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Eren stava lì, bloccato con un'espressione da stoccafisso dipinta in volto, e per quanto ci provasse non riusciva in nessun modo a staccare lo sguardo dall'uomo che aveva davanti. Colpa di quegli occhi del colore del cielo tempestoso. No, non erano solo gli occhi: era tutto il gladiatore, con quella pelle ora ripulita da sangue e sabbia e diafana quasi quanto quella di una ninfa ed il fisico statuario nonostante la bassa statura. Non era la prima volta che Eren vedeva quella persona: da anni lo osservava danzare con la Signora Morte come si fa con un'amante, nell'arena, ma non gli era mai stato tanto vicino. Definirlo bello gli parve riduttivo.
"Che ci fa qui la puttanella del padrone?"
Il ragazzo si riscosse di colpo dopo la domanda del guerriero, e tornò il ragazzino spaventato e impacciato che era sempre stato: "Il... Il padrone mi ha mandato per accompagnarti di sopra" disse a voce bassa.
"La so trovare da solo la strada"
"Eseguo solo degli ordini" mormorò l'altro abbassando la testa, come se avesse qualche colpa.
Il moro sbuffò sonoramente: "Fammi strada allora"
Subito, Eren gli diede le spalle e cominciò a salire i gradini di pietra che conducevano alla villa, velocemente, come se avesse fretta di svolgere quella mansione tediosa.
Non aveva senso, ma Levi fu comunque infastidito da questo suo comportamento, e non appena furono fuori dalla cantina gli si affiancò.
"Sembra che tu stia scappando da me" gli fece notare. "Ti spavento"
Il suo tono beffardo infastidì il ragazzo, che non si sa come fu capace di ingoiare la paura e rispondere a tono: "Ti dai un po' troppa importanza, per essere solo una belva sanguinaria, non credi?"
Sono uno stupido! si disse quando ebbe concluso quella frase.
Se avesse risposto in quel modo al padrone come minimo ci avrebbe beccato una decina di frustate ben assestate, ed essendo il suo attuale interlocutore un gladiatore avvezzo alla violenza si preparò psicologicamente a ricevere una scarica di pugni.
Levi invece lo sorprese: "Credi davvero che mi piaccia uccidere tutti i giorni?"
Non aveva alzato un dito su di lui. Eren non poteva crederci.
Ma si trattava comunque di un gladiatore.
"Non esiti mai quando lotti. Ti vedo sempre"
"E tu non esiti ad offrire il culo al padrone"
"Non ho scelta!" si difese il ragazzo.
"Lo stesso vale per me: quando sei nell'arena, o combatti o muori"
Eren distolse ancora lo sguardo: "Ora basta parlare" disse indicando con uno sguardo l'alcova poco distante davanti a loro.
Come richiamato dal suo sguardo, il padrone sgusciò attraverso le tende fini che separavano quell'ambiente dal resto della villa, e quando li vide parve tirare un sospiro di sollievo. Andò loro incontro e si rivolse per primo al castano: "Eren, vai là dentro e assicurati che il magistrato sia servito e riverito"
"Sì Padrone" rispose lui defilandosi e scomparendo all'interno dell'alcova.
A quel punto il lanista parlò a Levi, che non si era mosso di un millimetro da quando lo aveva visto arrivare, cercando di mascherare in quel modo la tensione che gli irrigidiva i muscoli: gli era sembrato strano che il padrone avesse dato disposizioni perché si ripulisse decentemente dopo la lotta nell'arena, certo, ma se prima si trattava solo di una vaga sensazione, ora aveva la certezza che quella vecchia serpe di Batiato stava per trascinarlo in qualcosa di disgustoso.
Comunque non aveva importanza visto che tanto non aveva il libero arbitrio.
"Ascoltami bene", esordì, "voglio che il tuo obbiettivo principale sta sera sia quello di compiacere il magistrato"
"Cosa vuoi dire?" domandò Levi senza guardarlo.
"Voglio dire che se quell'uomo esprime il desiderio che gli succhi l'uccello, tu ti inginocchi e lo succhi fino a farlo venire. Sono stato sufficientemente chiaro, schiavo?"
Levi non disse nulla. Annuì soltanto, perché sapeva che se avesse aperto la bocca ne sarebbe uscito un sonoro "vaffanculo".
Dopodiché seguì Batiato all'interno dell'alcova, e le parole che l'uomo usò per annunciarlo gli parvero esagerate: "E per il piacere del nostro riverito ospite, sta notte un dio è sceso dall'Olimpo per unirsi a noi!"
Mentre il padrone andava a stendersi sul triclino accanto alla moglie Levi non si mosse dal centro dell'alcova, come richiedeva il suo ruolo in quel momento: restò fermò li in piedi in modo che quel riccone incipriato lo potesse osservare bene. Finché era solo quella la prospettiva, farsi scandagliare con gli occhi, lo poteva fare senza problemi.
Poi però il magistrato di alzò in piedi e gli andò incontro.
"È bello" sentenzió. "Ancora più bello di quando lo vedo nell'arena..."
Quel porco si stava eccitando, lo si capiva benissimo dalla sua voce, ma comunque Levi non si mosse, nemmeno quando l'uomo gli poggiò una mano sul petto per poi farla scendere, lentamente, fino al bordo del panno che aveva legato in vita.
L'istante successivo quella mano schifosa era tra le sue gambe, e lo toccava attraverso il tessuto dell'unico indumento che portava.
Levi strinse i pugni e serrò le labbra, rifiutandosi categoricamente di lasciarsi scappare anche il più piccolo suono mentre la mano di quel romano gli percorreva il pene con movimenti rapidi, quasi rudi, stringendogli violentemente i testicoli e stimolando il glande con movimenti circolari. 
Suo malgrado, il corpo reagì comunque a quelle attenzioni, ed il gladiatore percepì il proprio membro indurirsi nella mano del magistrato, che non smise di masturbarlo finché l'erezione non fu più che evidente.
"E anche incredibilmente dotato" sussurrò l'uomo dopo essersi fermato. Alla frase successiva, Levi dovette fare uno sforzo per non indietreggiare, perché la sola idea lo disgustava: "Anche di questo voglio una dimostrazione"
Ovviamente il padrone non dissentì, ma anzi si offrì addirittura di lasciarli soli. Certo: non sarebbe stato lui a finire col culo spaccato, quindi che gliene poteva importare?
"Ma no, buon Batiato! Non mi riferivo a me!" cinguettò il funzionario con un sorriso schifoso ad increspargli le labbra sottili. "Pensavo a lui" ed indicò Eren, che fino a quel momento non aveva fatto altro che riempire ripetutamente le coppe di tutti.
Il ragazzo si bloccò di colpo e sgranò gli occhi guardando il padrone: gli stava chiedendo un aiuto, e l'uomo ci provò pure, ad aiutarlo: "Non so se è il cas-"
"Perché?" lo interruppe l'altro. "Non è uno schiavo?"
"A questo Quinto non poté ribattere: "Certo", disse, e tornò sul triclino indirizzando ad Eren un cenno eloquente.
Il ragazzo ingoiò a vuoto e per un momento sembrò sul punto di scappare, ma poi eseguì gli ordini, e si avvicinò a Levi abbastanza da poter essere toccato.
Lui però non fece nulla, era come paralizzato.
"Spoglialo" ordinò il politico, ma poi ci ripensò e avvicinò il proprio bicchiere alle labbra del ragazzo: "Bevi questo, prima"
Eren riconobbe l'odore dell'oppio sciolto nella bevanda, ma comunque, dopo un solo istante di esitazione, obbedì, come faceva sempre, e vuotò la coppa.
Questa volta fu il turno del moro di deglutire a vuoto, e la mano che spogliò il ragazzo tremava appena.
Dopo si denudò lui stesso.
Il magistrato sospirò soddisfatto, ed il moro capì che doveva proseguire.
Con tutta la delicatezza di cui erano capaci le sue mani, guidò il giovane a stendersi sul tappeto morbido che copriva il pavimento, ma lì si fermò: "Chiedo scusa, padrone", disse rivolto al politico, "ma non ho lubrificanti per prepararlo"
"Penetralo così" rispose lui sorridendo, come se fosse ovvio.
Levi fece per ribattere ma si bloccò: tanto non sarebbe  servito a nulla.
Tornò a guardare il ragazzo sotto di lui, e vide gli occhi sgranati dalla paura, o forse anche da qualcos'altro. La droga che dovevano avergli dato, sicuramente.
"Eren, io-" cominciò, ma il giovane lo interruppe.
"Esegui gli ordini" intimò. La voce gli tremava, come pure tutto il corpo, ed il suo sguardo si stava appannando. Era ovvio che l'oppio stava facendo effetto.
Levi annuì. Tanto non avevano scelta, nessuno dei due.
Cercò di non badare alla forza con la quale il giovane gli stava artigliando le braccia, come se restargli aggrappato fosse l'unica speranza di salvezza, e non appena lo vide aprire le gambe si spinse dentro di lui in un colpo solo, pecependo comunque l'attrito e la resistenza delle carni che non erano state preparate in nessun modo.
Eren urlò con tutto il fiato che aveva in gola, il suo corpo si tese, il respiro si fece mozzo e le sue unghie graffiarono la pelle di Levi fino a lasciare dei veri e propri solchi brucianti sulle sue spalle.
Levi non si sottrasse a quella stretta dolorosa: era niente se paragonato a quello che stava provando il più piccolo.
Cominciò subito a muoversi, il gladiatore, perché tanto due secondi in più di certo non sarebbero bastati al moccioso per abituarsi alla sensazione del suo arnese dentro di lui, ed aveva la certezza matematica che i romani non gli avrebbero concesso più tempo di così.
Eren sentiva le interiora bruciare come l'inferno ad ogni affondo dell'altro, e non riuscì in nessun modo a trattenere gemiti e urla di dolore, e stringeva quelle spalle muscolose che in quel momento rappresentavano la sua unica valvola di sfogo.
Non c'era nulla di piacevole il quello che stavano facendo, almeno per lui. Tutto era solo dolore.
Tutto era solo dolore, eppure ora un'erezione pulsante svettava tra le gambe del ragazzo, e le sue percezioni si stavano acuendo maggiormente ogni secondo che passava.
Era la droga che lo stava riducendo così, ed Eren lo sapeva, ma non avendo mai fatto uso di simili sostanze non era in grado di mediarne gli effetti: in pochi minuti fu totalmente preda di quella falsa eccitazione, e prese ad assecondare i movimenti dell'uomo sopra di lui senza sapere realmente cosa stava facendo; strinse le gambe e le braccia intorno a quel corpo di marmo, riversando la testa indietro mentre Levi lo tirava a sedere sopra di se e succhiava la pelle del suo collo.
Anche il gladiatore era ormai totalmente guidato dalla lussuria, e prese ad aumentare il ritmo dell'amplesso colpendo ripetutamente la prostata del ragazzo, dalla cui bocca carnosa uscivano versi sempre più striduli e confusi, mentre il suo corpo si arcuava verso quello del moro fino a farli aderire perfettamente l'uno all'altro.
Poi di colpo finì tutto: Levi si riversò all'interno del ragazzo, che gli schizzò il petto col proprio seme, sgranando gli occhi e tendendosi all'inverosimile, per poi afflosciarsi sul tappeto ancora in preda agli spasmi dell'orgasmo.
Levi uscì da lui piano, a quel punto, per non fargli più male di quanto non avesse già fatto, e lo osservò: aveva gli occhi liquefatti, il corpo ricoperto di sudore ed il respiro irregolare. La droga era ancora in circolo.
"Portalo dal medico!" intimò il padrone a Levi, e solo allora l'uomo si accorse del sangue rappreso sulle natiche del ragazzo.
Che cazzo ho fatto?! pensò.

Mi dispiace che questo capitolo non sia stato esattamente un fiume di romanticismo ma non vi preoccupate che mi faccio perdonare nei capitoli successivi!

Schiavi di RomaWhere stories live. Discover now