Capitolo II - Parte I

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Capitolo II

«Tu devi venire, questa sera» esclamò Jason.
Nico lo guardò storto: cosa non capiva delle parole "Non ho voglia di andare a una stupida festa"? Eppure gli sembrava una frase tanto semplice...
«Ci sarà tutta la scuola» disse Jason, per poi aggiungere con aria maliziosa: «Proprio tutta la scuola, intendo dire».
Il riferimento a Percy Jackson non era ignorabile. Nico trattenne un attimo il respiro, cercando un motivo preciso per cui non sarebbe dovuto andare, ma, proprio quando ne stava per afferrare uno, il suo telefono tremò: era Will.
«Devi venire alla festa di 'sta sera: Annabeth sta male, e io ho intenzione di presentarti a Percy! ;)»
Nico sentì una stretta al cuore e l'ansia salire.
Nico, è la tua occasione: coglila o te ne pentirai.
«Ok, verrò. Ma, Jason... prometti che non mi molli in mezzo a un gruppetto di ragazzine urlanti in vestiti strettissimi?»
Jason rise, quindi disse: «Certo che sì! Starò attaccato a te tutta la sera».

Will era più che agitato: sarebbe andato a prendere Nico alle nove e mezza a casa sua, quindi sarebbero andati insieme alla festa ecasualmente Nico avrebbe incontrato Jason e, finalmente, lui avrebbe potuto parlarci. Avrebbe capito che genere di persona fosse, se il suo visino quasi perfetto fosse davvero lo specchio di ciò che dicevano in giro: un ragazzo d'oro, sempre a preoccuparsi per gli altri prima che per se stesso, sempre gentile, sempre calmo e divertente, un leader nato che però non s'imponeva mai veramente sugli altri ma che, al contrario, sapeva tirare fuori il meglio da ognuno. Era davvero così, Jason Grace, o era una leggenda metropolitana? Non lo sapeva, ma aveva tutte le intenzioni di scoprirlo.
S'infilò la sua camicia azzurro chiaro, poi cercò di ravviarsi i capelli e di mostrare il suo sorriso più smagliante per nascondere la preoccupazione.
«Will Solace, stai bene e andrà tutto bene. Andrà come deve andare» disse. Le sue parole rimbombarono nella casa vuota, sottraendolo per qualche secondo alla sensazione di solitudine che lo stava sempre più attanagliando. Tutta la sua famiglia era andata a fare un viaggio, lasciandolo a casa a causa dell'ultimo voto che aveva preso in matematica, e non era abituato a girare nell'appartamento da solo. Come faceva Nico a sopportare tutto quel silenzio, per di più in una casa così grande? Se fosse stato in lui, probabilmente si sarebbe rifugiato a casa di un amico finché la madre non sarebbe tornata... ma lui non aveva nessuno da cui rifugiarsi, o meglio, non aveva nessuno che gli avrebbe offerto asilo per qualche settimana.
«Andrà tutto bene, Solace. Tutto dannatamente bene» disse ancora una volta ad alta voce, quindi prese le chiavi di casa e uscì.
La sua macchina era fresca, ma non accese ugualmente il condizionatore e andò dritto verso la casa di Nico. Era stata una sorpresa scoprirsi quasi vicini, ma in quel momento ne era più che felice, e non solo perché Nico era un ragazzo simpatico, ma perché era...qualcuno. Avrebbe dato qualsiasi cosa per annullare la distanza che lo separava dall'enorme villa dell'altro o solo per poter sentir risuonare la sua voce nell'auto, così da non provare più quella terribile sensazione d'abbandono che in quei giorni lo coglieva fin troppo spesso.
«Ehi Nico, sei pronto?» urlò attraverso il citofono.
«Sì, scendo subito!» rispose l'altro. E scese proprio in fretta, per fortuna, talmente tanto che lo vide quasi inciamparsi negli ultimi gradini di casa.
Will non poté fare a meno di osservarlo di sfuggita: i capelli erano ancora un po' umidi – doveva essere appena uscito dalla doccia –, la maglia, ovviamente nera, era più aderente del normale e faceva intravedere un fisico sì magro, ma con un segno di muscoli appena evidenti, come se avesse iniziato da poco ad andare in palestra. I jeans invece erano larghi e strappati, e anche tanto, quindi si vedevano le sue ginocchia appuntite attraverso le aperture. Sì, Will doveva ammettere che stava piuttosto bene quella sera, e non perse l'occasione di farglielo sapere: «Se quel dannato Jackson non ti guarda di sfuggita nemmeno 'sta sera, abbiamo la conferma di una cosa» esordì.
«Del fatto che è più etero di Rocco Siffredi?» rispose acidamente Nico.
«No, del fatto che quei suoi begli occhioni non gli servono a niente».
Nico fece un sorriso tirato, quindi iniziò a torturarsi le mani: «Dici che andrà tutto bene?»
«Certo, Nico. Andrà tutto bene» lo tranquillizzò l'altro, aprendo le sue labbra in un enorme sorriso. Poi, accese la radio e sparò a manetta il suo CD preferito del momento, V dei Maroon 5, e iniziò a cantarlo a squarciagola.
Nico rimase molto sorpreso: «Ehi, hai una bella voce Will!»
«Beh, studio musica da anni. Soprattutto canto e chitarra».
Incuriosito, Nico gli chiese: «Mi farai sentire, un giorno, come suoni?»
«Ti dirò di più: quando sarà il momento giusto, ti farò sentire una canzone mia» rispose lui, sorridendo.
Nico sorrise, ma poi, all'ennesima canzone, esclamò: «Non prenderla male, Will, ma per quanto ami Adam Levine non riuscirei a sentire un'altra sua canzone. Posso mettere qualcosa di mio?» implorò, guardandolo con quei suoi occhioni neri come la notte. E doveva essere parecchio disperato, perché Nico non implorava mai.
«Solitamente direi "auto mia, regole mie", ma in questo caso farò un'eccezione... e solo perché mi guardi così» rispose Will, estraendo il disco, con un sospiro.
Nico sorrise, quasi si sentisse sollevato dalla sua risposta, quindi gli porse il suo CD. Le note di "Airbag" si diffusero nell'aria.
«E questa che roba è?» chiese Will, leggendo il titolo della canzone.
«I Radiohead, con OK computer... non ti piace?» disse l'altro, con uno sguardo come se lo stesse pregando di dirgli che, sì, quello sarebbe diventato il suo gruppo preferito.
Ci credo che si sente incompreso, se ascolta questa roba...
«Non mi fanno impazzire» iniziò, ma poi vedendo la faccia triste di Nico aggiunse, anche se non ne capì il motivo: «Ma magari è solo perché è musica sperimentale. Insomma, riconosco che sono bravi, devo solo farmi l'orecchio».
E vedendo che Nico, accanto a lui, apriva le labbra in un sorriso a trentadue denti, capì di aver appena firmato la sua condanna. Ma stranamente non gliene importava: era stato un bel regalo quella piega dolce che aveva preso la bocca del suo quasi-vicino di casa.
Arrivarono a destinazione dopo poco meno di mezz'ora. Sulla soglia della porta li accolse un ragazzo dai capelli biondicci e chiarissimi, abbastanza da avere l'aspetto di un Will "annacquato", e non solo per i colori del suo incarnato e dei suoi occhi, ma anche per il sorriso vagamente antipatico che si aprì sul suo viso. Sembrava quasi che non fosse particolarmente felice di vederli, nonostante avesse invitato tutta la scuola, e questo diede parecchio fastidio a Will che entrò senza spendere troppo della sua allegria. Superata la soglia, iniziò a farsi strada fra la gente e, con l'irrazionale paura di perderselo per strada, afferrò una mano di Nico, cosa che l'altro probabilmente non gradì molto, ma in quel particolare momento non gliene importava: era convinto che lui avrebbe apprezzato più la sua mano che i corpi di qualcosa come cento studenti – tra l'altro sudaticci, visto che la festa era incominciata già da un'oretta buona – a spremerlo come un limone. Lo trascinò finché non si trovò di fronte al gruppetto degli amici di Percy Jackson – e si dava il caso che quello fosse anche il gruppetto dei suoi amici – quindi vi ci s'infilò e salutò tutti con un gran sorriso. Ognuno di loro rispose al saluto, quindi venne il turno di Percy che, per primo, notò Nico: «E questo qui chi è?» chiese, sorridendo.
«Lui è Nico Di Angelo» rispose Will, sempre sorridendo «è un mio amico, quindi trattatelo bene» aggiunse poi, spingendo l'altro avanti.
«Ciao Nico, io sono Percy, piacere!» esordì l'altro, porgendogli la mano.
Come se non sapesse chi sei, stupido di un ragazzo.
Will vide Nico stringere la mano che l'altro gli aveva allungato, e arrossire teneramente. Era davvero evidente come un'insegna a neon che quel ragazzo introverso avesse una cotta per Percy, ma fortunatamente l'altro era abbastanza imbranato per non accorgersene. E lo era anche per non accorgersi dell'espressione delusa che Nico mostrò quando Percy ricominciò a parlare tranquillamente con i suoi amici.
Will gli diede mentalmente dello stupido: Percy era decisamente un bravissimo ragazzo, ma se le cose non gli venivano sbattute in faccia, non riusciva a capire proprio cosa avrebbe dovuto fare. Quindi iniziò anche lui a parlare e fece i salti mortali per inserire anche Nico nella conversazione, e lo fece così bene che, alla fine, riuscì a far dire all'altro ben tre frasi di fila senza essere interrotto.
Ad un certo punto, però, un ragazzo arrivato da poco che Will non conosceva se non di vista, chiese a Nico: «Ehi, ma tu non sei il fratello più piccolo di Bianca Di Angelo?»
Will vide Nico sbiancare. Che gli prendeva tutto d'un colpo? Istintivamente gli mise con fare protettivo una mano sulla spalla, e non seppe mai che fu solo per quello che Nico, in quel momento, riuscì a non cadere. L'altro, intanto, vista l'espressione tetra che era comparso nel viso di Nico, esclamò: «Oh cielo, allora sei proprio tu. Non sai quanto mi dispiace per tua sorella!».
Will sentì Nico sotto le sue dita tremare forte, e rispondere con un fil di voce: «Già» e poi andarsene. Ci vollero alcuni secondi perché Will collegasse i pezzetti: "Di Angelo"... ecco perché la prima volta gli era sembrato un cognome già sentito. Era il fratello di Bianca, quella ragazza che aveva perso la vita in un terribile incidente stradale due anni prima. Si mise subito alla ricerca di Nico per scusarsi di tutti i commenti che aveva fatto sui quadri di sua sorella, di come si erano comportati Percy e i suoi amici, avrebbe voluto scusarsi di praticamente ogni cosa avesse detto o fatto di sbagliato, ma i suoi buoni propositi vennero interrotti bruscamente quando vide dove si era cacciato il ragazzo: era fra due braccia muscolose e chiare, che lo stringevano protettive e fraterne in un abbraccio che, lo poteva percepire fin da lì, era per non far vedere a tutto il resto delle persone che il fragile Nico era sull'orlo delle lacrime. Will si avvicinò a Jason e Nico, indeciso se iniziare a parlare o meno, un po' per paura di ferire ulteriormente Nico, un po' perché non sapeva cosa dire davanti agli occhi azzurri dell'altro. Per fortuna ci pensò Nico a sciogliersi dall'abbraccio proprio nel momento in cui stava arrivando e a dire: «Jason, girati. Questo è Will, un mio amico» per poi indicarlo al ragazzo più grande.
Nico... come fai a far finta di nulla con questa semplicità?
Jason l'osservò un poco, quindi disse: «Ciao Will...» per poi aggiungere: «Ci conosciamo già?»
Oh beh, dipende dai punti di vista. Se due persone si baciano, vuol dire che si conoscono?
«Credo che tu mi abbia solo visto a scuola... sai, faccio greco antico con Nico» rispose invece, tenendo per sé i suoi pensieri. Poi, rivolgendosi al ragazzo dai capelli neri, chiese: «Tutto ok, Nico?»
L'altro annuì piano, quindi si schiarì la voce e disse: «Scusami se non te ne ho parlato prima, ma non volevo scocciarti con cose tristi, quindi...-» s'interruppe, poi riprese a parlare, con le guance leggermente rosate: «E poi mi piaceva come guardavi i quadri di Bianca».
«Sono io che devo scusarmi... sappi che, qualunque cosa, ci sono» disse Will, non trovando parole migliori.
A rispondergli, però, non fu Nico ma Jason, che disse: «Will, puoi accompagnarlo a casa? Io purtroppo non posso farlo, sono venuto con Leo e...-»
Nico però lo interruppe, dicendo: «No, Jason. Non andrò a casa, non 'sta sera» e fece un sorriso tirato. Quindi prese – assurdo! – sia Will sia Jason per un braccio e li portò nel gruppetto di Percy dove fece, improvvisamente sicuro di sé, tutte le presentazioni. E Will non poté far a meno di notare quanto forte fosse quel ragazzetto piccolino e smilzo: sopportare la solitudine di una casa senza lamentarsi, la morte della sorella, i soprusi di Clarisse e l'essere innamorato di un ragazzo decisamente etero era al di sopra delle possibilità di Will, tanto che si sentì sciocco nelle sue paure infantili del buio e del restare solo per qualche giorno in casa sua.
Probabilmente i suoi occhi rivelarono una parte di questi sentimenti, e infatti da lì a poco sentì Jason dirgli sottovoce: «Sembra che qualsiasi cosa possa buttarlo giù, ma alla fine è più forte di me e te messi insieme, vero?»
Will non poté far a meno di annuire, un po' perché le parole si erano improvvisamente bloccate in fondo alla sua gola per i due occhi che, in attesa di una risposta, erano puntati verso di lui, un po' perché il rispetto per Nico stava crescendo talmente in fretta da impedirgli di commentare.

«Sentite, che ne dite di fare un gioco? Mi sto annoiando» urlò a un certo punto un ragazzo, lo stesso che qualche ora prima aveva collegato Nico a sua sorella. La maggior parte della gente se n'era ormai andata, restavano solamente loro e il proprietario della casa che, dal canto suo, si era afflosciato addormentato in un angolo del divano e quindi non li avrebbe disturbati.
Fu Cal – soprannome per Calypso, un nome che molti non sapevano apprezzare, ma che a Nico piaceva perché gli richiamava alla memoria il mito greco –, la ragazza di Leo, a proporre un gioco per una volta diverso dal solito "gioco della bottiglia" o "obbligo e verità": «Che ne dite se ognuno di noi racconta due storie su di sé, una vera e una falsa e poi gli altri dovranno decidere quale, secondo loro, è quella falsa? Se sbagliano, devono bere».
Tutti accettarono questo innovativo gioco con molto entusiasmo, tanto che la stessa Cal si stupì delle reazioni degli altri, ma non poté che sentirsi realizzata per aver riscosso un tale successo. Percy prese quindi una bottiglia di birra vuota e la mise in centro al cerchio che si stava andando a formare. Quindi, quando tutti si furono seduti, distribuì a ognuno una bottiglia ancora piena di birra e, una volta che pure il suo "regale sedere" – come continuava a chiamarlo Will da tutta la sera ormai – si fu posato a terra, fece girare la loro freccia improvvisata.
Nico cadde nel panico mentre quella ruotava: che storie avrebbe mai potuto raccontare? E, soprattutto, che storia vera avrebbe avuto il coraggio di condividere con gli altri? Era ancora troppo sobrio per mettersi a narrare di quella volta in cui, il primo giorno del secondo anno, era rimasto in mutande perché un passante dei suoi jeans aveva deciso di incastrarsi nella maniglia della porta, o di quel terribile momento in cui aveva perso l'ultimo pullman disponibile e, per la paura di arrivare in ritardo, l'aveva rincorso a piedi per quasi due chilometri sotto lo sguardo di tutto il vicinato.
Per fortuna venne però tolto dall'impiccio: la bottiglia puntò qualcun altro, e quel qualcuno era Jason. Il suo amico si guardò intorno, imbarazzato, piegando le labbra sottili in quella smorfia buffa che gli storceva tutta la cicatrice, a Nico ormai così familiare.
«Allora, direi che tocca a me aprire le danze» iniziò, fra le risatine generali. «La prima storia è molto breve: il motivo per cui ho questa cicatrice è che mi sono spillato – letteralmente – il labbro con una pinzatrice». Dovette interrompersi un attimo, mentre gli altri si consultavano sulla veridicità o meno della sua prima storia, quindi continuò: «La seconda invece è questa: da piccolo avevo un pesciolino rosso, di nome Tommy – non chiedetemi perché avesse quel nome, ma tant'è –, ma un giorno, mentre lui era nel lavandino del bagno in attesa che mia mamma gli cambiasse l'acqua, visto che ero ancora troppo basso per vedere cosa ci fosse dentro al lavandino, pensai bene di lavarmi le mani lì sopra, con tanto di sapone. Tommy morì avvelenato».
Nico rise piano: sapeva perfettamente che quella vera era la prima (e aveva la sensazione che fosse per non farlo bere troppo che Jason aveva raccontato proprio quella), ma la seconda era così divertente che pochi non l'avrebbero votata. E infatti, tutti tranne Nico e Leo decisero che quella vera fosse la seconda... e tutti tranne Nico e Leo bevvero un grande sorso di birra.
Will, stupito, sussurrò a Nico: «Allora è più stupido di quanto sembri!». Nico gli tirò un pugno su una spalla, ma sorrise piano sotto i baffi: sì, Jason era proprio più scemo di quanto apparisse!
Il secondo e il terzo turno furono piuttosto veloci, e in entrambi solamente Will e la povera Cal furono costretti a bere, mentre al quarto turno la bottiglia puntò esattamente una persona: Percy.
«Allora, la prima storia riguarda un poco la mia ragazza» incominciò, provocando commenti un po' spinti nella compagnia e un sorriso tirato sulle labbra di Nico: «La prima volta che ci siamo incontrati, io ero svenuto perché un imbecille mi aveva colpito per sbaglio la testa con una mazza da baseball, e quando mi sono svegliato mi sono ritrovato in infermeria con questa bellissima ragazza dai capelli biondi che cercava di fasciarsi da sola un dito insaccato. Io mi aspettavo il commento del secolo, e invece, appena ho aperto gli occhi, mi ha guardato come se fossi una creatura dell'orrore e ha detto: "Quando dormi sbavi"». Tutti si misero a ridere a crepapelle, immaginandosi la scena – sempre che fosse vera –, e nemmeno Nico non poté far a meno di sorridere di nuovo, questa volta sinceramente divertito.
Certo che Percy è davvero più alla mano di quanto potesse sembrare a prima vista...
«Ehi, ragazzi. Nessuno vuole sentire la mia seconda storia?» urlò poi, per sovrastare tutte le voci che si accalcavano le une sopra le altre. Quindi, dopo che la confusione si placò un po', riprese: «La seconda storia è invece tristemente divertente: un giorno sono andato con un mio amico dark – quindi vestito di nero dalla punta dei capelli fino alle scarpe – a New York. E voi sapete com'è New York: c'è gente ovunque, e una confusione da impazzirci. Comunque ad un certo punto dovevo chiamare questo mio amico, ma visto che chiamarlo a voce era troppo mainstream, ho pensato di tirargli una gomitata sul fianco, tanto – ho pensato – è proprio di fronte a me. Peccato che quello che si è poi girato per rispondermi, fosse un prete e non il mio amico».
Le risate furono generali, ovviamente, e per questo tutti erano convinti che la vera fosse proprio la seconda, e la delusione fu generale quando si scoprì che invece era proprio il contrario.
A Nico toccò il turno successivo, e alla fine si rassegnò a dover raccontare proprio dei pantaloni incastrati nella maniglia, mentre la seconda era talmente mal costruita che tutti, tranne Will, la ritennero falsa.
«Ehi, Will. Tocca a te ora!» esclamò a un certo punto Percy, con fare allegro; aveva bevuto abbastanza, e i suoi occhi erano già da qualche giro piuttosto luccicanti, ma non era nulla in confronto a Will che, invece, aveva dovuto compiere la penitenza quasi ogni turno e, come sospettava Nico, nemmeno troppo involontariamente.
«Allora, la mia prima storiellina è davvero divertente: una volta sono andato in discoteca e a un certo punto mi sono ritrovato una vecchietta tirata a lucido che si stava strusciando contro di me. Mi ha pure morsicato un orecchio, a un certo punto!» iniziò, fra le risate degli amici. Questa volta anche Nico si fece scappare una risata: forse era per l'immagine comica, forse era a causa dell'alcool che aveva in circolo o forse semplicemente perché Will stesso era scoppiato a ridere, contagiandolo, ma anche se le sue labbra si aprirono in un grande sorriso, questo si spense in fretta sentendo l'inizio della storia successiva: «Bene, un giorno invece ero sempre a una festa, ma questa volta non è stata una vecchietta ad avere cattive intenzioni, quanto un ragazzo! E il bello era che, fino a quel momento, tutti avevano supposto fosse banalmente eterosessuale, e invece mi è saltato addosso e...-».
Nico ebbe una velocità di reazione piuttosto alta contando che le bottiglie di birra vuote al suo fianco erano già due, o forse fu proprio per quello che mise in pratica il piano più efficace che, in quel momento, gli venne in mente per zittirlo: si spiaccicò una mano contro la bocca e, dando mostra delle sue – scarse – doti d'attore, simulò un attacco di vomito piuttosto rumoroso. Tutti si zittirono, quindi Nico ne approfittò per afferrare con l'altra mano il polso di Will e lo trascinò in bagno.
«Will, ti rendi conto di ciò che stavi per raccontare?» esordì, non appena varcarono la porta.
L'altro lo guardò con aria smarrita: «Ma tu non stavi male?»
«No, sei tu che sei un idiota, Will» sospirò Nico.
«E perché? Stavo solo raccontando la storia di me e Jason...»
«Appunto, Will, appunto» disse Nico, sempre più scoraggiato.
Ci vollero alcuni secondi perché anche Will si rendesse conto di ciò che era stato in procinto di fare. Poi probabilmente l'alcool agì di nuovo al posto suo, perché si lanciò fra le braccia di uno sconvolto Nico e iniziò a singhiozzare sulla sua spalla: «Oddio, Nico. È che vorrei tanto che lui sapesse che sono io quello che ha baciato quel giorno, vorrei che lo rifacesse di nuovo».
Nico sentì un'inspiegabile stretta al cuore, ma non ci fece caso e quindi rispose: «Va bene, Will. Glielo farai sapere di certo, ma non durante un gioco alcolico, ok?»
L'altro, asciugandosi le lacrime (e un po' di moccio) sulla sua maglietta, rispose: «Giusto, Nico. Hai ragione».
«Senti, ti prometto una cosa: entro la fine della serata o io o te gli racconteremo tutto, va bene?»
«Ti voglio tanto bene, Nico. Grazie» gli rispose l'altro.
Nico lo guardò sconsolato: si ripromise di non ridursi mai in uno stato simile a quello di Will, soprattutto se avrebbe potuto combinare uno dei suoi pasticci o se ci sarebbe stato il rischio di scoppiare a piangere come nulla.
Rientrarono nel salone, quindi tutti gli altri si interessarono della salute di Nico, che rispose con un sorriso debole, che si aprì di più quando notò che i più preoccupati erano Jason, Leo e... Percy. I suoi occhi incredibili lo osservavano con apprensione, come se davvero fosse importante per lui se l'altro stava male o meno, e addirittura una delle sue mani forti si allungò verso il suo ginocchio e gli diede una leggera pacca d'incoraggiamento. Il più piccolo non poté far a meno di arrossire un poco, ma poi si riprese in fretta e disse, tirando di nuovo fuori un coraggio che solo l'alcool gli poteva regalare: «Sentite, questo gioco mi inizia ad annoiare... e se facessimo qualcos'altro?»
Subito Jason lo appoggiò, e propose: «E se tornassimo a un normalissimo gioco della bottiglia? Non dobbiamo nemmeno sforzarci troppo...».
I ragazzi furono entusiasti dell'idea – e chissà perché –, ma lo stesso non si poté dire di Reyna, che fulminò con lo sguardo il suo ragazzo, e di Cal, ancora delusa perché anche la sua proposta era stata bollata come "noiosa". Alla fine però nessuna delle due fazioni riuscì ad avercela vinta perché, a causa della confusione, il proprietario della casa, che Nico aveva scoperto si chiamasse Octavian, si svegliò e, con l'aria di un bufalo imbestialito, cacciò tutti fuori senza voler sentire storie.
«Nico, dove sei?» sentì urlare a un certo punto. Era la voce di Jason, e ci volle poco tempo perché Nico lo rintracciasse e gli si avvicinasse: d'altronde era il più alto del gruppo e i suoi capelli biondi spiccavano fra gli altri. Quello teneva fra le braccia un Will che a mala pena si reggeva in piedi, e a dirla tutta nemmeno il suo migliore amico era proprio sicuro sulle sue gambe. Di Reyna non c'era traccia (forse si era allontanata con la sua amica Cal e con Leo), fatto sta che quei due non sarebbero andati molto lontano, lasciati così alla deriva. Quindi Nico corse loro incontro e chiese al più piccolo: «Dove hai lasciato la macchina?»
L'altro rise e disse: «Oh, non lo so... forse qui, forse là...»
Sopportare un ubriaco è più difficile di quanto pensassi.
«E tu,» chiese Nico, rivolgendosi questa volta al suo migliore amico «dove hai lasciato la macchina?»
L'altro gli rispose che si trovava nel parcheggio a qualche isolato da lì: non aveva trovato posto davanti all'abitazione di Octavian e quello era il più vicino. Nico quindi afferrò le spalle di entrambi, una per mano – quella sera le sue dita avevano stabilito il record di contatto umano volontario, ma Nico non riusciva comunque a reprimere la sensazione di disagio che ne derivava –, quindi disse: «Bene, ora io vado a recuperare la tua macchina, Jason, se mi dai le chiavi...» s'interruppe un attimo per afferrare il portachiavi a forma di palla da calcio che l'altro gli porgeva, quindi continuò: «Voi mi aspettate qui. E non muovetevi, chiaro? Altrimenti giuro che mi arrabbio» e lo disse con una voce talmente seria e minacciosa che entrambi non poterono far a meno d'impallidire e annuire velocemente.
Ora devo solo sperare che questi due non si mettano nei pasticci...


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