XXVII • USQUE AD FINEM

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«Non ho intenzione di aiutarti» annuncia Marcus, mentre passo avanti e indietro sulla fiamma la lama del coltello per sterilizzarla al massimo delle mie possibilità attuali. «Non siamo preparati per fare una cosa del genere».

«No, non lo siamo» devo ammettere. «Ma siamo comunque la migliore possibilità che ha».

«Perché lo stai facendo?» mi chiede. «Settimo ha ucciso Nerva».

«Settimo, non Derclide, infatti».

«Lo sai che è suo figlio» sussurra.

«Non mi interessa, Marcus» concludo, sopra le urla. «È mio dovere fare il possibile».

«Ma non mio. Io non sono più un Pensatore. Io non sono mai stato un Pensatore, probabilmente. Perché dovrei fare una cosa tanto orrenda e pericolosa?»

«Per aiutare me» dico. «Perché, da sola, non ci riuscirò mai».

«E privarmi della possibilità di vederti finalmente fallire? Perché mai dovrei farlo?»

«Perché tu non sei così» rispondo, a voce bassa, in modo che né Settimo né Fumilla possano sentirmi sopra i latrati atroci di Derclide. «Sei stato un pessimo Pensatore, ma sei una brava persona».

«Mi dispiace per Nerva» ammette, infatti. «Ma questo non ha niente a che vedere con quello che succede tra me e te».

«Possiamo parlarne in un altro momento?»

Perché questo, davvero, mi sembra il meno opportuno che potesse scegliere. E non solo per ciò che sta succedendo in questa stanza. Ma anche per qualcosa che sta succedendo fuori.

«Ma cosa sono tutte queste urla?» mi domanda lui, in risposta.

«O c'è un'altra donna che sta partorendo, oppure stanno torturando qualcuno» rispondo, ma non posso deconcentrarmi da quello che sto facendo e, soprattutto, da quello che sto per fare.

Settimo, invece, sta fremendo. Vorrebbe andare a vedere cosa sta succedendo. Forse vorrebbe addirittura interromperlo. Ma non se la sente di lasciare la sua postazione al capezzale di Derclide e, temo, neanche quella di comando al fianco di Flaviana, mettendosi contro di lei. Così resta lì, immobile, con le sopracciglia aggrottate e lo sguardo fiammeggiante.

«È proprio necessario praticare questa barbarie?» mi supplica Fumilla, a pratica di sterilizzazione ultimata.

Mi torna in mente la vacca della bioarca che io e Segesto abbiamo fatto partorire quella volta in cui il veterinario era rimasto bloccato nell'elettronavetta. Forse perché Derclide, carponi sul letto, sta emettendo dei versi del tutto simili. Si volta a guardare il coltello attraverso un groviglio di capelli rossi ed emette un altro straziante muggito. 

«Finirà presto» dico, mentre Fumilla e Settimo la aiutano a sdraiarsi supina.

Negli istanti che impiega per sistemarsi, vuoto la bottiglia della grappa.

«Passami il coltello» dico a mio fratello e lui, per fortuna, ubbidisce.

Poi taglio.

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SATURNALIAWhere stories live. Discover now