35.Atlas

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As it was


Era ormai tradizione fare una festa di compleanno benvenuto per chiunque si trasferisse. Non importava in che momento o in che mese, tutti dovevano impegnarsi a fare qualcosa per quella festa che avrebbe occupato dal primo all'ultimo piano del palazzo. Era iniziata qualche anno prima, quando i primi ragazzi che intendevano seguire gli studi universitari si erano trasferiti. Prima quel palazzo era abitato solo da gente oltre i 40 anni, forse perché erano gli unici a capirne l'importanza storica e architettonica, ma quando molte famiglie si erano rese conto dell'importanza storica, ma appena le famiglie si erano rese conto di quanto fosse conveniente e centrale come posto ecco che arrivavano i primi giovani.

Era quindi diventato normale fare una festa di benvenuto a chiunque si trasferisse, era una specie di tradizione appena iniziata. Era toccato a Atlas, a Sheila, ad Alex, a chiunque. Proprio per questo anche loro si impegnavano per rendere quella festa il più accogliente possibile. Atlas particolarmente adorava decorare. Spesso mentre attaccava i festoni ai muri non trovava più la scala e allora doveva salire sulle spalle di Alex, mentre gli altri più grandi di lui lo trattavano come un figlio e gli passavano chiodo e martello. Aveva sempre voluto essere trattato come il figlio maschio a cui il padre dava consigli, ma purtroppo non era così facile. Ma quel giorno non aveva intenzione di rimuginare sulle cose passate. Non sapeva chi si occupasse ella musica, ma senza dubbio avrebbe dovuto cambiare playlist: quelle canzoni che a basso volume percorrevano ogni scalino erano davvero tremende!

Atlas stava girando qua e là in cerca di Hope e Emily, aveva perso le speranze nel rintracciare Alex, così come nel trovare le sue coinquiline. Eppure con molta fortuna, mentre osservava al di là delle persone per trovare un viso familiare, l'unica persona che riuscì a inquadrare era Will: era con degli amici e stava bevendo qualcosa, sarebbe andato lì a chiedergli se avesse visto Sheila, ma solo vederlo cosi sicuro e orgoglioso faceva provare a Atlas un fastidio immenso. Andò avanti, spostandosi un po' di capelli arricciati sulla fronte, anche se era inverno l'aria gli sembrava particolarmente calda, forse a causa delle molte persone. Scese al piano terra, dove c'era un lungo tavolo attaccato al muro con sopra diverse pietanze salate ma soprattutto dolci. Non troppo lontano da lì vide Taylor, Sheila e Matilda, impegnate a parlare con Hope. Probabilmente Matilda le aveva presentate, sembravano andare d'accordo, ridevano e scherzavano. Si avvicinò scansando alcune persone che stavano sulla strada.

<<Avete fatto amicizia>> sorrise appena arrivò abbastanza vicino a loro, poggiò un braccio sulla spalla di Matilda. Sheila annuì con la testa, senza dire nulla. Era chiaro che avesse già qualcosa da ridire su Hope, ma non poteva dirlo in quel momento quindi si era limitata a fingere. Non sapeva dove fosse Emily, era strano si fosse allontanata.

<<Sì!>> disse con un tono stridente Hope <<Le tue coinquiline sono davvero simpatiche>> continuò. La ricrescita scura era più accentuata con quelle luci e nella parte decolorata i suoi capelli erano crespi.

<<Anche tu e Emily, già vi adoro>> rispose Taylor felice, vestita tutta di nero come era sua abitudine. Matilda non disse nulla, dopo di tutto già le conosceva. <<Ora ho nuove persone con cui parlare delle mie avventure>> rise e Hope la seguì. Era la prima volta che la sentiva ridere, era una risata acuta e un po' irritante, simile a una rana che gracchiava. Atlas sentiva i suoi nervi tesi, non gli piaceva stare in mezzo a così tanta gente, ma la cosa peggiore era la musica che faceva eco nelle sue orecchie mischiata al tono alto delle persone. La sua mente odiava i rumori forti, lo sapeva, non era sicuro di quanto sarebbe riuscito a durare lì mentre quelle onde sonore lo attraversavano confondendolo. Era sempre stato classificato come una persona che odiava le feste, ma non era affatto così: lui adorava stare in mezzo alla gente, parlare con gli altri, ridere. Allora cosa c'era che non andava? Era qualcosa che lui non poteva controllare, un suo istinto. La musica alta lo infastidiva, gli faceva venire ansia, e così si ricordava di quanto a pezzi fosse la sua testa finendo per odiarla. Contemporaneamente si trovava lì, a doversi vestire in modo più elegante e quindi a evitare di indossare vestiti larghi. Doveva vedere il suo corpo, ma ogni volta che lo vedeva sentiva una specie di disgusto, non voleva vederlo, non poteva, perché lo odiava. E stare in mezzo a gente tanto perfetta non faceva che allargare quelle ferite, non faceva che aumentare il disprezzo verso sé stesso. Quindi no, non odiava le feste, ma in quel momento odiava la sua mente e il suo corpo e ciò rendeva difficile amare tutto il resto.

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