Un prete di campagna

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La parrocchia è il luogo dove si registrano e si battezzano i nuovi nati, si celebrano i matrimoni e i riti funebri. La partecipazione alle funzioni religiose e a tutte le fasi pubbliche della vita sociale del paese fanno della parrocchia il centro di riferimento della quasi totalità della popolazione. Il diffuso analfabetismo imponeva ai parroci di tenere una fitta corrispondenza con gli emigrati e le loro famiglie, perché chi non sapeva leggere e scrivere, per superare il problema della comunicazione, si rivolgeva a chi aveva tali conoscenze ma fosse anche persona di fiducia.

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Leone, con aria assorta segue la santa messa. Di sottecchi osserva Rosa, seduta accanto a Teresina. Lei abbassa la testa. Si sente avvampare; non le era mai successo prima di provare tanto turbamento dentro di sé. Spera solo che la funzione religiosa finisca presto: deve uscire a prendere un po' d'aria. 

Per calmare il suo cuore. 

Per dirsi che è bellissimo questo primo palpito d'amore.

– Dominus vobiscum – la voce di don Paolo risuona nella navata.

– Et cum spiritu tuo! – un coro di voci si alza in risposta.

– Ite missa est. – conclude il prete con solennità.

Con queste parole don Paolo, il giovane parroco del paese, saluta le persone radunate nella chiesa di San Leonardo per seguire il rito domenicale. Volge il capo verso l'anziano prete, seduto su una sedia. Don Piero, malato e quasi cieco, ha guidato la comunità con saggezza e dedizione per decenni. Le sue mani, nodose e macchiate dal tempo, tremano leggermente quando stringe quelle di don Paolo. Un bacio fraterno e affettuoso suggella il loro profondo legame di amicizia e rispetto.

– Don Piero, la ringrazio per tutto quello che ha fatto per questa comunità. – dice il giovane prete al suo predecessore.

– Grazie a te, figliolo. È stato un onore servire nostro Signore e la mia gente. – risponde il parroco con voce tremante.

La sua salute è ormai cagionevole e le forze lo stanno abbandonando. Ma il suo spirito rimane indomito, pronto ad affrontare l'ultima sfida con la stessa tenacia che dimostrò durante la Prima Guerra Mondiale quando gli austriaci entrarono in paese e il sindaco fuggì, lasciando la casa municipale in mano al nemico. Don Piero non si era arreso. Rimase al fianco dei suoi fedeli, offrendo loro conforto e speranza.
In un periodo di terrore e incertezza, dal pulpito, la sua voce si era levata forte e allo stesso tempo compassionevole. Tutta la comunità si era affidata a lui, anche per scrivere le lettere da inviare al fronte, o ai compaesani emigrati all'estero, poiché la maggior parte di loro era analfabeta.

 Scriveva solo cose belle, don Piero, anche se in famiglia era morto un anziano o qualcuno si era gravemente ammalato. La sua era una bugia pietosa, un atto d'amore verso la sua gente, un modo per mantenere viva la speranza in un futuro migliore. Sapeva che ricevere brutte notizie dai propri cari, per chi imbracciava un fucile e con la morte ci conviveva tutti i giorni, non lo avrebbe certamente rallegrato. Le sue parole, sempre piene di speranza e di amore, lenivano le sofferenze e davano forza a chi stava combattendo per l'Italia.

Don Paolo aiuta l'uomo di chiesa ad alzarsi, vuole salutare la sua gente, quei suoi figli che ha visto nascere, ma anche morire. Sessant'anni di sacerdozio, di preghiere silenziose e di gesti di misericordia, scolpiti nelle rughe del suo volto e nel suo sguardo benevolo.

– Cari parrocchiani, prima di lasciare la casa del Signore, salutate il vostro caro parroco – dice don Paolo.

Nella chiesa, il silenzio è rotto solo dal singhiozzo di qualche donna, mentre don Piero, lentamente, si avvicina all'altare per l'ultima benedizione. Un'immagine che rimarrà impressa per sempre nella memoria di tutti, un simbolo indelebile di un uomo che ha fatto della sua vita un dono per la sua comunità.

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