1. Inverno 2014-2015

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Non ricordo di preciso quando tutto ebbe inizio.

Era inverno -di questo sono certo. Partiamo con una data indicativa.



Inverno 2014-2015

Stavo camminando a passo svelto, assorto nei miei più assurdi pensieri, lungo un sentiero secondario di un paesino di campagna. Un'amica mi aspettava a casa sua, in cima ad una breve salita qualche curva più avanti.

Faceva freddo; erano le dieci inoltrate e sembrava di attraversare uno di quei villaggi fantasma dei film western. L'unico essere vivente nei paraggi era un ragazzo di vent'anni che camminava sul ciglio del sentiero asfaltato, imbacuccato come un eschimese, con un orribile giaccone blu e i pantaloni di una tuta di pile. Quel ragazzo ero io.

Sembrava tutto molto desolato e pittoresco.

Sentii avvicinarsi un veicolo, così mi accinsi a spostarmi sul margine infangato fuori dalla carreggiata per non farmi investire; ma quando decisi di sollevare lo sguardo mi sentii trascinare giù, come se le braccia fossero diventate pesantissime, e la testa fosse diventata pesantissima, e le gambe fossero diventate pesantissime. E poi socchiusi appena gli occhi, vidi la mia ombra allungarsi sul pantame e la luce accecante dei fari riflettersi sulle pozze di acqua piovana, finché tutto non diventò confuso e offuscato e qualcosa mi afferrò alle spalle appena prima che il mondo venisse inghiottito dalle ombre.

Avevo i muscoli intorpiditi e le tempie pulsavano. Devo aver fatto un incubo -pensai. Così tentai di stropicciarmi gli occhi e mi accorsi che avevo le mani intrecciate in una posizione scomoda e bizzarra. Dovetti fare uno sforzo immane per sollevare le palpebre e adattarmi alla luce che mi inondò le iridi dorate come un fiume in piena.




Il mio cuore mancò un battito.




Le tempie presero a pulsare dolorosamente e feci fatica a respirare, come se avessi qualcosa in gola, un nodo.

Le lacrime mi riempirono gli occhi annebbiando ogni cosa. Alcune goccioline scapparono tra le ciglia e rigarono le mie guance, incendiandomi il viso. Cercavo di divincolarmi, annaspando e gemendo per il dolore al petto, un dolore opprimente che mi spezzava il respiro e offuscava la mente.

Mi sforzai di chiudere gli occhi e controllare il respiro, per calmarmi. Dopo qualche minuto, il terrore sembrò allentare un po' la sua morsa soffocante.

Ero in un'auto con i finestrini oscurati. Avevo i polsi legati, ma non dietro la schiena. Mi guardai intorno diverse volte ma le immagini erano ancora appannate e sentivo un fischio nelle orecchie.

Ero solo. Mi chinai in una posizione strana per arrivare al bottone della cintura e mi liberai della cinghia. Poi, trattenendo il respiro per l'ansia, provai a tirare la maniglia. Lo sportello si aprì con un discreto plunk.

L'aria gelida del mattino mi scompigliò i capelli e mi graffiò il viso, donandomi un minuto di sollievo.

Una piacevole sensazione che si spense nel momento in cui provai a scendere: sentii il mio corpo arrendersi alla gravità come un frutto troppo maturo, incapace di sostenermi. Rientrai nell'auto aggrappandomi alla portiera.

Ero stato drogato?

Lo sterzo era bloccato. Stavo frugando nel cassettino quando l'altro sportello si aprì ed entrò qualcuno.

Mi pietrificai. Rimasi immobile, con le mani ancora in mezzo alle cartacce, incapace di continuare a respirare. Il panico serrò nuovamente la sua morsa; per un istante, pensai che mi si sarebbero spezzate le costole.

Sperai che per qualche improbabile arcano lui non mi potesse vedere, ma ovviamente non fu così. Anche lui, però, rimase colpito, con ancora la portiera aperta e la mano sulla maniglia, forse incuriosito e sicuramente molto irritato dalla situazione.

«Ciao» mormorai, interrompendo quello straziante silenzio –un attimo dopo mi stavo rimproverando tra me.

Richiusi lentamente il vano portaoggetti e mi misi comodo sul sedile, cercando di impedire alla paura di sopraffarmi completamente. Questo sembrò soddisfarlo perché chiuse la portiera e accese il motore. Dopo qualche minuto gli stupefacenti mi stavano nuovamente assopendo, e nello smarrirmi in immagini caotiche e confuse riuscii a borbottare: «è cortesia rispondere ai saluti; te l'ha mai detto nessuno?»

Innamorato di te che mi hai rapitoWhere stories live. Discover now