20. E.H.

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Ryker

"L'amore è il più antico
degli assassini."
Stephen King

Chiodo di pelle stretto attorno a me e sguardo schivo per non incrociare quello di nessun altro, in questo modo mi stavo dirigendo al Vronx.

Il parcheggio era vuoto, se non per qualche pick-up parcheggiato e delle bariste in pausa davanti alla porta di servizio che dava sul retro del locale.

Nonostante anche quel luogo fosse toccato dalla luce del Sole, rimaneva un posto corrotto e pericoloso, dunque era meglio se mi affrettavo ad andare dentro.

Il trillo della campanella segnò la mia entrata e il mixologo di turno al bancone mi lanciò un'occhiata per controllare, frattanto lucidava un bicchiere.

Non ci feci molto caso e passai a cercare il motivo per cui ero venuto lì.

Analizzai la fila di tavoli e divani accanto alla vetrina e, su uno di essi, riconobbi i capelli lucenti e ribelli di Alexander.

Sapevo che non fosse solo, infatti, l'appurai quando mi avvicinai e notai un altro ragazzo.

O, meglio, il suo capo bruno e rasato.

«Ryker» esclamò il mio migliore amico quando mi vide, spostando il gomito che stava posato sullo schienale del divanetto rosso borgogna. «È il ragazzo di cui ti parlavo. È il fratello di Adam» riferì a colui che stava di fronte a lui.

Lo potei esaminare meglio negli istanti successivi, non appena mi avvicinai e sondai con gli occhi il suo aspetto.

Dovevo ammettere che non c'era nulla che non andava; viso pulito, poca peluria sul mento e nessuna presenza di alcuna cicatrice. Ciò significava che non aveva mai affrontato lotte o, quanto meno, non violente.

«Ryk, lui è Eric Hill. In realtà, è stato lui a trovare me» sentenziò Alex con cipiglio.

Che intendeva?

Non lasciai spazio a ulteriori interventi o domande fuorvianti.

Andai dritto al punto, alla ragione per cui ero corso lì.

«Cosa sai di mio fratello?» Domandai, con sopracciglia tese e sguardo da duro.

Sin da quando avevo ricevuto la telefonata, sapevo in cuor mio che tutta quella faccenda fosse una grande presa per i coglioni, e stavo sprecando del mio tempo inutilmente.

Avrei preso volentieri a pugni quell'idiota e osservato il sangue di un bugiardo colare dalle mie mani felicemente.

«Lo conoscevo. Siediti.» M'ordinò, facendomi spazio per mettermi accanto a lui.

Ed era proprio quello che non avrei fatto, poiché non avevo idea di chi fosse e se fosse armato. Pertanto, mi sedetti accanto ad Alexander, davanti a lui.

«Amico, non abbiamo tutto il tempo.» Gli rammentò il ricciolino, accendendosi una sigaretta.

Fui d'accordo con lui.

«Tutto quello che dovete sapere è in questa lettera.» Sancì, e portò fuori il lembo della sua giacca un foglio piegato e ingiallito per la polvere.

Lo pose sul tavolo, allo scoperto e alla vista di tutti e tre.

Non mi fidavo, ma, se volevo capire qualcosa, dovevo prenderlo e leggere il contenuto.

«Non occorre che vi spieghi nulla, sono solo un messaggero.» Disse.

Messaggero? Aveva portato solo più confusione nella mia mente.

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