Against All Odds

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...'Cause we shared the laughter and the pain
And even shared the tears
You're the only one who really knew me at all ...


Avrei raggiunto l'ospedale più vicino in un quarto d'ora circa traffico permettendo. Tony perdeva molto sangue dalla ferita alla spalla ma per fortuna non erano stati colpiti organi vitali. Lo aiutai a salire in macchina e gli diedi la mia giacca.
- Tienila premuta sulla ferita, ce la fai?
Annuì solamente e lo accarezzai sulla fronte. Sentii un brivido ma non riuscii a capire se ero io che stavo tremando o lui. Salii anche io e partii immediatamente. In auto nessuno disse una parola.

Arrivati all'ospedale sapevo che non potevo rimanere lì, che sarebbe stato troppo pericoloso per entrambi. Urlai per chiamare un infermiere che corse fuori a vedere la situazione. Tony aveva perso i sensi perché stava perdendo troppo sangue. Appoggiai le mie labbra sulle sue, gli accarezzai i capelli e poi scappai via correndo con le mani ancora sporche del suo sangue.

Non potevo andare a casa, non sapevo dove andare. Mi ritrovai senza fiato in un vicolo della vecchia di Tel Aviv vicino al porto di Jaffa e caddi in ginocchio a piangere. Erano passati 3 anni. 3 anni nei quali avevo volutamente soffocato il mio presente, cancellato il mio futuro per cercare di correggere il mio passato, per essere diversa. 3 anni nei quali avevo rinunciato a lui e a noi perché così sarebbe stato meglio per tutti. 3 anni in cui avevo cambiato vita pensando che certe situazioni non sarebbero più tornate. Ed invece no. Non è così. Non si può cancellare il passato, non si può cancellare quello che si è stati, non si può da un giorno fare finta di nulla, perché se tu non cerchi il tuo passato, sarà lui a cercare di nuovo te e lo farà sempre nel modo peggiore. Chi ero io adesso? Cosa ero? Una patria che più che una madre si è sempre dimostrata una matrigna che come un serpente mi avvolgeva nelle sue spire eppure dalla quale non riuscivo a distaccarmi per via di queste maledette radici che sentivo nonostante tutto così forti. Una seconda casa che mi aveva dato tutto quello che potevo volere e che avevo abbandonato. Ed ora non sapevo dove andare, e c'era Tony in ospedale e non potevo nemmeno sapere come stava.

Una mano si poggiò sulla mia spalla.
- Ziva...
Alzai lo sguardo e lo vidi. Erano passati quasi 2 anni dall'ultima volta, ma sapevo che la sua presenza era sempre vicino a me, silenziosa ma costante.
- Noah...
- Non ti preoccupare Ziva. Penso a tutto io.

E così fece. Salii nella sua auto, mi diede un nuovo cellulare, buttò via il mio, mi fece trovare una borsa con delle cose che aveva preso nella mia casa e mi portò fuori Tel Aviv in una zona isolata, dove non c'erano molte abitazioni. Parcheggiò davanti ad una casa bianca a due piani, circondata da un muretto di pietra altrettanto bianca. Non sapevo che posto fosse quello, non l'avevo mai visto. Era una casa modesta, il cui aspetto era rovinato dal vento e dalla sabbia e da una manutenzione non troppo frequente. Ci avvicinammo al piccolo cancello e la cosa che mi colpii è che invece che aprirlo Noah sollevò una mattonella del muretto e digitò un codice. Poi entrammo. Pochi passi e fummo davanti al portone, anche qui scostò una lastra metallica sul muro del portico ed inserì nuovamente un codice. Potemmo entrare.

L'aspetto interno della casa era completamente in contrasto con quello all'esterno, dismesso e non curato. Mi guardavo intorno titubante, osservavo moderni sistemi di sicurezza che riconoscevo dai controller e gli schermi per video sorveglianza sul muro, mobili ed arredi di pregio: dei grandi divani messi a ferro di cavallo con al centro un tavolo basso ed una grande tv a schermo piatto in fondo. Sulla sinistra una cucina di ultima generazione era divisa dall'ambiente principale solo da un basso muretto in pietra sopra il quale si trovavano una serie di apparecchiature elettroniche delle quali al momento non capivo la funzione.

- Seguimi - disse Noah indicandomi i tre scalini alla destra - Metto qui le tue cose.
Apri la porta di una camera dove c'era solo un grande letto matrimoniale e un armadio.
- Giù c'è il bagno, questa è la stanza più sicura di tutta la casa. Starai qua.
- Dove siamo?
- Era il rifugio di tuo padre. Da usare solo in caso di assoluta necessità. Qui c'è tutto quello che ti può servire per un bel po' di tempo. Vestiti, soldi, acqua, cibo e munizioni.
- Ho chiuso con tutto questo, lo sai.
- Non si chiude mai Ziva.
- E lui?
- Non ora. Non è il momento.

Squillò un telefono. Era il suo. Ascoltò solamente non disse nulla e riattaccò.
- Era Yonah. Tony è stato operato, è fuori pericolo, ma è stato messo in stato di arresto dalla polizia dietro insistenza del Mossad. Appena starà meglio verrà preso in custodia da loro e trasferito.

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- Agente Antony Di Nozzo, mi sente?
Feci segno di sì, con la testa, mi tolsi la maschera d'ossigeno dal volto. Avevo fili e tubicini ovunque e la testa che mi scoppiava. Tutto quello che ricordavo era un sogno o era vero? Provai a muovere il braccio destro ed una fitta dalla spalla si irradiò su tutto il corpo. Ok, era vero.
- Agente Antony Di Nozzo, la dichiaro in arresto per l'uccisione di un agente del Mossad e per essere entrato illegalmente in Israele. Appena le sue condizioni lo permetteranno verrà trasferito in una nostra struttura. Al momento rimarrà qui piantonato dai nostri agenti. Abbiamo già avvisato la sua ambasciata che è al corrente di tutto. Le manderanno un avvocato.
Tutto come aveva detto Yehouda prima... ma quanto prima? Quanto era passato? E Ziva dov'era? Se ne stavano andando
- Dov'è Ziva?
Dissi solo questo forse perché solo questo mi interessava.
- La stiamo cercando anche noi.
Le sue parole non mi stupivano. Ero però contento perché se la cercavano vuol dire che era libera e se la sarebbe cavata.
- Che giorno è? - aggiunsi
- Sono passate solo poche ore da quando l'hanno porta qui Agente, abbiamo tutto il tempo per trovarla.
Se ne andarono. Guardai fuori dalla finestra, cominciava a fare buio. l'anestesia ancora non aveva esaurito del tutto il suo effetto. Con la mente che vagava in cerca di appigli tra i ricordi mi addormentai ancora.

La notte mi svegliai di soprassalto un paio di volte, rivivendo quanto successo. Mi agitai molto perché le macchine cominciarono a suonare e venne un'infermiera per darmi un sedativo. Il dolore alla spalla si faceva più intenso man mano che l'effetto dell'anestesia svaniva. Ma non era la cosa che faceva più male.
L'avevo rivista, per qualche istante, le avrei voluto dire 3 anni di pensieri, di notti insonni, ma non riuscii a dirle niente. Perché quando ero solo sapevo esattamente cosa dire, perché in 3 anni mi ero preparato 1000 diversi discorsi da farle se un giorno l'avessi potuta rivedere e trovandomela davanti non ero stato capace di dire nulla, ero stato solo il solito Tony? Con queste domande che mi tartassavano mi addormentai di nuovo.

- Signor Di Nozzo, dobbiamo portarla a fare un'esame.
Disse un infermiere in un inglese abbastanza buono.
Lui e la sua collega mi staccarono tutti quei tubicini fastidiosi e mi misero su una barella. Poi la collega si allontanò e mi l'uomo spinse la barella fuori dalla porta, ma appena la varcammo un agente ci fermò.
Parlarono in ebraico e non capii nulla di quello che si stavano dicendo, ma l'infermiere gli mostrò quella che doveva essere la mia cartella clinica facendogli leggere un foglio. Diede quindi l'autorizzazione a farci passare.
Appena girammo l'angolo e fummo nel corridoio laterale mi disse
- Abbiamo solo 40 minuti.
- Ma tu chi sei?
- Sono uno che risolve i problemi...
- Ah, allora sei il Signor Wolf di Pulp Fiction!
Non capii più nulla, vidi solo un'altra figura maschile con camice bianco che si avvicinava e mi mise un fazzoletto sulla faccia. Mi addormentai di nuovo.

Mi svegliai e non sapevo dove mi trovavo. Non era un ospedale, non era un carcere. Era una casa o almeno così sembrava. Ero su un letto matrimoniale ed avevo di nuovo un maledetto ago infilato nel braccio con qualcosa che scendeva piano piano.
Restai a guardarmi intorno per qualche minuto senza dire una parola, poi si aprì la porta.
- Ciao Tony.

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Si era svegliato. Mi avvicinai lentamente fino a quando non fui vicino al letto. Gli passai una mano sulla fronte. Scottava molto, aveva sempre la febbre molto alta e non accennava a scendere. Lo guardai cercando di nascondere la preoccupazione dai miei occhi e abbozzai un sorriso. Lo fece anche lui. Come tolsi la mano dalla sua fronte, con la sua cercò di prendere la mia, la avvicinai alla sua e lo lasciai fare. Se la portò sulla guancia, cercando una carezza che non gli feci mancare.
- Resta con me - mi disse
Avvicinai la sedia e mi sedetti vicino al letto, senza mai lasciare la sua mano. Si addormentò di nuovo e io rimasi lì con lui ad aspettare il suo risveglio.
Tony continuava ad agitarsi e la febbre continuava a salire, stringevo la sua mano per fargli sentire che c'ero, che ero lì con lui, poi si svegliò improvvisamente, con gli occhi sbarrati guardava il soffitto e poi si girò verso di me.
- Non mi lasciare - sussurrò con un filo di voce
- Sono qui, Tony.
Noah entrò nella stanza senza bussare.
- Ah lui è l'infermiere... - Disse Tony cercando di usare il suo solito tono scanzonato ma Noah non gli prestò attenzione
- Ziva, Mi ha chiamato Yonah, devo sistemare una cosa. Torno fra poco.
Annuii e lui uscì.
- Chi è lui? - Chiese Tony non appena la porta si chiuse di nuovo
- Un amico.
- Un amico. Un amico come me?
- Nessuno è come te, Tony.
- Te l'ho già detto che è bello rivederti?
- No, non me l'avevi detto.
- E' bello rivederti, Ziva.
- E' bello rivederti, Tony.

Avremmo voluto dire molto di più tutti e due, ma non riuscivamo a dire altro. Lo guardavo e vedevo la sua espressione stringersi in smorfie di dolore e poi cercare di sorridermi di nuovo. Sorrisi che ricambiavo cercando di nascondere la mia apprensione per tutta quella situazione. Era così diverso dall'ultima immagine che avevo di lui mentre saliva in aereo, eppure gli occhi erano gli stessi di quando mi stava dicendo addio, velati di tristezza che cercava di nascondere.

The Memory RemainsWhere stories live. Discover now