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Finalmente sai cosa è un Pokéstop. Invece la megera che ti urla contro agitando la scopa, non lo sa e preferisce perseverare nell’ignoranza. Nemmeno ti ha ascoltato mentre cercavi di darle delle spiegazioni.
《È un luogo che ti segnala il gioco,  dove ti puoi rifornire di oggetti utili alla cattura dei Pokémon. I Pokéstop sono in prossimità di luoghi di interesse e di aggregazione, come chiese, monumenti, targhe e anche murales e graffiti. Lo vede quel murales lì?》
Non hai fatto in tempo ad indicarglielo perché hai dovuto schivare un fendente e riportarti a distanza di sicurezza.
Lei ha preso a mulinare la scopa in aria prima di partire con un’altra carica.

Potevi startene comodo a casa tua e rifornirti delle Pokéball necessarie a catturare qualche bestiola virtuale direttamente dal terrazzo condominiale. Ma faceva un caldo bestiale  e non ne potevi più di startene in mezzo al guano di piccione. E poi hai scoperto questa cosa delle uova di Pokémon. Il gioco prevede che, se tu cammini per un tot di km, queste, sistemate in un apposito incubatore, si schiudono,  dando alla luce un nuovo animaletto.

Per questo sei uscito.
Avevi un uovo da schiudere.
Poi per strada ti sei perso dietro la cattura di una dozzina di Pidgey. La memoria interna del tuo telefono cellulare  si è  riempita di piccioni virtuali. Almeno questi non cagano, a differenza di quelli dall’intestino d’aquila che stazionano sul tetto della tua dimora e che non mancano mai di manifestare le loro competenze balistiche ogni volta che tiri fuori la testa dalla finestra.
Fatto sta che a un certo punto ti sei trovato di fronte a un Clefairy, una specie di maialino. Non ne avevi ancora mai catturato uno ma, quando hai provato a prenderlo, l’App ti ha segnalato che avevi terminato le Pokéball.
Niente sfere da lanciare, nessun nuovo Pokémon.
Hai consultato la mappa del gioco e hai visto che a qualche centinaio di metri, su una via laterale, c’era l’unico Pokéstop del quartiere: nei pressi di un murales raffigurante uno scuolabus con alcuni bambini affacciati dai finestrini.
Ci sei andato di corsa e hai preso 3 sfere.  Troppo poche. Hai deciso di rimanere lì per un po’ ad attendere che il Pokéstop fosse di nuovo disponibile per un rifornimento e per ingannare il tempo, ti sei messo a guardare dentro le vetrate dell’edificio.

È stato poco dopo aver letto la targa sul cancello: “Nido Bimbi Belli” che la tipa, sulla sessantina, gigantesca e armata di scopa si è materializzata.

Ti chiami Aldo Rossi, hai 47 anni e vai a farlo capire alla bidella nerboruta di un nido che sei un cacciatore di Pokémon e non un pedofilo.

Anzi, questa parolina magica, urlata contro di te dalla signora, ha ottenuto un effetto magico. La strada, da deserta che era, si è popolata di finestre che si aprivano, insulti e oggetti che volavano contro di te.
Hai iniziato a correre a più non posso, finché non hai sentito le ginocchia doloranti e i polmoni in gola. Nelle orecchie ti rimbombavano ancora le minacce di morte.  Non avevi ancora del tutto ripreso fiato quando hai sentito il telefono vibrare. Hai guardato lo schermo è ti sei reso conto che la fuga ti aveva fatto percorrere la strada necessaria per schiudere il tuo primo uovo.

Non fai in tempo a concludere il pensiero che stai formulando e cioè che moralmente meriti un Clefairy, visto quello che ti è successo in questo rovente pomeriggio di fine luglio, che dal guscio rotto spunta il becco di un altro piccione del cazzo.

Confessioni di un cacciatore di PokemonWhere stories live. Discover now