5. Tic-Tac... Tic-Tac...

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"L'amore è il più antico
degli assassini."
Stephen King

Il vento strideva tra gli spazzi stretti dei grattacieli, sbatteva contro i vetri degli edifici e travolgeva qualsiasi ostacolo che incontrava.

Mi stringevo nella giacchetta che indossavo, sebbene le folate non fossero gelide, ma, al contrario, mi riscaldavano le guance.

I capelli sciolti mi davano un po' fastidio, tuttavia, avrei sopportato finché non mi sarei rifugiata in qualche caffetteria accogliente.

Era pomeriggio e non avevo lasciato l'appartamento di Ryker neanche venti minuti fa. Avevo sentito che fosse la scelta giusta, non tanto perché me l'aveva urlato in faccia, ma poiché, alle volte, dovevamo affrontare da soli i nostri mostri.

Si era chiuso a chiave in bagno, non avrei potuto fare altrimenti.

Accelerai il passo, convinta che da lì a poco si sarebbe messo a piovere, e attraversai un marciapiede quando adocchiai una tavola calda dall'altra parte della strada.

Ebbi l'acquolina in bocca immaginando già una tazza di cioccolata calda sotto i miei occhi, tutta per me.

Eppure, ancor prima di superare l'angolo, percepii una stretta sulla mia spalla e qualcosa tirarmi per la giacca.

Ebbi l'istinto di gridare, ma fu tutto confusionario e improvviso, una mano oppresse le mie labbra e il mio fiato, tutto il mio corpo s'annichilì.

Avvertii qualcuno dietro di me tenermi ben ferma, anche se non provai nemmeno a dare qualche calcio.

Venni trasportata all'interno di un'auto, della quale non fui in grado di distinguerne nemmeno il colore per il terrore. E la speranza che qualcuno potesse salvarmi cessò nel momento in cui mi resi conto che da quel piccolo vicolo, in cui ero adesso, non passava nessuno.

Scivolai sgraziatamente sul sedile anteriore, con ciocche di capelli sul viso e il respiro affannato.
Un'altra persona, al mio posto, avrebbe fatto di tutto per scappare, invece io rimasi immobile pure quando lo sconosciuto chiuse lo sportello e aprì quello davanti, per salire a bordo, nel lato del conducente.

Mi tremavano i muscoli delle gambe e me la sarei fatta addosso da lì a poco, non ero più capace di controllare neanche la mia vescica.

«Cosa vuoi da me?» Emisi un rantolo dopo aver posato gli occhi sullo specchietto centrale, e cominciai a tentare di scrutare qualche dettaglio del suo volto.

Il cielo si era fatto sempre più nuvoloso, impedendo ai raggi del Sole di illuminare tutto alla superficie, e non riuscii a riconoscere niente. Sembrava come se fosse stato tutto programmato anche per questo motivo.

«Da te? Nulla, piccolo fiore

Una voce ambigua, artificiale, mi fece venire i brividi. Aveva soffiato quelle parole con decisione e malizia, con un tono che non prometteva nulla di buono.

Tuttavia, o per volontà o perché aveva commesso un errore, girò il capo leggermente verso di me e mi osservò dallo specchietto retrovisore.

Grazie a un luccichio ebbi l'opportunità di discernere le fattezze del viso tra l'oscurità.

E non individuai né il calore roseo della pelle né quello più vivido delle guance.

Era tutto di un unico colore scialbo, senza nessuna imperfezione. Compresi che il suo volto fosse coperto da una maschera, rifinita in linee dorate che contornavano gli occhi, ma il loro colore non era capibile per il buio.

Maschera...

Non capii chi fosse, ma fui certa che fosse uno dei The Masked.

«Stammi a sentire... Tieni alla larga il tuo ragazzo da noi. Sta ficcanasando troppo ed è meglio che ognuno si stia al suo posto, non trovi?» Quel suono metallico mi raggiunse nuovamente, più forte di prima.

The Love In Your EyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora