1. Addio Stati Uniti

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EVELYNE'S POV

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EVELYNE'S POV

«Mancano meno di due minuti e sarete giunti a destinazione.» Ci informò l'autista.

Abbassai il finestrino del taxi e mi sporsi leggermente. L'aria mi pizzicò il viso e sentii la mia pelle arrossire. Il vento scompigliò alcune ciocche dei miei capelli castani che raccolsi un paio di ore prima quando ero ancora sull'aereo, senza curarmi di risultare un minimo decente.

Una volta arrivati, scesi e andai nel retro del veicolo per prendere i miei bagagli dal baule ed entrai nell'hotel.

Arrivai davanti alla reception e venni accolta da una ragazza. «Nome, prego?»

«Mio papà ha prenotato una stanza per me a nome Paul Sinclaire.» Comunicai alla receptionist.

«Aspetti, verifico immediatamente.» Disse abbassandosi gli occhiali e digitando parole a computer.

Nell'attesa guardai di sfuggita l'atrio dell'hotel di Milano in cui mi trovavo in quel momento.
Regnava il silenzio, in fondo erano le tre di mattino inoltrate e non potevo di certo aspettarmi che qualcuno facesse baccano.
Si sentivano solo qualche clacson in lontananza e le lettere della tastiera premere.

«Questa è la sua card. Se ha bisogno, noi siamo a sua disposizione.»

La presi e lessi il numero della stanza.

«Grazie.» Mi rivolsi a lei sorridendo gentilmente.

Potei prendere l'ascensore, ma a causa della mia ansia di rimanere bloccata preferii andare sulle scale, non importandomi del fatto che avrei dovuto salire tre piani con le mie pesanti valigie.

"Ce l'ho fatta" Esclamai esausta dopo le lunghissime e faticose rampe che feci in dieci minuti abbondanti, percorrendo scalino dopo scalino con una lentezza incredibile.

Scostai le ciocche sudate dal viso e, prima di entrare in camera, inspirai ed espirai a lungo per placare i miei respiri affannosi e per riprendere il fiato perso.

Accesi le luci, posai le valige accanto alla porta e mi sedetti a bordo letto.

Non dormivo da più di ventiquattro ore per l'agitazione. Il sonno iniziò a farsi sentire, perciò mi sdraiai e, dopo aver riposato gli occhi per una decina di minuti, mi alzai per osservare meglio la stanza in cui avrei passato il mio tempo per una settimana.

La prima cosa su cui mi cadde l'occhio fu la TV enorme appesa ad un pannello di legno.
Fu dotata di lucine led, osservai, dunque le accesi e spensi quelle principali.

Non sopportavo quella sensazione di sporco dopo un viaggio infinito, così mi diressi al bagno per lavarmi e mi cambiai in vestiti comodi, che reputai pigiama. Non fui amante di pigiami troppo colorati o con scritte, per questo motivo scelsi degli indumenti monocolore.

Tornai in camera e, prima di mettermi a letto per dormire, feci zapping.

Tentai più volte ad addormentarmi, ma non ci riuscii, dunque andai in balcone per prendere un po' d'aria e godermi gli ultimi giorni di estate.

Presi una bottiglietta d'acqua dal mini frigo, mi accomodai sulle poltroncine all'esterno e rimasi a guardare il telefono tranquillamente finché non sentii un verso di dolore.

Mi sporsi di scatto dalla balaustra e, preoccupata, cercai di capire da dove provenisse quel lamento.

L'unica cosa che vidi oltre alle macchine fu un ragazzo con una felpa blu con il cappuccio che prendeva a pugni un altro ragazzo, ormai accovacciato a terra.

«Ma che fai?!» Urlai d'istinto.

Chissà cosa succederà adesso, pensai.

Il ragazzo mi ignorò completamente e continuò senza tregua a fare quello che stava facendo.

«Stai fermo, gli stai facendo del male...»
Insistetti.

«Ora vai e non farti mai più vedere, intesi?» Disse arrabbiato al ragazzo a terra.

Si passò una mano tra i capelli, sputò e infine mi rivolse uno sguardo. 
«E tu? Cosa hai da guardare?» Si espresse infastidito riferendosi a me, dato che rimasi lì a guardare la scena pietrificata.

Ci fissammo per qualche istante senza spiccare parola e poi si allontanò.

Rimasi lì appoggiata alla sbarra del balcone incredula da ciò che avevo appena visto.

Fated Mates Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora