Capitolo IV - Parte II

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 Nico rimase qualcosa come dieci secondi in catalessi: la prima ipotesi che formulò fu che avesse le allucinazioni a causa del colpo al ginocchio che aveva preso scendendo le scale per aprire a Jason, la seconda che forse era stato Jason ad avere le allucinazioni, la terza che entrambi avessero le allucinazioni e che quindi non stavano nemmeno parlando realmente, la quarta che si trattava di un sogno... parecchio realistico. L'ultima gli pareva quella più plausibile – comunque più realistica dell'idea che entrambi fossero svegli e nel pieno delle proprie facoltà intellettive e che quindi tutto ciò stesse accadendo davvero –, quindi allungò la mano alla propria guancia e la pizzicò, forte.
«Ahi!» esclamò poi, non riuscendo a "svegliarsi".
Jason lo stava guardando come si guarda un malato di mente, ma la cosa che più lo preoccupava era più che altro il fatto stesso divedere ancora Jason davanti a sé.
Oh.
«Nico, lo so che ciò che ti ho detto è sconvolgente, ma mi piacerebbe rispondessi... sai com'è» disse a un certo punto Jason, vedendo che l'altro non mostrava ancora segni di ripresa dallo shock.
«Oh, sì, ecco...» iniziò a farneticare. Come si reagisce a una dichiarazione? Non ne aveva mai ricevute. E come si reagisce quando a dichiararsi è il tuo migliore amico da ben tre anni e mezzo? Nemmeno quello gli avevano mai insegnato: si trovava completamente impreparato. Che poi, era davvero una dichiarazione? Non ci stava capendo più nulla, e il suo cervello in blackout non lo aiutava affatto.
«Sì...?» lo invitò a continuare Jason.
«Tu lo sai vero che a me piace... mh, ecco, un altro».
Nico vide «Sì, Jackson. Ma non so se tu mi piaci davvero, cioè... è stato solo un momento, e io potrei sbagliarmi...»
«Ah, allora non era una dichiarazione! Mi stavo spaventando» rise forzatamente Nico, sperando di risparmiarsi l'imbarazzo così.
Ma purtroppo la vita non era mai stata semplice per lui, e anche questa volta si sforzò per diventare difficile; infatti Jason balbettò: «No, non è una dichiarazione, ma non... insomma, tu mi piaci e basta».
«Ah» fu l'unica cosa che riuscì a dire Nico, con lo sguardo che andava sempre più verso terra, cercando di nascondere il disagio. «Senti, ma non è che – faccio un esempio, eh! – sia stato solo colpa dell'alcool? O, che ne so, magari è stata una cosa del momento. A me capita di sognare di baciare ragazzi che poi, magari, nella vita reale non bacerei mai».
«Non lo so, Nico» disse Jason serio, e poi, come ricevendo allo stesso tempo un'illuminazione e una batosta in testa abbastanza forte da farlo gemere di dolore, aggiunse: «Però in questo momento vorrei baciarti».
Nico sobbalzò: perché la situazione stava prendendo quella piega? Aveva aperto la porta pensando di trovare la confortante compagnia di Will, ma al suo posto c'era Jason. Quindi aveva creduto che il destino volesse che gli facesse una di quelle ramanzine celestiali da annotare negli annuari del G.M.S., ma alla fine l'aveva quasi consolato. E ora Jason gli stava dicendo che voleva baciarlo?
«Ecco, Jason... a me sembrerebbe un po' strano se tu mi... cioè, se noi due...-» ma fu costretto a interrompersi in fretta, trovandosi le labbra di Jason incollate alle proprie.
Inizialmente non mosse un muscolo, colto completamente di sorpresa, poi però, quando Jason allungò una mano intorno al suo viso e una ad abbracciargli la schiena, prese nuovamente coscienza della situazione e tentò di divincolarsi. Non che gli stesse dispiacendo – le labbra di Jason erano più morbide e dolci di quanto si aspettasse! –, ma il pensiero di star baciando il suo migliore amico aveva un qualcosa che faceva sì che tutto il suo essere si ribellasse all'idea. Jason lo capì al volo e lo lasciò andare, rosso in viso come non l'aveva mai visto prima.
«Non ti è piaciuto, vero?» chiese, con lo sguardo basso e le guance che andavano ad imporporarsi sempre di più.
«Non è quello, è che...» balbettò Nico, non sapendo cosa dire. Non voleva ferirlo, e di certo dirgli che baciarlo aveva avuto lo stesso effetto che avrebbe avuto baciare un ipotetico fratello non sarebbe stato un buon modo per far sì che questo non accadesse. Quindi disse: «Il problema è che tu sei il mio migliore amico, Jason. Non riuscirei a immaginarmi che ti... ecco, a immaginarci una coppia».
Che discorso del cazzo, Nico: non è un buon modo nemmeno friendzonare.
«Hai ragione, Nico. Non avrei dovuto farlo. Volevo solo provare, giusto per sapere che sentivo io e se poteva funzionare...-» ma si interruppe in fretta, riprendendo improvvisamente possesso del suo corpo, che per tutta la durata del dialogo era rimasto accasciato contro una colonna del soggiorno, quasi non avesse avuto abbastanza forze per stare dritto. Quindi aggiunse: «Ma non importa, Nico. Va bene così. Ora devo andare... ci sentiamo, ok?»
Nico deglutì piano, con l'assurda sensazione che si trattasse di un addio, o comunque di un saluto definitivo a un qualcosa che, fino a quel momento, era stato in ballo fra loro: «Certo, Jason. Ci sentiamo».

Jason salutò di nuovo Nico, col cuore in gola. Non si era pentito di averlo baciato: non sarebbe stato in pace con se stesso se non avesse almeno avuto la conferma che davvero Nico non lo ricambiava, in quanto restare nel dubbio non faceva parte della sua personalità. Allo stesso tempo, però, avrebbe voluto non doverlo fare: sapeva che da quel momento in poi sarebbe stato cento volte più difficile per lui – ma anche per lo stesso Nico – parlargli normalmente, e già i loro dialoghi erano spesso più silenzi che parole, figuriamoci adesso!
Dovevo riuscire a convivere con questa cosa, dovevo evitare di dirglielo, tenerglielo nascosto...!
Ma ormai aveva deciso di essere sincero con lui, quindi non poteva più permettersi di piangersi addosso e rassegnarsi. Era sempre andato avanti, e questo non sarebbe stato troppo diverso: forse non avrebbe potuto essere proprio ciò che desiderava per Nico, ma poteva comunque riconquistare la sua fiducia e la sua amicizia. Non sarebbe rimasto senza di lui, ne era più che certo, e soprattutto non avrebbe permesso a nessuno di fargli di nuovo del male, lui compreso: vederlo, dopo quasi tre anni, di nuovo conciato in quel modo pietoso, con il volto solitamente bianco costellato di lividi violacei e graffi, il corpo già fin troppo magro reso ancora più fragile e il leggero tremore alle mani – lo stesso che aveva sempre avuto e cercato di nascondere quando, al primo anno, lo inseguivano fuori da scuola senza un apparente motivo – l'aveva scosso più di quanto si aspettasse. Fece una promessa a se stesso: non l'avrebbe più lasciato solo, nemmeno se averlo sempre accanto gli avrebbe fatto più male che bene.
È una promessa, Di Angelo.

Will, seguendo un istinto che nemmeno lui comprendeva bene, scese le scale e si diresse verso l'enorme casa del suo quasi-vicino. Sentiva che, in quel momento, l'amico aveva bisogno di lui, anche se sperava che questo presentimento fosse solo frutto della sua testa ancora un po' addormentata a causa della notte quasi in bianco che aveva trascorso.
Come sempre ci mise poco più d cinque minuti a piedi per raggiungerlo, e come sempre suonò due volte al citofono, cosicché l'altro capì che si trattava di lui e non di altri. E infatti sentì Nico scendere le scale, forse un poco più lentamente del solito, e aprire la porta senza nemmeno indugiare.
«Ciao, Raggio di Sole» esclamò Will, appena l'altro spuntò da dietro l'ingresso.
Nico fece la solita smorfia sentendo quel soprannome, quindi disse, con aria rassegnata: «Non chiamarmi così, ti prego...»
Solitamente gli avrebbe tirato un leggero colpo sulla spalla o sul petto, o avrebbe replicato con un sarcastico "Ciao a te, Mister Sorriso Tutto il Giorno", ma non fece nulla di tutto ciò, e questo confermò purtroppo il presentimento di Will: era successo qualcosa, ora bisognava solo capire cosa.
Entrò in casa, dando come sempre una veloce e ammirata occhiata ai quadri di Bianca: sapeva che non avrebbe dovuto farlo, ma quei dipinti lo attiravano sempre, e abbastanza da obbligarlo a lanciargli uno sguardo ogni volta che Nico non vedeva. Dopo il suo piccolo rito segreto, seguì Nico su in camera sua e, come sempre, si lanciò sul letto.
«Come stai oggi, Nico?» gli chiese, cercando di nascondere la preoccupazione che sempre più si stava facendo strada nella sua mente, vedendo che l'altro, invece di sedersi al suo fianco come al solito, si era invece appollaiato sulla sedia davanti al computer e aveva iniziato a giocare.
«Tutto ok» rispose l'altro, senza nemmeno voltarsi.
Will non sapeva che fare per far dire a Nico cosa c'era che non andava, sempre che non fosse solo la sua immaginazione. Alla fine optò per un discorso abbastanza serio e studiato: «Dunque, c'era un coniglietto che aveva perso la sua carota ed era molto triste, ma non voleva dirlo a nessuno perché pensava che fosse solo un suo problema. Però il suo amico orsacchiotto si era accorto che c'era qualcosa che non andava, quindi aveva iniziato a chiedere al coniglietto spiegazioni. L'altro però non voleva dire niente. Tu, da orsacchiotto, cosa faresti per fare in modo che il coniglietto si confidi con te?»
Nico si girò piano con la sua sedia girevole, quindi lo guardò come fosse un pazzo pronto per essere ricoverato in un ospedale psichiatrico di massima sicurezza. Aveva la bocca mezza aperta, e gli occhi abbastanza spalancati da parere due bocce per pesci. «Will, sei ubriaco già a quest'ora?» chiese quindi piano, come se avesse paura di urtare la sua sensibilità.
«No. Rispondi alla domanda» insisté Will.
Nico si alzò, quindi prese Will per le spalle e lo guardò intensamente negli occhi: «Non è che fai uso di droghe? A me puoi dirlo, ti aiuterei e...-»
«No, Nico. Sto bene. Tu rispondi a 'sta benedetta domanda» rispose lui, cercando di nascondere un sorriso che stava nascendo sul suo volto e di mantenere una certa serietà.
«Ok, Will. Credo che io gli farei capire che si può fidare di me e che a volte confidarsi può essere meglio che tenersi tutto dentro... o almeno credo» disse Nico, grattandosi il naso e facendo quella smorfia buffa che ormai Will aveva imparato a conoscere. Solo dopo aver pronunciato quella frase Nico si accorse di cosa effettivamente aveva fatto Will: «Oddio, ma tu sei un idiota» esclamò, prima di iniziare a ridere.
Era la seconda volta che Will lo vedeva ridere così di gusto, e anche adesso cercò di imprimersi bene in testa la sua espressione. Chi l'avrebbe mai detto che un ragazzino così tetro e sarcastico avesse una risata così contagiosa e un sorriso così caldo?
«Va bene, Will. Ho capito...» disse Nico, dopo aver finito di ridere. Fece un grande respiro, quindi disse: «Oggi è venuto Jason a vedere come mai ero stato assente per tanto tempo da scuola».
«E che ha detto?» disse Will, cercando di nascondere la soddisfazione per essere riuscito a spingere quel ragazzo splendido ma decisamente stupido a parlare con Nico.
«Prima mi ha chiesto come stavo e le solite cose, sai...» si interruppe un attimo, quindi continuò: «E poi ha tirato fuori ciò che è successo la sera della festa».
A Will mancò un battito: che cosa aveva pensato del loro bacio? Che cosa pensava di lui? Che cos'era successo davvero quando l'aveva allontanato di scatto? Erano tutte domande a cui non aveva ancora ricevuto una risposta.
Nico continuò: «E ha detto che si è staccato da te perché... ecco, perché ha immaginato che al tuo posto ci fossi io».
Lo disse in un soffio, e fu solo quel soffio a far smettere di respirare Will: ecco, ora tutto si spiegava, a partire dall'imbarazzo di Jason nel vedere Nico al momento in cui, quando la scuola intera aveva pensato che il tradimento del capitano della squadra di football fosse avvenuto con Nico, aveva incominciato a ignorare ed evitare il suo migliore amico. Era tutto così chiaro, così dannatamente evidente: come aveva fatto a non capirlo prima? E la cosa più brutta era che adesso si sentiva tradito, e non da Jason, ma da Nico, lo stesso Nico che aveva promesso di aiutarlo a conoscere Jason, a cui era stato vicino nei momenti più difficili e che aveva preso sotto la sua ala.
«E mi ha baciato» concluse l'altro.
No.
Will non riusciva a pensare a nient'altro che quelle due piccole lettere. Si alzò dal letto, allontanandosi da Nico. L'aveva tradito, e ora non riusciva più a sostenere il suo sguardo colpevole, né la sua voce che sussurrava dei "mi dispiace" tremanti.
Scese in fretta le scale e uscì dalla casa, e questa volta non guardò i quadri di Bianca.  



Scusate se non ho aggiornato domenica come al solito, ma purtroppo sono stata davvero molto occupata e questo è il primo momento libero che ho. Spero possiate perdonarmi!


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