Prologo

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Correvo, come accadeva ogni giorno, da quattro anni a questa parte.
Le gambe indolenzite, le guance arrossate, il fiato corto erano ormai tratti che mi contraddistinguevano da quando mi ero iscritta all'università. Chiunque avesse avuto il piacere di conoscermi in quegli anni, si era rassegnato all'idea che non avrebbe mai potuto vedermi di prima mattina con il capello in ordine, il respiro regolare e l'umore degno di un risveglio alla Cenerentola.
L'orologio segnava le otto e quaranta e mancavano solo venti minuti all'inizio della lezione di diritto penale. In quel breve frangente avrei dovuto percorrere un chilometro e mezzo a piedi, prendere un caffè per darmi una svegliata e fumarmi la rigorosa sigaretta mattutina, irrinunciabili rituali che segnavano l'inizio di ogni mia giornata.
Accelerai ancora di più il passo e stetti attenta a non uccidere chiunque incrociasse il mio cammino; ormai ero diventata una professionista nello slalom tra persone, poiché a quell'ora del mattino, il tratto che conduceva dalla stazione della metropolitana alla facoltà di giurisprudenza era paragonabile a un fiume in piena gremito di persone.
Il quartiere Montesanto era di quanto più caotico esistesse sulla faccia della Terra.
In un'unica strada vi erano: mercatini di vestiti, alimentari, pescivendoli, un ospedale e persino la facoltà di architettura. Come se non fosse bastato, via Pignasecca, nota per essere il mercato più antico di Napoli, rappresentava punto di approdo di numerosi collegamenti dei mezzi pubblici, generando, nonostante la sua strettezza, un flusso di persone capace di provocare persino la claustrofobia.
E la quantità di gente presente di prima mattina era direttamente proporzionale al grado di irritazione che raggiungevo.
Non sapevo dire se esistesse un nesso causale tra il livello di ritardo che raggiungevo ogni mattina e l'andatura flemmatica delle persone, ma una cosa era certa: più andavo di fretta e più la gente se la prendeva con comoda.
- Mi scusi!- dissi io, dopo aver urtato, neanche troppo delicatamente, una signora.
La vecchina si voltò a guardarmi in cagnesco e nonostante l'apparenza da nonna amorevole, non si precluse l'opportunità di mandarmi "gentilmente" a quel paese.
- Permesso!- sollecitai con tono impaziente due signori che si erano appena fermati a chiacchierare, bloccandomi il passaggio.

E porca miseria, un po' di collaborazione!

Riuscii finalmente a superarli, non senza aver ricevuto occhiate furenti e grugniti di fastidio come risposta.
Mi portai la mano destra sul seno sinistro (questa doveva essere, secondo le credenze popolari napoletane, la versione al femminile della cd. grattata) e dopo aver allontanato tutti i mali che mi erano stati finemente augurati, ripresi la mia corsa verso la facoltà.
Finalmente, dopo insulti ed imprecazioni varie, dopo aver rischiato di spezzarmi le caviglie a causa delle frequenti buche che caratterizzavano le strade del centro storico di Napoli e dopo aver rischiato di morire un paio di volte attraversando la strada, arrivai al bar adiacente all'università.
- 'Giorno Gaetano!- salutai il mio barista si fiducia che da quattro anni a questa parte mi serviva tutti i giorni - Un caffè velocissimo, sono in ritardo!- esclamai con un sorriso, mentre regolarizzavo il battito cardiaco.
- Subito, Ale!- rispose lui ridendo.
Gli lasciai volentieri anche la mancia, perché quell'uomo era la mia salvezza. Non solo faceva un caffé stratosferico, il migliore della zona avrei osato dire, ma era così gentile da venire incontro al mio ritardo, servendomi persino prima di altri.
Ormai avevamo instaurato un rapporto confidenziale, arrivando persino a rivelarci qualche dettaglio delle nostre sfere personali.
Gaetano aveva quasi quarant'anni e gestiva un piccolo bar in corso Umberto insieme al fratello. Si era sposato solo l'anno prima e per merito della sua dedizione e senz'altro del caffè fenomenale, gli affari andavano a gonfie vele.
Per ingannare l'attesa che mi venisse servita la mia tazzina, afferrai il cellulare e diedi un'occhiata all'orario. Mancavano solo cinque minuti all'inizio della lezione, quando una voce attirò la mia attenzione.
- Un caffè, per favore!-
Mi voltai d'istinto, quasi sovrappensiero, ma quando scorsi un uomo sulla trentina, in giacca e cravatta, rimasi di sasso.
Aveva l'aria un po' burbera e fissava il suo telefono con il fare nervoso di chi non sapesse come comportarsi. I suoi capelli castani erano leggermente lunghi sui lati e quella leggera barba sul mento gli dava un'aria più sbarazzina, quasi volesse invitarti a dargli un morso per assaggiarlo.
Ma quando scorsi i suoi occhi azzurri, che più azzurri di quelli non avevo mai visto, mi venne da sospirare.
Era l'uomo dei miei sogni.
Nei suoi movimenti risiedeva un'eleganza, che accompagnandosi all'espressione arcigna, lo connotavano di un fascino che non avrebbe potuto lasciare indenne alcuna donna.
Chissà perché immaginai che fosse avvocato, forse perché io avevo un debole per gli avvocati.
Rimas a fissarlo per svariati minuti con aria stralunato (o da depravata, in fondo era una questione di prospettive).
Fu il richiamo di Gaetano a riportarmi sulla terra.
- Alessandra, il caffè si fa freddo!- disse lui, con un sorrisetto malizioso.

Deontologicamente scorretto [#Wattys 2017]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora