KATE.

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«QUANTO devo aspettare ancora?»

  Sbuffando, mi volto e vedo una donna elegante al bancone. Picchietta le lunghe dita affusolate sul legno e con fare snob allunga nella mia direzione una banconota da cinque dollari.
   «Allora?», dice.
   La afferro pigramente e la lascio a mezz'aria davanti al suo naso.
   «Sono sette dollari, non cinque». Ci mancava solo questa oggi. Ha un fazzoletto Hermès attorno al collo e vuole fare storie per due dollari?
Sorrido, tanto per non essere maleducata, ma da come mi sta guardando ora credo abbia capito la mia frecciatina mentale.
   «Li metta sul mio conto, allora», sbotta la donna.

Magnifico.
Inspiro profondamente perché se apro la bocca e dico quello che voglio dire davvero mi ritroverò anche senza un lavoro oggi, oltre che senza un appartamento grazie al bellissimo avviso di sfratto che ho trovato attaccato alla porta questa mattina. Sono in ritardo di tre mesi con l'affitto, doveva succedere prima o poi, d'altronde.
   «Qui da Starbucks non facciamo credito, signora», replico. La donna fa un'espressione schifata prima di strapparmi la banconota dalla mano.
   «Vorrei parlare con il tuo capo, forza, va a chiamarlo» ordina. «Non ho tempo da perdere, cara».
Beh, nemmeno io, ma lei me lo sta facendo perdere.
Con un sorriso più falso di una banconota da sette dollari sulla faccia, mi volto e cerco la testa pelata di Jeremy. L'unico barlume di peluria gli è rimasto sono i baffi all'insù sul viso quindi è abbastanza facile individuarlo. Vedo che è occupato con un altro cliente, ma quando intercetta la mia espressione in volto, capisce che ho bisogno di lui. È un uomo di mezza età che mi ricorda tantissimo mio padre. Forse per questo mi piace fare colazione con lui ogni giorno per parlare della nostra vita. Anche quest'anno mi ha invitato per la festa di Natale con la sua famiglia anche se mancano ancora due mesi. Sostiene che non è bene stare da sola per le feste e sospetto che ormai dopo due anni che va avanti questa storia dia per scontato che ci sarò.
Mi raggiunge e sorride, come se avesse già intuito che siamo al cliente rompi palle numero cinque della giornata. Prima era stato il turno di un uomo che si era lamentato del suo matcha latte e l'ha rimandato indietro due volte. 'Amico, il problema numero uno è che bevi matcha latte alle otto del mattino', avrei voluto dire, ma Jeremy mi ha fermato appena in tempo.
   «Tutto bene, Kate? Mi cercavi?»
Sorrido e faccio un cenno con la testa verso la donna.
   «La signora voleva che le facessi credito, ma le ho spiegato che qua da Starbucks non lo facciamo», spiego cauta.
   «Se non lo fate dovreste farlo», mi interrompe lei. Jeremy corruga la fronte perplesso, ma cambia subito espressione e allarga la bocca in un sorriso educato. È nel suo stile. In due anni e mezzo non l'ho mai sentito alzare la voce con un cliente e nemmeno con noi dipendenti. E ancora non ho conosciuto una persona che lo abbia fatto arrabbiare. Il suo motto è sempre: 'porgi l'altra guancia'.
   «Kate ha ragione. Non facciamo credito e non accettiamo i conto spese, non rientra nella nostra politica, signora», prosegue. «Facciamo una cosa?» propone. La donna mi fulmina per un breve momento prima di rivolgere la sua attenzione su Jeremy.
   «Che ne dice di cambiare ordine e prendere la porzione ridotta? O forse potrebbe prendere un'altra cosa da bere? La scelta è ampia», dice, indicando il tabellone alle nostre spalle.
    «No, grazie, voglio la mia torta e il mio caffè triplo. Non potete farmi uno sconto? Lo sapevo che non dovevo cambiare posto stamattina», dice seccata. Jeremy sta per rispondere quando qualcuno infila una banconota da venti in mezzo a noi. Non vedo neanche la sua faccia perché la prima cosa che sento è una forte fragranza da dopobarba maschile che invade le mie narici e la bocca. E che ora è arrivata fino ai polmoni. Legno, cannella e qualcos'altro di speziato che devo ancora decifrare.
   «Pago il mio conto e quello della signora», dice la voce. Quando poi la voce entra nel mio campo visivo non è solo il suo profumo a presentarsi, ma anche la sua faccia. Una faccia bellissima, con capelli neri bellissimi, su occhi azzurri bellissimi, su una bocca bellissima e su un cappotto nero bellissimo che probabilmente costa più del mio affitto in ritardo di tre mesi. La donna trasale per un istante, ma quando nota l'uomo rimane immobile a fissarlo. Tranquilla, abbiamo avuto la stessa reazione. In ventisei anni di vita non ho mai visto un uomo così bello e affascinante che ha l'aria di essere anche molto ricco. Un uomo bello, affascinante e ricco che ora mi sta fissando con aria divertita.
Cazzo.
Jeremy si schiarisce la voce riportandomi alla realtà. «Un gesto molto gentile, vero Kate?». Quindi prende la banconota e si sposta alla mia sinistra per finire di preparare l'ordine della donna. Io invece sto ancora fissando l'uomo mentre parla con la donna che a quanto vedo non smette di toccargli il braccio sinistro per ringraziarlo. Lui non sembra infastidito, anzi, ha un sorriso cordiale stampato sulla faccia, e cavolo, ha anche un sorriso bellissimo. Sembra quel tipo di uomo che sa di fare un certo effetto alle donne, che dico, alle persone in generale, perché potrebbe essere la fantasia erotica proibita di qualsiasi essere umano.
Non riesco a staccargli gli occhi di dosso, ma quando vedo che mi lancia occhiate furtive mentre parla con la donna distolgo sguardo. Stai calma Kate. Respira. Non è la prima volta che vedi un uomo, sei solo single da troppo tempo. 'Circa da quattro anni, Kate', mi ricorda la mia coscienza. Jeremy ritorna con l'ordine della tipa che lo afferra e che con non poco dispiacere ringrazia e saluta l'uomo ancora una volta. Gli ha dato un biglietto da visita tra le dita - credo sia di uno studio di architetti dal logo o roba del genere - e lui la saluta educatamente stringendole la mano. Il problema ora è che Jeremy si è allontanato di nuovo per preparare il suo di ordine e mi ha lasciata sola con l'uomo. Il suo fissarmi mi mette a disagio, quindi inizio a fare finta di processare ordini sul monitor. Non riesco a concentrarmi perché ora il suo dopobarba lo sento anche nello stomaco. Mi darebbe la nausea se non fosse attaccato alla pelle di un uomo così bello.
   «Una bella giornata oggi, vero Kate?» Kate? Come fa a sapere il mio nome?
Stacco gli occhi dal dispositivo. «Come, scusi?».
L'uomo sorride. E mi sorride come se fosse anche lui in imbarazzo come me, a disagio quasi. «Ho detto, bella giornata oggi, vero, Kate?».
   «Come fa a sapere il mio nome?», dico, facendomi uscire un sussulto. Che credo abbia notato a giudicare da come ha cambiato espressione.
   «Non si chiama così? Il suo collega prima ha fatto il suo nome», prosegue e indica la targhetta sul grembiule. «Ha per caso rubato l'identità a qualche sua collega questa mattina?». Ora è tornato il sorriso sulla sua faccia. E io vorrei sprofondare perché sono una completa idiota.
Sollevo la mano sulla targhetta e la tengo tra l'indice e il medio per i bordi. La placchetta in argento con scritto in caratteri cubitali Kate mi sfotte.
   «Beh, sì. È la mia attività preferita rubare l'identità alle persone. Un giorno sono una cantante, un altro sono una giornalista e a volte faccio la cassiera da Starbucks per dieci dollari l'ora», farnetico. Il mio tono è più infastidito di quanto volessi, ma la sua presenza mi rende nervosa. Si mette a ridere e infila la mano in tasca per estrarre il telefono e controllare l'ora. Abbassa lo sguardo scorrendo le dita sullo schermo. «Quanto pensi ci vorrà per il mio ordine, Kate? Ho un appuntamento di lavoro tra venti minuti». Quando siamo passati a darci del tu? Cerco Jeremy con lo sguardo, ma non scorgo la sua pelata e inizio a dondolare sui talloni. Riprenditi, Kate. Sei un cazzo di avvocato – eri un cazzo di avvocato - non puoi farti prendere dal panico solo perché un uomo bello, affascinante e che profuma come Sephora ti rivolge la parola.
   «Poco, credo», rispondo finalmente. L'uomo annuisce e mette una mano sul bancone. Ha anche le dita molto belle, dita che sembrano fresche di manicure talmente sono curate. Adesso lo trovo noioso. È troppo perfetto. Dev'essere un maniaco o un serial killer uno così. Oppure è sposato. Lancio un'occhiata all'anulare. No, niente fede.
   «Quindi non ti piace parlare del meteo. Allora di che cosa ti piace parlare, Kate? Musica, film, furto con scasso?», chiede e sorride, ancora. Sghignazzo per l'elenco stravagante. «Alle nove del mattino l'ultima cosa che voglio è fare conversazione sui miei interessi, signore». Ho detto 'signore', davvero? Beh, lui sa il mio nome, l'ha sentito e l'ha letto sulla targhetta, io però non so niente di lui.
Ride. «Signore? Quanti anni credi che abbia?».
   «Non lo so, non mi pagano per fare supposizioni sull'età dei clienti. Una trentina direi, comunque», dico, quando finalmente Jeremy arriva con l'ordine. L'uomo sorride ancora, ma non risponde e non mi dice né il suo nome né la sua età. Gli squilla il telefono mentre Jeremy gli dà il sacchetto.
   «Rendal», rafferma. Rendal? Che nome è? No, dai, sarà di certo il cognome. Farfuglia qualcosa e poi conclude la telefonata dicendo: «A dopo». Quindi infila il sacchetto sotto braccio e batte il pugno sul bancone.

  «É stato un piacere, Kate». Mi fa l'occhiolino e mi da le spalle. Lo seguo con gli occhi fino alla porta a vetri dell'ingresso e vedo che indugia un momento come se si fosse dimenticato qualcosa. Routa la testa verso di me e da dietro le spalle mi sorride. L'unica cosa che noto oltre quel sorriso sono i suoi occhi talmente azzurri che rendono i colori dell'ambiente insignificanti. Quindi esce dal locale e dopo poco sparisce alla sua sinistra.

  «Mi hai sentito, Kate?». Non mi ero nemmeno accorta che Jeremy fosse ancora qua. Mi sento in un altro pianeta, che dico, galassia. Schiarisco la voce. «Sì, scusa. Dicevi?»

  «Niente di che». Allunga una banconota da cento dollari e me la infila nella tasca del grembiule. «Per la spesa settimanale». Ora sì che la mia vita non potrebbe cadere più in basso.

Afferro subito la banconota per restituirgliela. «Jeremy, no. Non posso», dico. Il mio papà in prestito scuote la testa e mi mette una mano sulla spalla. «Prendili, so che sei indietro e la paga non arriva prima di due settimane». Mortificata, stringo la banconota con una mano e con l'altra stringo la sua. «Te li restituirò, te lo prometto, Jeremy». Mi da un buffetto sulla guancia. «Sì, so che lo farai. Ma non voglio che tu lo faccia. Consideralo come un regalo del tuo finto papà, okay?». Rido anche io. «Ti ho già detto quanto ti voglio bene, oggi?» Mi sporgo e lo stringo brevemente in un abbraccio che lui ricambia e mi conforta come se fosse davvero mio padre.

  «Circa una decina di volte», prosegue, «ora rimettiti a lavoro, hai battuto già troppo la fiacca con quell'uomo poco fa», mi prende in giro. Gli faccio una linguaccia poi afferro uno straccio e pulisco nel punto dove l'uomo ha battuto il pugno.

«Scusa, Jeremy. Prometto che non mi farò mai più distrarre da uomini bellissimi, affascinanti e ricchi che mangiano tortini di zucca alle nove del mattino». Sbatto le ciglia e fantastico su uomini bellissimi senza nome con gli occhi azzurri.





❤️‍🔥❤️‍🔥 Spazio autrice ✍🏻

Benvenuti nella vita di Kate Anderson 💅

Allora, cosa ve ne pare di questo primo capitolo? Vi piace Kate?

Cosa ne pensiamo degli occhi azzurri dello sconosciuto? 😏🔥✨

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