6. Freddy

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Da quel giorno, io e Vez siamo diventati praticamente inseparabili. Lui marinava spesso la scuola, io gli dicevo che non ero affatto d'accordo, lui rispondeva che voleva stare con me, io arrossivo e tacevo.

Fino a quel momento, non avevo idea di come fosse fatto il vero amore. Mia madre era sicuramente migliore di mio padre, ma questo non la rendeva di certo una donna in grado di provare affetto. O almeno, non verso di me.

L'unica volta in cui mi ha veramente dimostrato di tenere a me è stato quando mi ha consigliato di scappare e venire qui, a Tenderloin. Mi disse che non aveva soldi per permettersi di farmi vivere in nessun altro posto, ma io ero così grato di ascoltare quelle parole che mi sembrò come se mi avesse detto di andare a vivere all'Hilton.

Lei passa per Tenderloin quasi abitualmente, una volta ogni due settimane circa. Mi saluta, mi compra un trancio di pizza margherita e va via sfrecciando nel suo macchinone argentato. Ogni volta che la vedo ha una cicatrice nuova in faccia. 

«Oggi voglio portarti in un posto» sussurra Vez, sorridendo

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«Oggi voglio portarti in un posto» sussurra Vez, sorridendo. Quando mi parla mi guarda raramente negli occhi, e mi sta bene così, perché altrimenti riuscirebbe a vedermi attraverso. In sua compagnia sono fatto di cristallo, basta un niente per farmi cadere e sfracellare al suolo. Vez ha il potere innato di spaccarmi in mille pezzi. Lo stesso potere che aveva mio padre. In modo diverso, ma comunque terrificante.

«Va bene, però non sei andato a scuola neanche oggi... sai che non mi piace...» mormoro. Il mio tono è quello di uno che vuole fare una ramanzina, ma non ci riesce perché è troppo emozionato.

«Lo so. Domani ci vado, te lo giuro. Però oggi devo portarti in un posto, è troppo importante.»

Vez mi fa sempre salire sulla sua macchina, ma la cosa mi reca così tanto disagio che ho timore che lui riesca a percepirlo. Ho paura di sporcare i suoi sedili con i miei vestiti logori, di impregnare il suo abitacolo con la puzza della mia pelle. A Vez non sembra importare niente, sono solo le mie paranoie che affondano i denti nella mia povera testa martoriata.

Una volta l'assistente scolastica mi aveva detto che soffrivo del disturbo paranoide della personalità. E anche di tante altre cose, ovviamente. Ma quello mi era rimasto molto più impresso degli altri.

«Siamo quasi arrivati» dice Vez, mentre allunga una mano per carezzarmi la gamba. In uno spasmo inconsulto mi allontano da lui. Poi mi dico che sono un cretino e mi rilasso, mi lascio toccare.

Vez si è avvicinato a me con garbo, senza pretendere nulla, senza essere opprimente e vorace.

Sembra un uomo, vestito come un ragazzino.
Io sembro un ragazzino, vestito come un poveraccio.

Arriviamo alla spiaggia che è quasi sera, la palla aranciata del sole si sta per andare ad affogare nell'oceano. Di tramonti ne ho visti così tanti che hanno perso ogni attrattiva, ma questo mi sembra bello da impazzire perché lo riesco a vedere riflesso negli occhi di Vez.

«Si chiama Baker Beach. Prima di Ginny, mamma mi ci portava sempre. Poi ha conosciuto quel coglione del padre di mia sorella e non ci siamo più venuti...»

Vez parla pochissimo di sè stesso e quando lo fa usa sempre termini coloriti. Poi si scusa perché teme di urtare la mia sensibilità facendo passare la sua situazione più deprimente della mia.

Io non ci faccio caso a queste cose, però, e adoro quando mi parla della sua vita. Mi sembra sempre di conoscere troppo poco. Se un giorno scrivessero un libro su di lui, lo comprerei e sottolineerei ogni riga di ogni pagina.

«Tu parli veramente poco, Freddy...» commenta Vez, mentre si gira una canna. L'aria colma di salsedine mi schiaffeggia il viso lentigginoso, ma comunque sorrido.

«Non ho molto da raccontare» e quello che ho da dire non ti piacerebbe, aggiungo nella mia testa.

«Mi piace stare con te, però.»

Lancia frasi di questo tipo, come coltellate dirette al mio cuore, io perdo battiti, pulsazioni, sangue e tutto quanto. Sforzo un sorriso, ma dentro urlo. Questo amore sembra morte.

«Piace anche a me. Mi piaci tu...» sussurro, quasi balbetto. Il mio tono non ha niente a che vedere con quello sicuro di Vez, però lui mi prende comunque il viso fra le mani e mi bacia.

Sa di erba, menta e pelle. Questo è il momento in cui muoio, me lo sento nelle ossa. Non credo di riuscire a reggere il fiume di emozioni che scorre nelle mie vene. Vez mi ha portato via tutto e me l'ha appena restituito.

Vez mi porta a Baker Beach tutti i giorni

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Vez mi porta a Baker Beach tutti i giorni.
O almeno, nei giorni di cui mi ricordo.
Purtroppo l'amore è forte, ma non così tanto da farmi dimenticare il mio primo vero oggetto del desiderio. La mia ossessione fatale. La dolcezza amara dell'eroina.

Mi chiedo tutti i giorni cosa sarà a uccidermi. L'amore per Vez o la droga? In cuor mio spero che sarà un mix di entrambi. So che non dovrei pensare così tanto alla morte, ma forse è un po' una assuefazione anche quella.

«Perché lo fai?» chiede Vez, mentre fissa un punto imprecisato in mezzo alle onde. Un gabbiano plana a pelo d'acqua e afferra un pesce al volo.

«Cosa?»

«Perché ti droghi così tanto? Certi giorni non mi sembri neanche più tu...» mormora, e sento che il suo tono è stanco. Mi si attorcigliano le budella, ho paura che si sia già stancato di me. Ora mi abbandonerà come tutti gli altri. Non mi farà più salire sulla sua macchina, non appesterò più i suoi spazi col mio odore...

«Non saprei spiegartelo, Vez. Non dipende da te, però... quello lo so per certo.»

Lui annuisce, spegne la canna sulla punta della sua scarpa, la gomma bianca si piega appena sotto il calore lieve della carta bruciata. Capisco che la mia risposta non lo ha soddisfatto, quindi decido di parlare.

«Mi aiuta a sentire meno dolore. Ci sono certi giorni in cui mi tornano in mente i ricordi. Quelli mi sovrastano. Immagina che adesso arrivi uno tsunami, proprio qui e ora, ce lo troviamo davanti che ci sta per arrivare in faccia. Ecco come sono i miei ricordi... e quando mi drogo mi metto in salvo, l'onda mi colpisce comunque, ma non mi uccide. Non fa così male...»

Mi rendo conto subito di non aver mai parlato così a nessuno. Di non aver mai raccontato a nessuno cosa sia la droga per me. Non l'avevo mai detto neanche a me stesso, forse.

«Puoi condividere il tuo dolore e i tuoi ricordi con me, invece di ucciderti in quel modo. Non mi piace quando te ne vai, Freddy...»

Il suo tono è bambinesco, ma ha qualcosa di minaccioso. Mi mette i brividi e mi sembra che, per la prima volta, Vez non abbia centrato il punto.

«E tu? Perché lo fai?»

Vez ride di gusto e per la prima volta si gira verso di me.

«Ma io mica mi drogo tanto quanto te!»

Quella frase mi gela sul posto. Non mi piace come mi sta parlando oggi, mi fa sentire inadeguato, brutto, sporco. Una persona cattiva nella quale non mi rispecchio.

Ecco perché parlo poco, Vez...

Pensavo che almeno tu avresti capito, ma non è stato così.

Il tuo cuore è una stanza vuotaWhere stories live. Discover now