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Anno 1961, Liverpool

Avete presente quelle giornate di pioggia tartassante in cui non puoi nemmeno posare la mano al di fuori della finestra che si potrebbe congelare dal freddo? Ecco quella era una giornata di quel tipo. Una giornata buia, gelante e malinconica.
La pioggia cadeva rumorosa sulle strade, sebbene fosse stato uno spettacolo non troppo rassicurante, io mi sentivo cullata dalle dolci melodie delle gocce che picchiettava sulla mia finestra, quel rumore così unico che rilassa i nervi, quasi quanto le fusa di un micio a pochi mesi di vita.
La precipitazione durò tutta la notte e alle volte si poteva udire il frastuono di qualche tuono.

Quella sera non riuscii a dormire. Tenevo la luce della abat-jour accesa nel mentre che le mie dita scorrevano rilassate tra una pagina e l'altra di un amichevole libro. Era ormai il cinquatesimo che mi capitava tra le mani, ragion per cui non mi ricordo più chi fossero i personaggi o tanto meno la storia principale, ho solo l'immagine di me che sfoglia un libro in una gelante notte d'Autunno a Liverpool. La solita e monotona Liverpool, cara ai miei ricordi ma assolutamente ed innegabilmente monotona.

Tra strade tutte somiglianti tra loro, camminavano vecchie persone senza nemmeno più un briciolo di voglia di alzare la testa per vedere attentamente il mondo che li circondava, i ragazzi e le ragazze ormai facevano sempre la stessa strada andata e ritorno scuola-casa e le famiglie cucinavano sempre le stesse leccornie che dopo settimane e settimane perdevano anche il loro sapore.

La mia famiglia era schiava della monotonia, per questo io cercavo sempre di evadere da quella sensazione rifugiandomi nei libri o nel disegnare.
In quel periodo avevo già disegnato una quantità enorme di fogli su cui sfogavo la mia libertà in una visione di carta bianca vuota. Amavo disegnare, nessuno mi poteva dire come dovevo svolgere quello che dovevo fare,nessuno interferiva con i miei pensieri e nemmeno un'anima viva mi dava consigli o mi giudicava. Era proprio una sensazione soave di libertà e serenità.

Da poco tempo possedevo un'elegantissima chitarra folk che avevo barattato per una vecchia tromba che ormai se tentavi di soffiarci dentro, usciva un suono distorto e privo di qualsiasi melodia. Son stata fortunata perché colui con cui ho scambiato la tromba, non si accorse nemmeno che ormai era letteralmente 'andata' e che era impossibile suonarla.
Insomma, portai a casa quel meraviglioso ben di dio ma mi accorsi solo dopo che le corde erano poco tese e mi era impossibile provare a pizzicarle. Per quanto potesse essere elegante e attraente non potevo ascoltare il suo suono e questo mi deludeva alquanto, se non sapevo nemmeno sistemare le corde sui piroli, come potevo immaginarmi minimamente di poterla suonare?

Il dunque della questione è che quella bellissima chitarra era posizionata vicino al mio comodino, inutilizzabile e mal ridotta adesso che la guardavo più da vicino. Ma per me rimaneva l'oggetto più elegante che i miei occhi avessero mai visto, per non parlare del suo odore pungente di legno antico che penetrava nelle mie narici.

Era una benedizione e non potevo renderle onore. Ogni giorno ad ogni ora fissavo la folk e fremevo dalla voglia di udire solamente un piccolo suono proveniente da essa. Mi resi conto che era ora di chiedere aiuto a qualcuno, visto che da sola non potevo continuare. Era orribile vederla e non poterla usare, come quando vedi un quadro ma non lo potrai mai riprodurre o quando osservi il cielo ma non potrai mai raggiungerlo. Era la sensazione più opprimente che esistesse e cominciavo ad averne abbastanza. Quella sensazione doveva essere sopressa all'istante.

A Day In The Life Where stories live. Discover now