TU, UMANA. TU, DONNA

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𓆩*𓆪

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VIII

Non era giorno né notte.

La luce dell'alba procedeva a brevi intervalli al ritmo del battito d'ali di un albatros.
I suoni a cui arrivavo erano sommessi, fragorosi, smorzati, come se le doglie di una donna si stessero susseguendo sott'acqua.
Sentivo l'acqua ritrarsi ma non temevo di esserne risucchiata, percepivo lo sciabordio della corrente ma non temevo di morire annegata.

Passeggiavo in mezzo ai rottami e ai detriti del globo, ma i miei piedi non erano contusi.
Non vi era alcun limite al cielo né divisione alcuna tra terra e mare.
Mi mossi tra serrature e orifizi a piedi instabili e slittanti.
Non sentivo nulla. Non odoravo nulla. Non vedevo nulla. Non sentivo nulla.
Un corpo debole, trascinato fino alla deriva.

Era lì, in uno spiraglio di luce, che attraversai senza difficoltà prendendo una grande boccata d'aria quando riemersi.
La luce naturale del sole mi scaldò la fronte fradicia, mentre gocce di acqua gelida mi colarono lungo il viso.

Sbattendo lentamente le palpebre, le labbra si aprirono per inspirare a fondo l'aria che ormai non mi faceva più effetto e, ancora prima che il mio corpo si arrendesse, mi avvinghiai ad un bordo spesso strato di ghiaccio.

Annaspai, inumidendomi e strusciando le labbra sul denso asfalto ghiacciato. Una crisi di tosse mi percosse in pieno il costato.
Dovevo assolutamente uscire dall'acqua, prima che andassi in ipotermia.

Con tutte le forze che mi rimanevano, mi issai a fatica sulle braccia, provando a scalciare le gambe dalla superficie dell'acqua; una forza enorme mi investì in pieno petto, come non volesse tirarmi fuori di lì.
Un urlo agonizzante abbandonò le mie labbra intorpidite e strizzai gli occhi, sforzandomi più di quanto il fisico mi consentisse.
Emisi un rantolo di sollievo quando, tirando su le gambe fuori dall'acqua e sbattendo di petto sul manto di ghiaccio, trassi liberazione.

Mi girai a pancia all'aria, percependo la veste che mi si appiccicava come una seconda pelle.
Socchiusi gli occhi, concentrandomi sul sole che emanava un bagliore pittato di arancione.

Un attacco di tosse mi costrinse a girarmi su un fianco, in posizione supina, e dei conati di vomito mi attanagliarono la gola, dove proprio in quel momento il cuore balzò a mille.

Trascinandomi a forza di gambe e gomiti assiderati, raggiunsi la buca di ghiaccio da cui ero emersa e vomitai, ritrovando il fiato.

Solo dopo, le gambe e i piedi nudi mi obbligarono ad accorgermi dove mi trovassi.
I miei occhi percorsero la circolare che, sul fondale di ghiaccio con l'acqua dello stagno ghiacciata, mi avvolgeva, trattenendomi in quella cerchia opprimente.

Dei ricordi sbiaditi abusarono la mia memoria: il giudizio, la lite, l'Arcangelo che mi aveva lasciata cadere...

No. No, no, no.

DEATH IS A WOMVNWhere stories live. Discover now