Catene.

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Le mie dita accarezzano l'aria. Un'aria sottile e tremendamente fredda. Ghiaccia la mia pelle, e le mie labbra. Labbra secche, di cartavetrata. Ho sete. Sollevo la coperta, posso sentire le piume d'oca che spuntano dal morbido tessuto provocandomi minuscole punture. Penso agli aghi inseguitori. Questo non è niente. La stanza è verde, come le foglie che ondeggiano al venticello caldo del distretto 11. Ci sono stata, una volta. I campi si estendono tutto intorno a te. Gente che lavora, canta, manda segnali. Fischi acuti, melodie intonate con circospezione, che attraversano il sottobosco. Sussurrate strisciando, con la faccia premuta sul terriccio umido. Che volano nel vento, lanciate da un albero all'altro dalle ghiandaie imitatrici. Sciolgo i miei capelli biondo platino, così chiari alla luce che entra dalla finestra. Vedo i miei occhi verdi sul vetro. Distolgo lo sguardo.
Perché ho paura.
Di me stessa.

***
Peeta è sveglio. Mi guarda con occhi assonnati, seduto sul tetto, le gambe strette al petto. La serra è silenziosa, ma a volte li vedo. Sono movimenti velocissimi.
Spettri.
Uno sfrigolio nervoso, come un batter d'ali. Poi niente.
Ghiandaie imitatrici.
Che si annidano tra le piante esotiche e tra... Le rose.
Penso ai petali bianchi, puri e perfetti. Un brivido mi attraversa. Peeta parla, dichiara di non voler lasciarsi sottomettere. Non sarà mai una pedina nelle loro mani.
Ma sappiamo tutti e due quello che accadrà.
Sappiamo tutti e due che, nell'arena, diventerà un assassino.

***

Folla.

Pestano i piedi. Hanno occhi vacui, parole mozzate, mai dette. Pantaloni strappati. Scarpe logore, coperte di polvere e fango.
Fantasmi che popolano i miei incubi. Gente dei distretti che si libera dalle catene. Armi in spalla, proiettili lungo il petto, ferite da arma da fuoco sulle tempie.
E sulle mani.
E sulla schiena.
E le gambe.
Lo stridere del ferro, mentre nubi meccaniche coprono il cielo.
Poi i coltelli.
Avanzano, mentre li alzano verso l'alto, di nuovo giù, di lato. Come una danza, una danza militare.
E alla fine verso di me.
L'ultima cosa che vedo sono mani, come tentacoli, che si contorcono, stagliandosi sullo sfondo grigio prima della tempesta.
Mani che bloccano i loro movimenti frenetici in un unico simbolo.
Le tre dita centrali in alto, le altre due unite.
Ormai il mio nome è scritto sul muro.
Il muro dei condannati.

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