non di pena, come al solito.

«E' stata proprio una bella giornata...» mi confida lei, all'orecchio, mentre mi sta ancora abbracciando. Io sono d'accordo, ma ho paura di dire qualsiasi cosa perché non voglio che mi si incrini la voce.

Quando Connie se ne va, mi siedo accanto a Butch e aspetto che arrivi Vez.

Oggi è la giornata giusta. La sento così perfetta che deve andare per forza tutto bene.

Vez, come sempre, arriva alle cinque. Il sole è mezzo calato e gli conferisce una bellezza strana, il riverbero del sole aranciato sulla sua pelle brunita mi fa quasi dimenticare come diavolo si fa a spiccicare una sola parola di senso compiuto.

«Il solito?» chiede Butch, stiracchiando un sorriso nella mia direzione. Lo stronzo... lo sa che oggi sono diverso. Di solito, quando lui viene, rimango defilato nella mia tenda o nascosto nei vicoli. Oggi sono qui. Seduto su questa stupida sedia di plastica arancione, e fisso Vez da seduto.

Lui mi lancia dei piccoli sguardi, a volte spenti, a volte accesi, a volte... rabbiosi.

Vez annuisce, batte il piede e si stringe nel giacchetto leggero della sua felpa. Oggi faceva più caldo del solito, immagino che non sia passato a casa per cambiarsi.

Butch si alza e si dilegua per andare a prendere quello che ha chiesto Vez.

Ok. Ora. E' il mio momento. Se non ora, mai più.

Mi alzo in piedi di scatto e tendo la mano in avanti. Il gesto deve prenderlo alla sprovvista, perché sobbalza e fa un passo indietro, quasi finendo giù dal marciapiede.

«Ehm... scusa. Volevo solo presentarmi... mi chiamo Fred» dico, continuando a porgergli la mano. La osservo e me ne vergogno, così pallida e scheletrica, un po' sporca.

Vez mi osserva come se mi stesse studiando, divento un insetto, uno scarafaggio. Poi si tira su il cappuccio della felpa e fa un breve cenno con la mano. Io abbasso subito la mia e penso a tutti i modi possibili per estirparmi dalla faccia del pianeta.

«Vez.»

Non dice nient'altro e si continua a guardare intorno con fare circospetto. Devo fargli veramente pena, non mi guarda neanche...

Come ho potuto pensare, anche solo per un secondo, che sarebbe potuta andare diversamente? Lo vedo subito che lui è troppo diverso da me... lo vedo da come il sole lo accarezza, da come i suoi occhi sembrano assorbire il bello delle cose. Io rimango nell'ombra, mi nascondo dallo stridore martellante della vita.

Grazie a Dio, Butch ritorna e porge una bustina a Vez. Lui la afferra con una velocità felina, e mi osserva con timore.

Butch osserva la scena e scoppia a ridere in modo inarrestabile. Io gli lancio un'occhiata fulminante, ma poi inizio a pensare che sia solamente impazzito, poveretto...

«Guarda che Fred mica è un poliziotto, eh... abita in quella tenda là!» lo ammonisce il mio amico, sbuffando tra una parola e l'altra alcune risate.

Io mi sento un cretino ambulante, spalanco gli occhi e osservo Vez come pietrificato. Lui arrossisce visibilmente e si toglie subito il cappuccio della felpa.

«Oddio... scusami... è che non ti avevo mai visto prima e mi ero agitato! Perdonami.»

Vez sputa le parole tutte insieme e si vede che è sincero e nervoso. Se possibile, mi innamoro di lui ancora di più. Lo sento che scalcia e fa a spintoni fra le costole, mi rende debolissimo.

Forse è un sentimento troppo forte per il mio corpo che rimane in piedi a stento. 

«Non ti preoccupare... effettivamente sono stato un po' sospetto» lo tranquillizzo, ma non riesco a smettere di sorridere e mi fanno male le guance. Neanche ricordavo di averle, delle guance.

«Ehm... sì, lo sei stato, però scusami davvero. Non volevo sembrare stronzo.»

Capisco subito che potremmo benissimo passare tutta la serata a scusarci l'uno con l'altro, quindi lancio un'occhiata a Butch per farlo venire in soccorso.

«Va bene, ragazzino, meglio che smammi che questo posto non è sicuro a notte fonda. Tanto questo fesso coi capelli rossi lo trovi sempre qui...»

Grazie, veramente un amico. Bestemmio fra i denti, ma stiracchio un nuovo sorriso a Vez. Lui, questa volta, lo ricambia. Vedo il paradiso, tutti gli angeli, e anche l'inferno. Vedo tutto.

Cazzo, che bella giornata oggi. 

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