14. Masked7

340 10 13
                                    

Ryker

“Com’è difficile, 
quando si deve tenere

 tutto dentro di sé.
 Non un giorno,
 non due, ma anni,
 interi anni.” 
Viktor Nekrasov


Il lounge bar era un rifugio avvolto da una luce soffusa e calda, quasi dorata. Il legno scuro dei mobili si amalgamava perfettamente con le tende pesanti color porpora che ondeggiavano leggermente, mosse dall’aria condizionata. Il tintinnio dei bicchieri e le voci sommesse formavano un sottofondo che accompagnava la musica jazz suonata dal vivo, il pianoforte in un angolo quasi nascosto dalla penombra, ma presente, costante.

Lei era seduta di fronte a me.

I suoi capelli biondi, un biondo freddo che rifletteva le luci soffuse come un alone dorato, le incorniciavano il viso con una morbidezza che sembrava contraddire la sicurezza che emanava da ogni suo gesto. 

Gli occhi azzurri, freddi e penetranti, mi scrutavano con calma, come se mi stessero leggendo, come se fossero già passati attraverso tutte le maschere che indossavo. Non mi sentivo a mio agio, non completamente, ma forse era proprio quella sensazione di vulnerabilità che mi attirava verso di lei.

«Quindi, Ryker, dimmi» disse Samantha, sorseggiando con eleganza il suo cocktail. 

Aveva una voce femminile, sensuale, leggermente acuta. «Cosa ti porta in un posto come questo? Non sembri il tipo da lounge bar raffinato.»

Non l’avevo invitata, né l’aveva fatto lei, ovviamente.

Ci eravamo ritrovati nello stesso posto e alla stessa ora per puro caso, come se qualcuno mi avesse mandato una compagnia per non rimanere solo.

«Potrei dire lo stesso di te.» risposi, giocando con il bicchiere davanti a me, un whisky che non avevo ancora toccato. «Non sei neanche tu il tipo da lounge bar, vero?» domandai, infine.

Lei rise, una risata breve, sottile. 

Incrociò le gambe sotto il tavolo, il suono delle sue scarpe di pelle lucida contro il pavimento risuonò appena. La gonna stretta, elegante e perfettamente tagliata, si tese leggermente contro le sue cosce, sulle quali il mio sguardo languido si posò per qualche minuto. 

«Cos’è? Una psichiatra non può frequentare questo genere di posti? Io sono esattamente il tipo che lo fa.» disse, prendendosi un momento per osservare l'ambiente con uno sguardo quasi critico. 

«Mi piace l'atmosfera, mi piace osservare la gente che cerca di capire cosa vuole dalla vita. Qui ognuno è assorto dai suoi problemi in solitudine» spiegò, muovendo il mento verso un uomo sulla trentina, seduto al bancone come noi, che osservava con sguardo perso nel vuoto lo scaffale di alcolici di fronte.

«Oppure c’è chi si diverte anziché dare conto ai propri pensieri», questa volta indicò un gruppetto di persone nell’area giochi e slot machine, qualcuno aveva un sigaro in mano, altri un bicchiere o una bottiglia di qualche alcolico.

«E tu? Perché sei qui?» La sua curiosità la portò a chiedere, mentre giocava con la cannuccia del suo cocktail.

Samantha aveva delle dita lunghe, sottili, con unghie curate alla perfezione, smaltate di un rosso scuro. Le sue labbra si incurvarono in un sorriso che non arrivò mai ai suoi occhi. 

«Vengo spesso in posti del genere, mi rilassano. Posso bere, pensare e fumare senza che nessuno rompa il cazzo, senza che nessuno giudichi o voglia sapere chi sono. Sono solo, e qui me ne rendo conto. Mi piace la sensazione.»

The Love In Your EyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora