XIV

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Yuki

«Non scherzo, Yuki»

Quella fu la prima volta in cui mi chiamò per nome e sentii, per l'ennesima volta, una scossa attraversarmi la schiena e i miei occhi perdersi nei suoi: determinati e leggermente preoccupati.

Kirishima, notando la preoccupazione in Bakugo, m'afferrò per la vita, e sentii le guance riscaldarsi.

Il braccio possente di Kiri si tese nel momento in cui notò il mio rossore e Bakugo s'incupì nel momento in cui vide l'intensità del nostro contatto.

Arrivammo a metà del corridoio che stavamo percorrendo, le pareti erano state colorate con delle bombolette ed ogni camera -a differenza delle nostre omologhe e noiose- aveva un proprio disegno al disopra.

Quello sopra la porta a cui Bakugo aveva bussato intensamente era lo sharingan ipnotico -o mangekyo sharingan per i più appassionati.

C'era un'atmosfera cupa ed inquietante. Ma le persone non sembravano spaventose, ridevano e scherzavano, ma la loro felicità si spegneva ogni volta che ci passavano accanto, sostituendola con un'espressione schifata.

«APRI CAPELLI VIOLA, TANTO LO SO CHE CI SEI» gridò il biondo.

La porta si spalancò rivelando un bellissimo ragazzo dai capelli viola. Aveva l'aria di uno che sperava che il mondo finisse al più presto.

Era sciatto, con delle profonde occhiaie. Sembrava Aizawa-sensei.

«Che c'è, Bakugo? Ero molto occupato» indicò il computer aperto su un sito per adulti e un pacco di fazzoletti, poi notò la mia presenza, sgranò gli occhi e un leggero rossore gli tinse le guance «Signorina non è come pensa, mi concedo a certe cose solo una volta ogni due mesi e... Cazzo Bakugo fermami» Bakugo lo spinse dentro con un sorrisetto sghembo mentre Kirishima sorrideva.

«Ha avuto un'idea brillante» mi sussurrò all'orecchio riferendosi all'idea di Bakugo di portarmi in quel posto.

«Allora, ragazzi, come mai qui?» spese il computer e mise via i fazzoletti, poi si sedette sul letto, io e Kiri a terra e Bakugo su una sedia.

«Lei è Yuki Kamitsu, ha un problemino alla testa, non so se mi spiego» portò un dito alla tempie e lo fece roteare, per indicare la mia pazzia.

«Hai già una diagnosi, Kamitsu?»
«A dodici anni mi hanno diagnosticato una depressione bipolare» il ragazzo dai capelli viola emise un "mh" mentre si grattava il mento con fare pensieroso.

«Vedrò cosa posso fare» si rivolse ai miei accompagnatori.
«Mi spiegate che sta succedendo?» sbottai iniziando a perdere la calma -e la testa, soprattutto la testa.

«Tranquilla Kamitsu, io sono Hitoshi Shinso, non è la prima volta che Bakugo mi contatta, il mio quirk mi permette di controllare la mente altrui, diciamo che nel momento in cui tu mi parli io ti controllo. Ora che mi hai parlato io controllerò i tuoi movimenti e ti impedirò di dare di matto»

Guardai Bakugo che scocciato guardava fuori dalla finestra, non sembrava particolarmente preso da quello che Shinso mi aveva detto.
Ma le domande iniziarono a spaziarsi nella mia mante, come:

Perché Bakugo era già venuto da Shinso?
Perché mi aveva portato? Si era sentito in dovere dato che l'idea di farmi entrare eccezionalmente al terzo anno era stata sua?

«Grazie Shinso» gli sorrisi e fu come se tutto il resto non ci fosse stato, forse fu una mia impressione, ma improvvisamente fui rapita dai suoi occhi.

«Possiamo andare» mormorò Bakugo, mi afferrò per l'avambraccio e mi trascinò fuori mentre Kirishima si occupava dei convenevoli.

«E lasciami» mi sottrassi alla sua presa quando arrivammo nel giardino della scuola.
Avevamo lasciato Kirishima indietro e mi sembrò di vederlo correre verso camera sua mentre Bakugo mi afferrava nuovamente e mi trascinava verso uno strano gazebo abbandonato nel bel mezzo del giardino.

Mi spintonò all'intero e chiuse la porta. Poi mi guardò negli occhi e fu come se mille aghi si fossero infilzati nei miei occhi, un dolore atroce, ma Newton secoli prima l'aveva fatto per la scienza.

«Come ti senti?» mi domandò.
«Che sei un dottore o un eroe?» mi permisi di cambiare una delle battute di Mikey, il manager di Rocky, ma Bakugo non sembrò afferrare la citazione.

«Ti ho fatto una domanda, Tigrotta, e non mi piace ripetermi»
«Perché mi hai portata qui?» mi guardai intorno. Era un posto piuttosto inquietante. Probabilmente Bakugo ne frequentava molti di posti del genere.

«Tu rispondi alla mia domanda ed io rispondo alla tua» sibilò a denti stretti.
«Sto bene» dissi, ormai uscivano come un automatismo dalle mie labbra.

Non ci pensavo più a come dovevo rispondere. Uscivano come missili e la maggior parte delle volte le persone mi sorridevano e mi raccontavano del loro ultimo dramma.

Non contava quello che io provassi davvero ma quello che effettivamente rispondevo.
Ma probabilmente la coppa era mia: se mi fosse interessato che gli altri mi ascoltassero, avrei dovuto dire loro che stavo effettivamente nessuno mi capiva così bene da leggere come stessi da uno sguardo.

«Di' la verità, Tigrotta, qui i tuoi pensieri sono al sicuro»
Come l'ha capito? Perché questo ragazzo mi leggeva così in fretta? Per capire la mia malattia la signorina Sato mi aveva fatta arrivare ad una crisi isterica, lui dal primo giorno in cui mi aveva vista mi aveva chiesto cosa mi fosse successo.

Ma io non lo sapevo, non c'era io tassello mancante al suo puzzle, non esisteva. Ero nata con quella testa, ci avevo vissuto e ci sarei morta. Io mi ero messa l'anima in pace, lui e Kirishima non tanto.

«Sto bene, Bakugo, perché dovrei lamentarmi? Ho un tetto sopra la testa e... un sacco da boxe. Cosa potrei chiedere di più?»

«Un po' d'amore, forse» mi penetrò con i suoi occhi color rubino e sentii il suo sguardo sfogliare ogni pagina della mia vita.

Guardava, si segnava le parti peggiori e migliori, mi capiva e mi uccideva, mi privava della mia privacy in un modo talmente profondo, intimo, fa farmi sentire al sicuro sotto i suoi occhi color fuoco.

E quelle parole furono verità nella grande bugia, furono luce nel buio della mia anima.
Salvezza nella paura di non uscire più dalla mia pazzia.

Qualcuno (Bakugo x Oc)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora