Da una parte all'altra.

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«Stanza 123, signorina DeLaurentis» mi disse il direttore della hall di quell'albergo londinese.
Io sorrisi, accennando appena una risatina nasale. «Andiamo, George, questa sarà la sesta volta che vengo ad alloggiare qui, smettila di chiamarmi per cognome»
George, un signorotto over 50 con un bel pancione, quasi arrossì e mi guardò con gli occhi dolci. «Signorina DeLaurentis, la mia stima per lei non mi concede il lusso di chiamarla per nome»
«"Stima"?» risi io , prendendo le chiavi.
«Sì, insomma, dopo quello che mi ha raccontato di lei, non posso fare altro che stimarla» mi sorrise sotto i suoi baffoni e gli sorrisi anch'io. «È ammirevole come riesca ancora a cambiare città una dopo l'altra senza mollare»
Io feci spallucce. «Beh, mi sono tenuta impegnata»
«Ha lavorato?»
Piegai la testa di lato. «Posso dire di averlo fatto, sì. Ma non è dei turni al bar che sto parlando» Risi. «Sto scrivendo un libro»
George ne rimase sorpreso. «Un libro?»
«Proprio così»
«È straordinario» osservò lui. «immagino che narri la storia tra lei e quel giovane di cui mi ha parlato»
Per me fu quasi un colpo quel riferimento al mio ex "datore di lavoro". «Grazie per non averlo chiamato per nome» mormorai.
«Oh, ad essere sincero non lo ricordo nemmeno» ammise lui. «mia nipote, la figlia di mio fratello ascolta quella musica. Ma per un uomo della mia età non la trovo adattissima»
Io mi misi a ridere. «Beh, ti capisco»
Ebbene sì, da quando avevo lasciato Los Angeles non ero più tornata in Italia, né avevo detto a nessuno che non avevo più quel lavoro: era già passato più di un anno.
Adesso vivevo così, come qualche volta nella vita avevo sognato di fare: viaggiavo, giravo l'Europa - Madrid, Parigi, Amsterdam, Londra. Beh, a Londra ero tornata diverse volte, era ormai una seconda casa. È la stanza era sempre la stessa, la 123. Ormai era il mio alloggio fisso, in quanto ogni volta che ci stavo svolgevo qualche lavoretto all'interno dell'hotel.
Quando arrivai in camera, trovai una scatola di cioccolatini sul tavolino e mi brillarono gli occhi: ero appena tornata da una gita di una settimana ad Edimburgo ed ero affamatissima, perciò la aprii e mi buttai sul letto a mangiarli.
Lo schermo del mio cellulare si illuminò e a me si strinse il cuore al pensiero che potesse essere mia madre; ed era lei, un suo messaggio: "Ciao amore, tutto bene? Come stai?".
Erano sei settimane che non facevamo una telefonata e parlavamo per messaggi; ovviamente io le avevo detto che avevo sempre molto lavoro da svolgere, e mai che le stavo mentendo da più di un anno e che l'unico motivo per cui non volevo sentire la sua voce fosse perché non volevo scoppiare a piangere.
In quel momento desiderai di chiamarla, di sentire la sua voce, ed ero sicura che le stessi facendo del male evitando qualsiasi telefonata.
Perciò accesi il mio portatile e aprii Safari, e controllai le ultime notizie relative alla mia ricerca: Zayn Malik. Dovevo documentarmi prima di parlare con mia madre: era per questo che ero convinta che Zayn Javaad Malik non potesse mai uscire dalla mia vita.
Purtroppo, però, le notizie che i social media avevano la possibilità di diffondere erano davvero poche data l'inattività di Zayn, quindi ero costretta ad inventarmi qualche dettaglio per rendere la mia storia più credibile. Tanto mia madre non l'avrebbe mai scoperto.
Così le telefonai e parlammo del più e del meno; per fortuna mi fece poche domande riguardo a Zayn, piuttosto si dilungò a riferirmi delle novità all'interno della famiglia. Era meglio così, avevo sempre preferito ascoltare piuttosto che parlare.
La stessa cosa succedeva con Riri, ci sentivamo solo tramite messaggi e, quando ogni tanto mi chiedeva di mandarle qualche scatto rubato di Zayn, le rifilavo vecchie fotografie che avevo scattato un anno prima.
Nessuno aveva mai sospettato niente e la mia vita procedeva tranquilla. Lei lo era, io mi sentivo sempre come se mi mancasse qualcosa.

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