Capitolo 11

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Mi massaggio le tempie, cercando di tenere la rabbia e la frustrazione sotto controllo. Non sono in me stessa da quando quella maledetta puttana mi ha detto che ha Jacob.

E se stesse mentendo?

No. No, gli altri lo provano. Ma perchè proprio a me? Perchè? Quest'anno è successo di tutto. Mio fratello è scomparso. Mio padre e mia madre hanno divorziato. E poi io ho scoperto di avere dei poteri, ho scoperto questo mondo parallelo in cui i personaggi dei fumetti della DC Comics sono reali. E ora sono qui, la nuova me che minaccia di esplodere travolgendomi: Harley Quinn.

"Sei una con le palle. Lasciatelo dire, zuccherino."

Volgo lo sguardo verso il bel clown nella cella di fronte. "Non ho le palle..." Sospiro, giocherellando con un codino. "...è che in realtà ho una paura tremenda. Ma lei la pagherà." Lui mi guarda, alzando un angolo della bocca, lacerata dalle profonde cicatrici. Per un attimo rimango a fissarle, provando a pensare a come se le sia procurate. Anche lui ha subito la stessa trasformazione? "Oh, non guardarmi così..." Borbotta con voce roca. "Non ho bisogno di quello sguardo di pietà. Non ho bisogno di nessuna pietà, da nessuno." Sibila poi.

"Scusa. Mi chiedevo solo..."

"Come mi sono fatto queste?" Sbatte la bocca e si indica le cicatrici. Poi scuote il capo. "Storia troppo lunga... piuttosto, tu chi sei?" Aggrotto le sopracciglia. "In che senso?" Lui inclina il capo. "Chi sei veramente, voglio dire." 

Sorrido, storcendo le labbra. "Ah....quindi tu puoi farmi delle domande ma non rispondi a nessuna delle mie?"

Lui si lecca le cicatrici, evidenziate di rosso dal trucco. "Hai ragione, zuccherino. Non è leale." Dice, poi si volta.

"E quindi?"

"E quindi cosa?" Torna a guardarmi, l'espressione interrogativa. Allargo le braccia, mostrando i palmi delle mani. "Non rispondi alla mia domanda, così che io poi risponda alla tua?" Lui ride, ed è il suono più roco e sexy e maschile che io abbia mai udito. "La mia storia è una di quelle che è meglio non ascoltare, zuccherino." Sibila, poi si gira.

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Credo che siano passati tre, o forse quattro giorni. Non ci sono orologi, qui, nè finestre esterne a cui affacciarsi per vedere la luce o il buio.

Mi alzo dalla branda, notando che sul tavolino c'è la "colazione". Faccio una smorfia di disgusto, storcendo il naso. Non so se sia cibo quella poltiglia cremosa, quindi, nel dubbio, la lascio lì e mi dirigo verso la doccia. Apro la tenda e la richiudo bene dietro di me, assicurandomi di essere ben coperta. Poi mi spoglio e mi infilo sotto il getto freddo e pesante dell'acqua.

Mentre mi insapono con il pezzo di saponetta giallastro che trovo sulla mensola lì vicino, non riesco a non pensare a come andrà a finire tutta questa storia. So che è una cosa alquanto strana, ma in questi giorni qui dentro non faccio altro che pensare a dove sarò e come sarò fra qualche anno. Tutto questo sarà finito e sarò a casa, con Jacob, mamma e papà? Oppure non sarò riuscita ad uscirne e mi sarò abituata ad essere ciò che in teoria sono destinata a diventare?

Non ne ho idea, e decido di mettere da parte questi pensieri che non portano altro che panico e ansia. In questo momento proprio non mi ci vogliono.

Mi avvolgo per bene nello straccio che trovo appeso lì accanto, poi esco dalla doccia, guardandomi allo specchio. Sospiro. No, per me proprio non c'è speranza.

Dopo tutti questi giorni il trucco non è sparito, anzi, si è solo intensificato di più.

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Harley Quinn #Wattys2016Where stories live. Discover now