L'ultimo nemico che sarà sconfitto è la morte

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Sirius non provò dolore. Quando l'Anatema che Uccide lo colpì in pieno petto, esalò il respiro che aveva trattenuto per anni. Non cercò di aggrapparsi alla vita, la lasciò scivolare via dalle mani, come acqua. Non fu sorpreso dalla strana sensazione che provava, tuttavia se ne vergognò. Non voleva arrendersi, non voleva morire, non voleva lasciare Harry. Ma la Morte gli diede l'innata consapevolezza di dover andare via. La sua battaglia era finita, era giunto il momento di deporre le armi. E lo fece. Sentì la vita scorrere in lui prepotentemente. I suoi sensi diventarono forti e vigili. Riuscì a cogliere il vento sulla pelle, una carezza leggera. Si domandò come avesse fatto a restare immobile davanti alla bellezza dell'esistenza. Poi, ormai quasi del tutto estraneo alla realtà umana, udì un urlo straziante. Nella sua mente si formarono le figure di Harry e Remus, distrutti dalla perdita di un padrino, di un fratello, dell'ultima remota possibilità di famiglia, di redenzione. Ma ancora un volta non si oppose alla mano che lo stava svuotando, lentamente e inesorabilmente. Avrebbero capito, si disse. Si sentì cadere, percepì il contatto con una sostanza, quasi aerea. Non riuscì a definirla, a riconoscerla. Era vento, forse. Aria. Nuvola. Quel velo lo avvolse, offuscando i suoi sensi. Non sentì più la freschezza sulla pelle, la voce di Harry. Un senso di inquietudine lo invase. Non poteva opporsi alla morte, lo aveva capito. Ma quel silenzio lo stava scuotendo, torturando. Il mondo scorreva, prepotente, davanti a lui. Ma Sirius ne era estraneo. Vide delle immagini presenti, passate, future. Non riuscì a coglierne il significato. Era troppo lontano, gli scivolavano addosso, ma non gli si imprimevano nella mente. Le scordava subito. Cercò di urlare, di muoversi, di afferrarle, senza successo. Non faceva più parte di quei ricordi, di quella vita, non esisteva più. Semplicemente non era. Si stupì della grandezza dei suoi pensieri. Sentiva un senso di vuoto, una mancanza, ma non era in grado di identificarla. Quando la mano della morte lo svuotò, completamente, cancellando da lui ogni traccia di vita, Sirius si credeva un guscio vuoto, inutile, freddo. La coltre nera lo aveva assorbito.
Poi, un tocco leggero lo destò dalla sua apatia. C'era un uomo davanti a lui. No, si disse, non uomo. Aveva perso il diritto ad essere tale quando era evaso dalla vita. Era un figura, contemporaneamente giovane e anziana. Aveva gli occhi dello stesso colore delle nocciole, inconfondibili. Eppure, nonostante tutto di lui urlasse un legame con Sirius, ancora una volta si sentì estraneo ai ricordi della vita. Poi lui parlò e una marea di emozioni lo travolse. Fu come se qualcuno avesse acceso la luce nel suo cervello. Tutte quelle immagini acquistarono un senso. Fu colpito violentemente dall'amore, dall'amicizia, dalla paura, dalla gioia e dalla tristezza, da un dolore straziante che ignorava da anni. Una sensazione immensa mise radici in lui, un sentimento indescrivibile che lo fece cadere in ginocchio, in un pianto disperato. Aveva lasciato cadere i pezzi di se che teneva malamente insieme da anni. Si lasciò andare. E provò sollievo, ritornò a vivere per la prima volta. La morte gli aveva ridato la vita. Le parole di quella figura di cui ormai riconosceva il nome gli risuonavano in mente, rassicuranti e forti.
-Non è stata colpa tua, Felpato.-

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