chapter 8• il muffin

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Elisabeth

"Ti ho portato una cosa"
Jack, impegnato a osservare il vuoto riflesso di uno specchio d'acqua del central Park, voltò appena la testa.
Se la mia presenza improvvisa lo aveva sorpreso, non lo diede a vedere.
Si limitò a dire soltanto: "È il tuo compleanno, non il mio".
28 ottobre
Molly avrà sparso la voce.
Quindi si girò di nuovo, perso nelle immagini che soltanto lui era in grado di vedere.
Doveva aver avuto un brusco risveglio, o qualcuno doveva avergli dato fastidio all'ora di pranzo.

Avanzai piano, timorosa di spaventarlo e indurlo a chiudersi ancora di più a riccio. "Vero, ma ti sei rifiutato di dirmi quando è il tuo, perciò ho pensato di festeggiare il mio insieme".
Jack tacque, incurante dell'artiglio che mi graffiò il petto, e continuai ad avvicinarmi a lui passo dopo passo.

Devi soltanto aspettarlo, Elisabeth.Lui torna sempre, lo sai. Dagli tempo.

Per jack questo e altro. Per lui fino alla fine del mondo. E ancora oltre.

Brutti incubi? Parlamene. Sono qui.

" Jack!", soffiai, avvolgendo le braccia attorno alla sua vita. "Dove sei finito?"
Lo sentii irrigidirsi tra le mie braccia, quasi il mio abbraccio lo stesse soffocando, ma non mollai la presa. Lo avrei strappato via dai suoi tormenti con la forza, se necessario avrei usato i denti.

Tuttavia, nel momento in cui lo avvertii tremare, fui costretta a lasciarlo per aggirarlo e piazzarmi di fronte a lui.
Jack mi tremava sotto le ciglia, con gli occhi dispersi in un vuoto abissale, le labbra che si chiudevano e aprivano alla ricerca di aria.
Qualcosa dentro di me si incrinò, gli argini si ruppero e misi da parte qualunque precauzione o timore mi fossi auto imposta.
"Jack!" lo richiamai, afferrandolo
dalle guance per guardarlo in faccia
"Jack, sono qui, sono io, il tuo fiorellino. Guardami, jack, torna a casa, per favore. Torna da me" mormorai, imprimendo le dita nella sua carne di porcellana.

C'erano lacrime spezzate in quegli occhi rotti, un dolore tale da sconvolgermi dentro da cima a fondo. Quando jackfissò le pupille nelle mie, per la prima volta ebbi paura del buio che ne intravidi all'interno.
Una lacerazione che non avrei mai augurato a nessuno.
Allora gli feci una carezza, qualcosa che lui sapeva fosse solo mio. Tracciai strisce delicate, partendo dagli zigomi fino al collo.
"Va tutto bene, Chiamami jack, non c'è nessuno qui che possa farti del male", continuai a dirgli, mentre lui piano piano smetteva di tremare. "Siamo solo io e te, ricordi? Soltanto io e te. Io e te, jack in un parco che abbiamo reso casa. Mi hai capito?".
Non ricordo di preciso per quanto tempo rimasi lì a lottare per lui, a convincerlo a tornare da me, pronta a scacciare i suoi incubi.

So solo che ne dovette scorrere di acqua sotto ai ponti prima che la lucidità di jack tornasse a riva, restituendomelo del tutto. Almeno per il momento.
Perché sarebbe successe di nuovo, era di già capitato varie volte, e io pregavo solo di poter essere al suo fianco qualora fosse di nuovo precipitato per porgergli la mano e tirarlo fuori.

Proprio come lui faceva con me.
Restai lì a osservarlo sbattere le ciglia, frastornato dalla realtà, eppure in quel mare di confusione riuscii a intravedere il barlume di sollievo che gli invase lo sguardo, che lo indusse a deglutire e ingoiare un groppo amaro.
Avevo ancora i palmi a scaldargli il viso, un'ancora affinché rimanesse con me, e non fece alcun cenno per farmi capire se gli desse fastidio.

Al contrario, arricciò la bocca e sollevò un palmo per poggiarlo sul dorso della mia mano destra. Se la schiacciò sulla guancia, abbandonandosi al mio tocco, e socchiuse le palpebre.
Fu il suo modo di ringraziarmi, lo capii senza che dicesse niente. Non ce n'era bisogno.
"Cosa mi hai portato?", parlò alla fine, la voce più roca del solito.
Nonostante avesse gli occhi chiusi, gli concessi un dolce sorriso a labbra serrate. "Un desiderio".

Call Me JackDove le storie prendono vita. Scoprilo ora