PROLOGO: 2

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Nella segreta base di Londra, Hart tratta i 100 come se fossero degli ospiti di un hotel a cinque stelle. Dalle sette alle dieci fa trovare per loro, nella sala apposita, un grande buffet per la colazione. Buffet ricco, in tutto.

Vicino all'entrata c'è il tavolo più pieno, una ventina di piatti divisi tra Sascha e la sorella gemella, Jessica. La copia identica del ragazzo, bassa e molto magra, bionda e dagli occhi azzurri.
Entrambi hanno bisogno di ingerire un'elevatissima quantità di cibo, il dottor Cavanagh gli ha consigliato di fare circa una cinquantina di pasti al giorno, dose da aumentare probabilmente.
Allo stesso tavolo c'è un unico piatto appartenente al fratello più piccolo, Augusto.
«Io sono sazio» dice quest'ultimo dopo aver mangiato l'ultimo pezzo di ciambella. «Vado, ci vediamo dopo.»

Sascha lo osserva andarsene, forse rammaricato. «Non gli sto tanto simpatico.»
«Ma no Sascha, vi conoscete da poco, ha bisogno di tempo. Lui è timido, si chiude spesso in sé stesso, come te. Come noi...»
L'incidente alieno ha dato possibilità all'islandese di scoprire qualcosa della sua vera famiglia. Sin da quando aveva pochi giorni ha vissuto con la famiglia adottiva a Napoli. L'evento catastrofico gli ha fatto conoscere i fratelli e le sorelle che aveva sparsi in giro per il mondo. Non si sa bene il come o il perché.

«È anche un po' deluso dall'Inglese. Gli sarebbe piaciuto conoscere anche gli altri. Poi, sai... lui non ha ancora sviluppato nessun potere.»
Sascha non sa bene come rispondere, non vorrebbe dire la parola sbagliata, sta cercando di creare un legame con la famiglia ritrovata, non vuole commettere errori.
«Ho saputo che ti hanno mandato in una missione.»
«Già, roba semplice» risponde mentre gira e rigira col cucchiaio il suo cappuccino.
«E Hart era d'accordo?»
«No.»
«Ovviamente» scuote la testa poco convinta la ragazza.

Mentre parla con la sorella, Sascha tiene d'occhio il tavolo di fronte.
A occuparlo c'è Andreas e la persona con cui è riuscito più a interagire, la tedesca Vanya. Anche lei bassa e dal fisico esile, occhi marroni e capelli a caschetto castani.

«Come è stato?» domanda Vanya ad Andreas.
«Mi sono divertito...» risponde il connazionale non staccando gli occhi dal piatto.
«Hai provato a parlare con loro? Mi farebbe piacere se superassi la tua timidezza Andre.»
«Sì, non sono stato muto come un pesce. Sembrano tipi simpatici.»
«Anche Sascha?» domanda con molta curiosità.
Andreas la guarda titubante. «Non mi hai detto ancora come fai a conoscerlo.»
«Ci siamo incontrati qualche ora prima che gli alieni provassero a ucciderci.»
«Lo guardi costantemente. E lui non capisco se stia guardando te o me. Sicuro sembra che voglia ucciderci. Ma lo capisco, ne ha passate tante.»
«Sì, me lo ha detto...»
«Cosa? Allora parlate» la cosa lo sorprende.
«Ci siamo anche scambiati i numeri di telefono» dice vergognandosi.
«Eppure non sembra uno così propenso ad aprirsi» pensa Andreas mentre lo studia sott'occhio.
«La sorella invece... ti direi di provarci, ma sei troppo timido. Probabilmente sarà lei a venire da te.»
«Perché dovrebbe?» chiede con tono agitato.
«Perché le piaci.»
«Impossibile» risponde senza esitazione, ma con voce tremante.
Eppure i loro occhi continuano a incrociarsi, timidi e colpevoli.

«Erik» lo svedese viene avvicinato mentre, calmo e quasi immobile, gusta un caffè.
«Dottor Cavanagh» saluta cordiale.
«Non essere freddo mio aspirante medico, io ero contrario al pensiero di Hart.»
Allo svedese fa piacere sentire queste parole.
«Come si sono comportati i tuoi compagni?»
«Bene» continua parlando come se stesse a un incontro politico. «C'era armonia su quella nave, anche durante il viaggio... anche se in realtà eravamo distanti, sembravamo vicini. In un certo senso.»
«Io ho saputo che siete stati zitti per la maggior parte del tempo.»
«Sì ma, era un silenzio condiviso. È stato detto che non fossero adatti fisicamente e psicologicamente, non mi è sembrato vero.»
«Tu? Come ti sei comportato?»
«Ho curato chiunque potessi» e ricorda che è stato preso in giro per questo. Ma ciò non gli è dispiaciuto, anzi, lo ha fatto divertire.
«Mi raccomando Erik. Loro sono persone di cui fidarti.»
Gli dà una pacca sulla spalla e se ne va. Mentre lo svedese rimane con la testa verso il basso, verso quel caffè caldo, che ormai sarà diventato freddo.

I FRA: Una nuova eraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora