Sorridi e Annuisci, Gweld

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<<Allora, com'è andata oggi a scuola?>>

Mio "padre" alzò lo sguardo ceruleo su di me. Era un uomo d'affari particolarmente influente nel mio paese e come tale manteneva una certa compostezza nei modi che risultava particolarmente fredda e distante, come a ostentare quanto il suo lavoro, il suo ruolo nella società fosse per lui il suo più grande padrone al quale ahimè, obbediva da troppo tempo. Non era mai stato particolarmente presente nella mia vita, si limitava a farmi da autista, a mettermi un cerotto se mi facevo male e occasionalmente a qualche pacca sulla spalla. Ero costantemente in conflitto nei suoi confronti e il fatto che talvolta, incapace di gestire lo stress, si mettesse a bere di certo non mi chiariva le idee ne tanto meno chiariva le sue.

Cercai di prendere tempo giocherellando con la forchetta e quelle palle informe che la gente chiama cavoletti di bruxelles. Detestavo i discorsi scontati, fatti tanto per togliersi dall'imbarazzo e sinceramente quella sera rimasi stupida dal fatto che un uomo "pieno di risorse" ( e di alcool) come Carlo avesse formulato una domanda tanto banale, sopportabile solo se sentita in qualche serie televisiva americana. Appoggiai il viso bianco latte sulla mia mano e sbuffai.

<<La ritardata si è molto divertita in quel buco di culo di scuola>> dissi smorzando un sorrisetto sarcastico.

<<Gweld, le parole! Tesoro lo sai che esistono altri modi per esprimere il proprio disappunto>>

Già peccato che spiegare come ci si comporta ad una come me era come spiegare al mio vicino di casa che i pantaloni quando si taglia l erba in giardino NON sono un Optional.

Mia madre era così diversa da me,capelli rossi e fluenti, occhi verdi come il bosco e pur avendo trentasei anni poteva tranquillamente spacciarsi per una studente universitaria. Sapete, no? La classica donna di casa che guai a lasciare briciole in giro o potreste rischiare letteralmente la vita. A volte la notte sognavo che mi rincorreva con un aspirapolvere in mano.

"Forse sarebbe meglio aumentare le sedute dallo psicologo." Disse la mia gemella cattiva.

Mia madre come dicevo aveva la strana tendenza di auto convincersi che la sua vitta era esattamente come l'aveva sempre sognata, che non aveva una figlia come me. Certo, non appena mi aveva visto fuori dalla porta di casa sua si era innamorata dell'idea di avermi, non potendo il suo corpo generare un bambino, ma di certo si sarebbe ricreduta se solo avesse potuto immaginare quale razza di schizzata pazzoide sarei divenuta. Nonostante questo faceva di tutto per rendermi uguale alla figlia che aveva sempre sognato ( un clone si se stessa). Spesso mi portava a fare shopping, dalla parrucchiera e cercava invano di insegnarmi la buone maniere; tutto questo ovviamente trascurando quali erano i miei reali interessi e parlando per il 99,9% del tempo di lei e di quanto fosse perfetta. Aveva persino tentato di portarmi al suo Club del Libro o come lo chiamo io, all' OCA.

"Organizzazione Casalinghe Astinenti" dove per astinenza si intendeva la loro ossessione per l'apparenza e lo status sociale. Poi ero io quella che aveva bisogno di aiuto.

<<A proposito di Ticopa...->>Dissi raddrizzandomi e come se i miei avessero seguito il mio discorso mentale.

<<Mi ha proposto di andare in libreria domani per voi va b..>>

<<Ohh, ma certo cara esci e divertiti>>
Ecco mò parevo una poveretta emarginata che non aveva mai visto la luce del sole. Poi ci si chiede perchè certi adolescenti abbiano problemi a comunicare con gli adulti.

Mi sforzai di finire la cena fissando il lampadario che essendo in cristallo produceva rilassanti giochi di luce. In sottofondo una sgradevole conversazione sull orientamento politico degli amici mio padre.

<<Ehi Gweld, aspetta prima di andare in camera tua, io e tua madre dovremmo comunicarti una cosa piuttosto delicata...>>

Mi fermai a metà salotto e mi voltai molto lentamente. Tipo quando vedi un orso e ti fingi morto per scappare dal pericolo. Ecco, se mai i vostri genitori o chiunque vi stia accanto dovesse formulare la famosa frase
"Dobbiamo parlare":

1.Evitare il contatto visivo

2.Niente gesti affrettati o il soggetto potrebbe spaventarsi e attaccare d'impulso

3.Inventate una scusa palesemente poco credibile per far capire al nemico che VOI no! Voi non volete parlare.

Stavo per mettere in pratica il mio geniale piano, ma venni interrotta dallo sguardo di mia madre.

Ecco che mi fissava ancora.

<<Io...Tuo padre...insomma noi due anno fa abbiamo adottato un ragazzo della tua età e..anche la sua sorellina più piccola. Vedi loro erano stati abbandonati dalla madre in Argentina e dei nostri amici ci avevano chiesto se vole...>>

"Ecco mò pure gli amici ce se mettono, no perchè prima tutti a parlare di calcio e politica e adesso si mettono a fare i missionari dell'UNICEF. Ma dove sta andando il mondo..."

<<...e quindi verranno tra qualche giorno. Sabato per essere precisi.>>

Mi guardavano come due bambini che attendevano il permesso della mamma per andare a giocare in giardino. Io non dissi nulla e me ne andai in camera.

Xavier e Alisha. Così si chiamavano. 17 e 11 anni. C'era da aspettarselo, mia madre non vedeva l'ora di ritentare nell'impresa di creare la sua personale casa delle bambole, chiaramente insoddisfatta del fallimento che aveva riscontrato nella mia persona.

Allora, non è che la cosa mi facesse incazzare particolarmente,no, a me dispiaceva più per loro, che avrebbero dovuto imparare le "mie regole", regole dettate dal mostro che avevo dentro più che dalla ragazza timida che apparivo. Non so se anche voi avete dei fratelli, ma capirete che sono un bel grattacapo psicologico e neanche io scherzavo da questo punto di vista.

Buttai la faccia sul cuscino e mi addormentai tra versi di esasperazione. Il disagio parte seconda.

Io Che Sono TeМесто, где живут истории. Откройте их для себя