Capitolo 18

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Quel giorno ero abbastanza libera in ospedale, la prossima visita sarebbe stata tra un paio d'ore e così mi ritrovai a gironzolare per vedere se qualcuno avesse bisogno di aiuto.
« Codice rosso! » sentì urlare e mi spostai di lato per far passare i paramedici con la barella.
Un'infermiera urlò. « Chiamate subito il Dottor. Johnson! »
Seguì l'infermiera incaricata di chiamarlo e mi ritrovai a seguirli fino al terzo pianto, uno strano presentimento iniziò ad impadronirsi del mio stomaco ma pensai fosse dato dalla terribile situazione in atto.
« Sa di cosa si tratta? » mi chiese mentre aspettavamo che l'ascensore si fermasse.
Scossi la testa mentre la mano iniziò a tremare dal nervosismo. «Non ne ho idea, credo sia in condizioni molto gravi. »
L'ascensore trillò facendomi sobbalzare mentre il dottor. Johnson si diresse subito verso la sola operatoria.
Quello non era il mio reparto ma la curiosità mi spinse nel seguirlo, mi fermai appena fuori la porta e venni interrotta da un'infermiera.
« Dottoressa Anderson, mi dica. » pensai fosse una tirocinante.
Mi contorsi le dita ma la voce di un'altra infermiera alle mie spalle mi fece irrigidire. « Elena! » l'infermiera dinanzi a me guardò alle mie spalle ed io restai immobile.
« Ho trovato il numero del parente di riferimento, è la dottoressa Allison Anderson, dovrebbe trovarsi al secondo piano in questo momento. »
Cosa?
Mi girai verso l'infermiera che proferì parola e appena mi vide sgranò gli occhi iniziando a balbettare, non le prestai attenzione ed osservai spuntare dietro le sue spalle l'ultima persona che avrei voluto vedere.
« Allison. » Mason mi guardò, non riuscì a dirmi nulla, così passai a guardare l'infermiera alla quale avevo chiesto informazioni.
Realizzai che solo per una persona fossi il contatto di emergenza.
« Cos'è successo. » pretesi di sapere e poi guardai l'altra infermiera. « Cos'è successo!? »
L'infermiera di nome Elena mi rispose: « È arrivato in ospedale accusando un forte mal di testa, abbiamo svolto una tomografia computerizzata dalla quale si è rilevata un'estesa emorragia cerebrale, tutta la parte sinistra del cervello. »
Il battito cardiaco si fermò per un istante e vidi Mason avvicinarsi a me velocemente, probabilmente stavo per svenire.
Il breve capogiro che mi scombussolò non mi fermò dall'entrare nella sala operatoria, mi fermai nella stanza ove i chirurghi lavavano scrupolosamente le mani ed osservai mio zio steso sul lettino chirurgico.
« Dottoressa Anderson lei non può stare qui! »  era vero, non ero stata autorizzata eppure in quel momento delle regole poco mi importava perché su quel lettino c'era la persona più importante della mia vita.
Alan Johnson mi guardò per un momento da lontano mentre io abbassai gli occhi sul cervello mezzo aperto, non riuscì a capacitarmi del fatto che fosse proprio il suo cervello.
Mi sentì sott'acqua e privata della capacità di nuotare, annegavo senza poter fare niente per salvarmi, me ne stavo immobile a sperare di avere qualcosa a cui aggrapparmi e quando l'infermiera mi trascinò lentamente fuori da quella stanza pensai di aver perso ogni capacità motoria.
Sentì il mio corpo venir manovrato dalle persone intorno a me, mi posizionarono su una sedia fuori la sala operatoria e mi lasciarono lì mentre quelle due parole prendevano sempre più possesso nella mia mente.
Scossi la testa. « Sh. » mi portai le mani tra i capelli e chiusi gli occhi scuotendo la testa. Non volevo sapere, non volevo sentire niente e non volevo parlare.

Mason si avvicinò ma restò a controllarmi nel caso in cui fossi svenuta un'altra volta.
« Stai zitto. » mi sedetti a terra e non staccai gli occhi dal pavimento grigio che mi mise ancora più angoscia.
Mason parve non comprendere cosa stessi dicendo ma ormai ero divenuta un disco rotto, un vinile graffiato che ripeteva sempre e solo una frase: « Stai zitto. »
Emorragia cerebrale.
Emorragia cerebrale.
Emorragia cerebrale.
Emorragia cerebrale.
« Che cos'ha? » neanche la sua voce fredda e controllata mi permise di riacquisire un minimo di lucidità mentale.
« Emorragia cerebrale... è una perdita di sangue all'interno del cervello. » mantenni lo sguardo sul pavimento mentre le unghie torturavano la mia cute. « È molto estesa, tutta la parte sinistra del cervello. »
Non riuscivo a collegare niente e non riuscivo a smettere di ripetere che sarebbe andato tutto male perché me lo sentivo, me lo sentivo che anche quella volta sarebbe andato tutto male.
La vita si stava prendendo gioco di me, un'altra volta.
L'emorragia cerebrale era una cosa troppo seria per risolversi in modo positivo, come minimo avrebbe avuto danni collaterali per il resto della sua vita e già solo quel pensiero mi seviziava l'animo.
La colonna portante della mia vita si stava irrimediabilmente spezzando ed io sapevo di non poter fare nulla per cambiare questa realtà, per una volta non potevo fare nulla per fermare questo incubo.
« Tu sei un medico... cosa pensi succederà? » domandò dopo un'ora di assoluto silenzio.
Mi ero alzata dal pavimento e me ne stavo a camminare avanti e indietro mentre lui se ne stava seduto ad osservarmi.
Mi fermai dinanzi a lui e puntai i miei occhi nei suoi cercando di scacciare le lacrime che insistevano ad uscire. « Se dovesse farcela non sarà come prima... avrà subito gravi danni dato che l'emorragia ha colpito la parte sinistra del cervello. »
« Ti ho chiesto che ne pensi non cosa potrebbe succedere. » mormorò freddo come sempre guardandomi attentamente.
Sentivo un grosso macigno sul petto. « Io penso che un'emorragia cerebrale così avanzata non porta nulla di buono e credo che - » mi bloccai sentendo il fiato mancare realizzando ciò che stavo per dire « credo che non riavrò più mio zio indietro. »
Spostai il mio sguardo su di lui e lo guardai attentamente facendogli capire tramite il mio sguardo distrutto che ero serissima e che ormai non ci fosse più nulla da fare.
Nei suoi occhi notai lo stesso dolore silente, lo stesso terrore di non poter rivedere mio zio come prima o di non poterlo rivedere proprio.
« Allison! » la voce familiare della donna che si era impadronita di metà cuore di zio Noah arrivò dritta alle mie orecchie facendomi raddrizzare la schiena.
La guardai osservando i capelli biondi scombinati. « Che è successo? Come sta? » si rivolse a suo figlio e lo guardò con le lacrime agli occhi.
Appena Mason iniziò a raccontare a sua madre l'accaduto decisi di concentrare la mia mente su altro non volendo assolutamente pensare a come fosse successa la disgrazia della mia vita.
« Allison. » Rose cercò di avvicinarsi a me ma io la scansai non volendo il sostegno di nessuno in quel momento.
Volevo stare da sola per poter metabolizzare ciò che stava succedendo, dovevo comprendere.
La vita mi stava facendo nuovamente lo stesso scherzo, si burlò della sottoscritta per la seconda volta ma con la consapevolezza che questa volta avrebbe fatto più male, molto più male. Vi era una parte della mia mentre intenta a rinnegare tutto ciò che stesse succedendo mentre l'altra parte cercò di preparami a ciò che sarebbe successo, perché io lo sapevo come sarebbe andata a finire.
C'ero anche io su quel lettino chirurgico, il corpo che Alan Johnson stava operando non era solo quello di Noah Anderson ma anche quello di Allison Anderson, e mi chiesi come ci si sentisse ad avere tra le mani la vita di due persone... ne era consapevole? Il mio collega era consapevole di avere la responsabilità di due vite tra le mani?
« Dottoressa Anderson. » l'attesa finì.
Alan Johnson uscì dalla sala operatoria facendomi alzare dal pavimento grigio sul quale mi ero.
Corsi difronte a lui sentendo Rose e Mason seguirmi in religioso silenzio. « Dottor Johnson. » Aveva ancora la mascherina chirurgica sul volto non permettendomi di visionare la sua espressione ma quando se la tolse avrei voluto tanto che non l'avesse mai fatto, ma sarebbe servito a qualcosa?
Sentì le mie labbra schiudersi senza emettere alcun suono, portai una mano al petto sentendo una profonda fitta espandersi al suo interno ed osservai immobile gli occhi del medico difronte a me, mi chiesi se lo avvertisse, mi chiesi se stesse avvertendo il mio cuore pulsante tra le sue mani... lo stava dilaniando, lacerando eppure aveva la fermezza di mantenere il suo sguardo nei miei occhi.
Rose urlò, pianse, si disperò, cadde a terra e si rialzò grazie a suo figlio mentre io continuai a fissare quelle due iridi verdi, mi dispiacque il pensiero che ormai le avrei associate sempre e solo alla fine della mia vita. Come avrei potuto sopportare un dolore simile? Il dolore si stava già espandendo nel mio petto come un serpente velenoso nel bel mezzo di un prato verde, era lì, si poteva toccare e percepire ed io ero sicura che Alan Johnson lo stesse percependo.
Spostai lentamente lo sguardo su Rose che veniva aiutata da suo figlio per rialzarsi da terra e fu spontaneo chiedermi chi invece avrebbe aiutato me a rialzarmi.
Non ci sarebbero state più le sue braccia a rincuorarmi dopo un brutto sogno, non ci sarebbe stato più, lui.
Ero sola.
Per la seconda volta.
Da sola.

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