9. Casa Dolce Casa

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Casa Dolce Casa

                       undici settimane dopo il mio ritorno


Alcune persone bisbigliavano ancora, quando io passavo. Ma in realtà non ci facevo molto caso. Forse perché in fondo non mi era mai importato.

Erano già passate undici settimane da quando era tornato a casa e mia madre mi aveva quasi strangolato con un abbraccio troppo –davvero troppo stretto.

Tutto, o quasi, era tornato alla normalità, e ne ero tremendamente lieto. Le eccessive attenzioni dei primi giorni erano state soffocanti e mi avevano privato dei miei spazi e della mia privacy. Impiegai un po' per rieducare la mia famiglia –e non solo- alla mia indipendenza, ad impedirgli di ficcanasare in qualsiasi cosa e di pedinarmi di quando in quando a qualsiasi ora del giorno. Alla fine, riuscii a trovare una soluzione ideale: andare a vivere per conto mio.

Ero alla centrale di polizia, a firmare le ultime scartoffie. Ancora uno scarabocchio e tutta quella storia sarebbe diventata un ricordo. Lasciai le carte al commissario, soddisfatto della mia scrittura impeccabile; salutai e mi diressi verso l'ascensore.

Stavo per varcare l'uscita quando qualcuno mi sfiorò la spalla. «Ciao!»

«Buon giorno, agente Mason». Sorrisi.

«Ti ho portato un caffè» disse porgendomi un bicchiere di Starbucks con il mio nome disegnato sopra. Ringraziai, soffermandomi ad osservare le sue labbra perfette arricciarsi in una sorta di ghigno malizioso. Lo guardai negli occhi, azzurri, scintillanti come diamanti. «Che fai a pranzo?»

«Non lo so ancora, perché?»

«Uhm... mi piacerebbe portarti in un posto; non è molto distante».

«È un appuntamento, agente Mason?» domandai sorridendo.

«Vorrei stare un po' con te» si avvicinò al mio orecchio per sussurrare, «dove i tuoi genitori non possono venire a spiarti».

«Interessante» risposi, mordicchiandomi le labbra. «Mi vieni a prendere a casa?»

«Certo». Mi diede un bacio.

Stavo per andare via, quando decisi di fermarmi. Gli presi la mano e lo avvicinai di nuovo a me. «Ricordami di restituirti il cappotto e i jeans; non te li ho ancora ridati da allora».

Lo baciai, senza smettere di sorridere. Anche lui era felice.

Innamorato di te che mi hai rapitoWhere stories live. Discover now