Capitolo quattro: Rimpianti

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La scheda magnetica di Gabbo passò sopra una sorta di lettore, fece scattare un interruttore verde e le porte che davano sull'entrata si spalancarono.

Nel momento stesso in cui vidi l'interno della struttura, capii che c'era qualcosa che ci stava aspettando. Quella cosa era viva, permeava il posto con un'aura che influenzava ogni mia sensazione causandomi profonde vertigini. Mi sentivo cadere ad ogni passo, le gambe cedevano e una voce sempre più forte si intrufolò nei miei pensieri.

Bravo bambino. Sei un bravo bambino. Cammina, Giulio. Segui i tuoi compagni, Giulio. Le porte si sono chiuse ma sei al sicuro con me, Giulio. Ora entra nell'ascensore, Giulio.

Le porte dei dieci ascensori di fronte a noi si aprirono tutte insieme, mischiando la loro luce al neon con quella dell'atrio in cui eravamo entrati. Non mi accorsi nemmeno che gli animali erano rimasti fuori: ci guardavano immobili dietro le porte in vetro, nel buio del parcheggio.

Cornacchie, passeri e gabbiani si erano poggiati sulla testa dei cani, aggrappandosi alla carne spelacchiata e fangosa dei loro crani. I topi invece erano fermi poco lontani in orribili orde circondate da mosche e falene svolazzanti. Nessuno di loro emetteva un verso, nessuno di loro faceva un movimento. Sembravano un branco di pupazzi male assortiti di un giocattolaio pazzo.

<< Bravi cagnolini >> disse Kekko sbavandosi addosso.

<< Bravi cagnolini >> ripeté Slav all'unisono con Guédé e Massimo.

<< Bravi cagnolini >> sputacchiai io con un sorriso ebete in faccia.

Fu Gabbo che mi ordinò dove andare con un gesto del capo, per poi fare lo stesso con gli altri. Kekko e Guédé presero l'ascensore all'estrema sinistra mentre Slav e Massimo quello all'estrema destra. Io quello al centro.

L'ascensore si chiuse e subito mi sentii triste, quasi depresso. Era come se un velo di dolore mi fosse calato addosso, perché non avrei più visto i cagnolini, i topolini e quegli uccellini sporchi di terra scura. Mi sentivo nello stesso modo di quando ci si prende una sbronza malinconica e si comincia a pensare ad eventi grigi del proprio passato.

Scoppiai in lacrime mentre l'ascensore scendeva piano dopo piano dopo piano. Singhiozzavo tenendomi la faccia tra le mani e sussurravo che rivolevo i miei cagnolini, rincoglionito dalla droga mentale più forte che avessi mai provato.

No, Giulio, non piangere. I cagnolini sono rimasti fuori ma potrai rivederli dopo. Non piangere mio bel bambino, ho preparato una festa per te. La senti questa bella musica? La senti Giulio? È la tua festa!

Sentivo davvero la musica.

Più l'ascensore scendeva e più si faceva alta in una sinfonia che si mescolava con il rumore dei cavi e delle rotaie. Il pannello segnava meno nove B, meno dieci A, meno dieci B, meno undici A, meno undici B ... e poi si fermò.

La musica ora era sopra di me, come se fossi sceso un piano di troppo. La distinguevo bene, era calzante, piena di bassi e con una sinfonia ben nota. Sembrava un remix di Maracaibo, tanto che ne distinguevo le parole.

Quella canzone riusciva a ricondurmi ad una festa di compleanno di vent'anni prima.

Rincuorato cominciai a canticchiarla mentre uscivo dall'ascensore, guidato dalla voce. << Maracaibo! Mare forza nove ... fuggire sì ma dove? >>

Bravo Giulio, sei proprio un bravo bambino. Canta mentre vai alla tua festa, non fermarti. Ora gira l'angolo e ricordati di tenere il fucile puntato davanti a te. Il dito tienilo lontano dal grilletto, così non facciamo spaventare i cagnolini ... va bene bambino mio?

Una Volgare Dimostrazione di Potere: SoldatoWhere stories live. Discover now